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Tag: Bao Publishing

Adolescenti queer a fumetti: Ladra e Laura Dean continua a lasciarmi

Siamo ormai a più di metà giugno e in pieno Pride Month. L’anno scorso vi abbiamo consigliato una serie tv perfetta da guardare durante il mese più colorato dell’anno. Oggi vogliamo invece darvi due consigli di lettura: due fumetti queer in cui i protagonisti sono dei teenager. L’adolescenza, nella maggior parte dei casi, è il periodo della vita in cui più cambiamo, cresciamo e iniziamo a scoprire e a formare la nostra identità; è il tempo delle prime scelte e degli sbagli, delle avventure e dei primi amori. E per molti, è anche il tempo del coming-out.

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La traduzione del fumetto tra sfide e compromessi

La traduzione del fumetto tra sfide e compromessi

  • Lara Dal Cappello

  • 11 aprile 2022
  • nonleggere

Senza la traduzione, sarei limitato tra i confini del mio paese. Il traduttore è il più importante alleato. È il traduttore che mi introduce al mondo.

Italo Calvino

La traduzione e il suo funzionamento vengono studiati sin dai tempi antichi: Cicerone e San Girolamo furono i primi a tentare di dare una definizione di traduzione e a spiegare come questa funzionasse. Tuttavia, è solo a partire dalla seconda metà del ventesimo secolo che si inizia a parlare di traduzione come disciplina accademica, grazie al linguista James S. Holmes che, nel 1972, coniò il termine translation studies.

Da quel momento, numerosissime teorie e altrettante relative critiche in merito alla traduzione e al suo funzionamento hanno iniziato a svilupparsi in tutto il mondo: dai primi tentativi di offrire una struttura generale della disciplina, ai nuovi concetti e termini, sino alle strategie che vengono tutt’oggi usate dai traduttori nel loro lavoro.

San Girolamo, patrono dei traduttori.

Di saggi e manuali sulla traduzione se ne trovano ormai un’infinità, dai più generici ai più specifici che ricoprono diversi ambiti e specializzazioni: traduzione editoriale e letteraria, giurata, tecnico-scientifica, commerciale; eppure ancora poco, anzi pochissimo, è stato scritto sulla traduzione del fumetto.

Lo status del fumetto nel corso della storia

Il fumetto non ha mai avuto vita facile: sin dagli albori della sua comparsa è stato considerato, in molti paesi del mondo, un mero prodotto di intrattenimento infantile. Insomma, roba per bambini. Per non parlare della campagna morale di censura avvenuta negli anni ’50, con l’obiettivo di proteggere la popolazione – e in particolare i giovani – dalla presunta cattiva influenza dei fumetti. Questa scarsa considerazione per la nona arte, purtroppo lo sappiamo bene, non è ancora del tutto scomparsa. Gli stereotipi sul nerd, avido lettore di fumetti che non vede mai la luce del sole, hanno rotto le andavano forte fino a pochi anni fa.

In questi ultimi anni stiamo vedendo una riaffermazione del fumetto. In particolare i manga, ma anche i graphic novel, stanno scalando le classifiche dei libri più letti e venduti in Italia. Ma qual è il motivo di questa svolta piuttosto improvvisa? Secondo alcune statistiche, il lockdown del 2020 ha portato a scoprire o a rinnovare la passione per la lettura, compresa quella per il fumetto. Ma anche i social hanno un grande ruolo in questo. Su Instagram e TikTok è nato negli ultimi anni il fenomeno dei book influencer: lettrici e lettori che, tramite post, storie e video, condividono consigli di lettura e book haul. Sono stati scritti articoli e addirittura pubblicati dei libri su questo fenomeno, che sembra star in qualche modo rivoluzionando il mondo editoriale e avendo un grosso impatto sulle vendite. E i fumetti, in questi contenuti, si vedono sempre di più.

Come lo status del fumetto influisce sulle scelte di traduzione

Ma in tutto ciò, cosa c’entra la traduzione? Beh, lo status sociale attribuito al fumetto influisce molto sul modo in cui questo viene tradotto e sull’importanza che si attribuisce alla sua traduzione. La maggior parte dei fumetti presenti sul mercato sono traduzioni, eppure gli studi e le pubblicazioni dedicate alla traduzione del fumetto sono ancora assai pochi. Anche i passaggi dedicati a essa nei volumi sulla traduzione letteraria coprono in media due o tre pagine, spesso solo poche righe, molto raramente un intero capitolo1. Molti studi, inoltre, citano il fumetto solo come esempio per discutere la traduzione di giochi di parole, onomatopee e altre caratteristiche linguistiche spesso presenti nel fumetto ma non specifiche del medium.

Il fumetto in relazione ai translation studies venne nominato per la prima volta dal linguista Roman Jakobson nel 1960. Egli fu il primo a riconoscere l’esistenza di diverse tipologie di traduzione, suddividendole in tre categorie: quella interlinguistica, quella intralinguistica e quella intersemiotica. Per farla un po’ più semplice, si può parlare rispettivamente di riformulazione, traduzione propriamente detta (quella a cui ci riferiamo solitamente, ovvero la classica traduzione di un testo da una lingua ad un’altra) e trasmutazione. Questa prima distinzione risulta fondamentale per i due principali approcci con cui è stata affrontata la traduzione del fumetto nel corso degli anni: quello linguistico e quello semiotico.

Mentre il primo approccio si focalizza esclusivamente sulla componente verbale, il secondo prende in considerazione la relazione – e soprattutto l’interazione – tra componenti verbali e visive, nel caso specifico del fumetto tra testo e immagini.

L’approccio linguistico è strettamente legato al concetto di traduzione vincolata, nato negli anni Ottanta per indicare una traduzione che, per ragioni pratiche o commerciali, è limitata nello spazio. Il dibattito sulla traduzione del fumetto, infatti, è stato spesso caratterizzato dalla visione della presenza dei balloon come un limite alla libertà del traduttore. Per questa sua visione limitata, l’approccio linguistico è stato via via lasciato da parte in favore di quello semiotico.

A volte si pensa che il testo scritto nei balloon o nelle didascalie sia l’unica componente dei fumetti che viene tradotta, ma non è così: anche le componenti visive possono essere tradotte, e spesso lo sono. Gli aspetti del fumetto che possono essere modificati durante il processo di traduzione possono essere divisi in tre categorie: i segni tipografici (tipo e grandezza del carattere, formato e layout), i segni illustrati (colori, vignette, linee d’azione) e i segni linguistici (titoli, didascalie, dialoghi, onomatopee e narrazione). Ognuno di questi aspetti può essere soggetto a strategie di cambiamento quali la sostituzione (l’opzione standard per i segni linguistici), l’eliminazione o l’aggiunta.

La traduzione vincolata considera i balloon come un limite.

Qualche parolone: i loci della traduzione, domesticazione e straniamento

Se il traduttore sceglie di adottare un approccio semiotico, nella prima fase di traduzione del fumetto il suo compito sarà quello di identificare quattro aree di messaggi verbali, chiamate tecnicamente loci della traduzione, e per ogni area capire se il messaggio verbale debba essere tradotto o meno. Queste aree sono:

  • I balloon: il luogo principale in cui si trova il messaggio verbale, che solitamente rappresenta la modalità parlata ed è scritto in prima persona, e deve quindi essere tradotto;
  • Le didascalie: il testo presente all’inizio o alla fine della vignetta, generalmente scritto in terza persona, dà alla narrazione una dimensione letteraria. Di norma contrassegna cambiamenti nel tempo e nello spazio, ma può anche contenere commenti connessi all’immagine e viene quasi sempre tradotto;
  • I titoli: una delle loro principali funzioni è quella di essere visivamente attraenti. Spesso vengono cambiati nel passaggio da una cultura all’altra, ma nel caso in cui venga mantenuto il titolo originale, la ragione potrebbe essere quella di voler dare un tocco esotico all’opera, solitamente accompagnata da una strategia traduttiva di straniamento (che vedremo tra poco);
  • Il paratesto linguistico: i segni verbali fuori dai balloon ma interni al disegno, come iscrizioni, segnali stradali, giornali, onomatopee e, a volte, alcuni dialoghi. Il paratesto può avere entrambe le funzioni, visiva e verbale: è il traduttore a dover scegliere a quale dare la priorità.

Il primo compito del traduttore è quindi quello di identificare i loci della traduzione e prestare attenzione ai diversi tipi di interazione tra le due risorse che creano il significato, il visivo e il verbale, per l’appunto. Molti errori di traduzione, infatti, provengono proprio dal fallimento del traduttore nell’identificare l’interconnessione tra testo e immagini. Un esempio può essere dato dal significato del messaggio verbale all’interno del balloon che viene completato dal messaggio visivo. Spesso lo scopo di questa interazione è quello di generare un effetto umoristico, creando giochi di parole che non avrebbero senso se non fossero accompagnati dall’immagine.

Il rebus: l’esempio più classico di interazione tra visivo e verbale.

Altro elemento fondamentale è costituito dai riferimenti culturali che, nel fumetto come in qualsiasi opera letteraria, stanno alla base di due strategie traduttive opposte: domesticazione e straniamento. La prima è una resa orientata al testo di partenza, mentre la seconda è orientata al pubblico d’arrivo. Nel primo caso la traduzione neutralizza il testo straniero rendendolo conforme alla lingua e alla cultura d’arrivo, rendendolo più familiare e facilmente comprensibile per il fruitore finale mediante alterazioni e sostituti culturali. Uno svantaggio di questa procedura può essere la perdita d’informazioni che si verifica in alcuni casi. Lo straniamento, diversamente, mantiene intatta l’alterità del testo di partenza anche a costo di mettere in difficoltà il pubblico di destinazione o infrangere le convenzioni della lingua d’arrivo.

Nel caso del fumetto, in certi casi spetta all’editore scegliere il modo in cui portare sul mercato del proprio paese una determinata opera, ad esempio conservandone o alterandone il formato. Tuttavia, sono i traduttori che per primi si trovano di fronte a segni visivi e verbali appartenenti a una determinata cultura, e che devono pertanto scegliere se adottare una strategia addomesticante o straniante. Nella maggior parte dei casi è possibile mantenere il messaggio visivo con tutte le sue connotazioni culturali, traducendo solo il messaggio verbale, senza rischiare di perdere o stravolgere il significato. Tuttavia, come abbiamo visto, visivo e verbale in questo medium sono strettamente connessi e interagiscono tra loro, e talvolta non sono scindibili – come nel caso di rebus e giochi di parole – creando alle volte un ostacolo e una vera e propria sfida per il traduttore.

In genere, per quanto possibile, si cerca di mantenere anche nella traduzione le caratteristiche culturali ed editoriali del fumetto originale, quali ad esempio la direzione di lettura e il formato. Questa strategia viene usata principalmente nei paesi in cui il pubblico ha raggiunto una consapevolezza dell’importanza artistica del fumetto, riconoscendo che adottare una strategia domesticante e quindi attuare drastiche alterazioni del lavoro originale non sarebbe la giusta soluzione.

La strategia di straniamento implica, al massimo, piccoli aggiustamenti nel formato, come un diverso numero di pagine o una variazione della periodicità della pubblicazione, e può a volte includere l’adattamento della grafica agli standard del paese di pubblicazione – ovvero onomatopee e titoli, traducendoli e adattandoli graficamente alla pagina. Tuttavia, alcune volte questi elementi testuali sono considerati parte integrante della grafica, e il pubblico fatica a tollerare la loro traduzione. In questi casi, una strategia adottata ad esempio da alcune case editrici italiane è quella di mantenere il titolo originale aggiungendone la traduzione a piè di pagina.

Le Petit Spirou (1987) viene adattato culturalmente:

cambia anche il messaggio visivo (i titoli sul dorso dei libri).

Un caso particolare riguarda la traduzione dei manga, in particolare della direzione di lettura che nel paese d’origine va da destra verso sinistra. Nei primi anni in cui i manga vennero importati nel mercato occidentale, traduttori ed editori adottarono una strategia domesticante, invertendo il senso di lettura affinché risultasse uguale a quello occidentale, ossia da sinistra verso destra. Tuttavia, alcuni autori giapponesi la considerarono un’alterazione intollerabile e finirono per rifiutare la garanzia dei diritti di traduzione per le loro opere. Effettivamente, l’inversione di lettura crea non pochi problemi, quali la creazione di personaggi mancini: conseguenza piuttosto grave, ad esempio, nelle storie che parlano di samurai. Questi ultimi, infatti, seguono un severo codice d’onore chiamato bushido, che li obbliga a non impugnare mai la spada con la mano sinistra. Oggi, la maggior parte dei manga pubblicati in Europa viene tradotta con una strategia straniante, mantenendo quindi il senso di lettura giapponese, anche sotto le spinte e le critiche del pubblico.

Attualmente, i manga pubblicati in Italia contengono indicazioni sul senso di lettura.

Zerocalcare in inglese tra daje e culisti

I fumetti di Zerocalcare sono stati tradotti in molte lingue straniere e la questione risulta particolarmente interessante sotto diversi punti di vista.

Innanzitutto, c’è la questione del linguaggio. Il caso di Zerocalcare è particolarmente complesso, in quanto, come l’autore stesso afferma, nelle sue opere il testo prevale sul disegno. Al contrario, quest’ultimo presenta un ruolo più espressivo che narrativo, e il ritmo della narrazione dipende fortemente dai dialoghi e dal testo. Al fine di rendere il linguaggio il più autentico possibile, l’autore utilizza diverse strategie, tra cui le principali sono i tratti dialettali e i turpiloqui, allo scopo di elevare ancora di più il livello di affinità con la lingua parlata e avere a disposizione un’altra fonte d’espressività. Tradurre un dialetto in un’altra lingua non è semplice ed esistono diverse possibilità e strategie per il traduttore che si trova di fronte a questa sfida.

Forget my name è stato pubblicato per la casa editrice digitale Europe Comics nel 2015.

Zerocalcare alterna inoltre diversi registri linguistici (dal volgare, informale o colloquiale al formale, ricercato, aulico o solenne). Ognuno di questi comunica un messaggio diverso rispetto agli altri e spesso caratterizza i diversi personaggi. Le opere dell’autore abbondano inoltre di anglicismi e francesismi: nel primo caso, ciò è dovuto soprattutto alla presenza dei numerosi riferimenti alla cultura pop, ma anche all’influenza di internet nel linguaggio parlato e giovanile; nel secondo caso, il motivo è l’origine francese dell’autore. Infine, Zerocalcare fa ampio uso di neologismi, generalmente al fine di creare un effetto umoristico.

Per la traduzione inglese di Dimentica il mio nome, Carla Roncalli di Montorio ha optato per la traduzione in un inglese standard ma colloquiale, evitando quindi la strategia dialetto-per-dialetto, ma adottando alcuni accorgimenti – principalmente nel lessico – che rendessero l’espressività di una lingua parlata e giovanile e che evidenziassero l’alternanza di registri linguistici.
La sfida più difficile è stata probabilmente la traduzione di espressioni tipicamente romane, ovviamente intraducibili letteralmente e di cui non esiste un equivalente inglese. Alcune espressioni sono state tradotte con quello che sarebbe l’equivalente inglese del termine in italiano standard, mentre, dove possibile, la traduttrice ha usato espressioni colloquiali, abbreviazioni e imprecazioni tipicamente britanniche (come bloody hell e blimey).

Ma so cosa tutti vi state chiedendo: daje è stato tradotto in diversi modi a seconda del contesto, ad esempio con le espressioni you go girl! o come on!. Non disperate, l’adattamento inglese della serie Strappare lungo i bordi ha fatto cose peggiori.

La questione si complica ulteriormente con la presenza di neologismi.
Vediamo due casi interessanti:

Alcuni neologismi sono facilmente traducibili.

In questa vignetta, il neologismo bambinese viene utilizzato in un flashback che riporta all’infanzia dell’autore e si riferisce al linguaggio utilizzato dai bambini che ancora non sanno parlare, con un chiaro effetto comico. La traduzione inglese adotta una strategia simile, creando un neologismo che identifichi questa nuova “lingua”, utilizzando la radice kid– (bambino), e mantenendo il suffisso –ese. È una buona soluzione, considerando che anche in inglese si tratta di un suffisso derivativo che indica origine e provenienza, come ad esempio in Portuguese e Japanese.

Altre necessitano di strategie più complesse…

…come la creazione di nuovi neologismi.

Il secondo caso è più complesso, in quanto mescola un gioco di parole e due neologismi che, combinati insieme, suscitano un effetto comico, legandosi inoltre a un elemento visivo. I due neologismi sono culista e schifusss. Nel primo caso si tratta di una modifica del nome di professione oculista mentre il secondo termine è un’alterazione della locuzione che schifo. Il neologismo culista gioca con la parola culo e svolge una funzione umiliante verso il ragazzo a cui è diretto (che porta gli occhiali, quindi: visivo che si lega al verbale). Perciò, i livelli sui quali opera questo neologismo sono principalmente tre: la parola che ridicolizza il nome di una professione, l’impiego di una voce volgare per raggiungere tale effetto, e l’interconnessione con l’immagine attraverso gli occhiali portati dal figlio dell’oculista. La strategia adottata nella traduzione inglese è simile all’originale per la prima parte della battuta: la professione del padre cambia in physician, così che il neologismo / gioco di parole risulti essere penecian, termine che gioca con la parola penis. Vengono così mantenuti l’effetto comico, il gioco di parole e la funzione umiliante, ma viene perso il rapporto tra testo e immagine. Il termine schifusss non viene invece tradotto con un altro neologismo, ma semplicemente con l’aggettivo disgusting.

E i riferimenti culturali? Le opere di Zerocalcare abbondano di riferimenti alla cultura pop che non riguardano solo film e serie tv conosciute a livello internazionale, ma spesso si tratta di prodotti che solo i lettori italiani potranno apprezzare con una lacrimuccia di nostalgia ad accompagnare la lettura. È il caso, ad esempio, delle caramelle Rossana e del Pisolone, che nell’edizione inglese vengono rispettivamente non tradotti e tradotti letteralmente, privando il lettore anglofono di un grande pezzo di cultura italiana. Diverso è il caso seguente:

La maggior parte dei lettori anglofoni probabilmente non ha idea di chi sia la Pimpa, e tradurre la battuta letteralmente o tentare di spiegarla con una lunghissima nota a piè pagina sarebbe stato controproducente. La traduttrice ha deciso allora di optare per la (tanto discussa nel mondo dei traduttori) negoziazione, adottando una strategia domesticante che, sostituendo il riferimento culturale con un più generico e comprensibile rampant leopard, mantenesse comunque un certo effetto umoristico in relazione alle macchie rosse presenti sulla faccia dell’autore quando lontano dal suo quartiere da troppo tempo.

In conclusione,

Possiamo affermare che – nonostante alcune similitudini nelle strategie utilizzate – la traduzione del fumetto richieda particolari accorgimenti rispetto alla traduzione letteraria e necessiti di molta più attenzione e considerazione di quella che le è stata data finora. Anche al fine di evitare tragici e orripilanti errori.
Siamo certi che San Girolamo ne sarebbe contento!

LDC


NOTE:

1 Tra i più completi e interessanti, Comics in Translation di Federico Zanettin, Nuvole Migranti e La marca dello straniero di Valerio Rota.


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Le donne giapponesi di Aoi Ikebe: Princess Maison e Mamma

Le donne giapponesi di Aoi Ikebe: Princess Maison e Mamma

  • Lara Dal Cappello

  • 7 marzo 2022
  • nonleggere

Non si sa molto su Aoi Ikebe, mangaka giapponese che si presenta, in un autoritratto, come una graziosa figura dall’espressione buffa, coi capelli corti e gli occhiali: potrebbe benissimo essere la protagonista ideale di uno dei suoi manga.

Autoritratto di Aoi Ikebe.

Conosciuta in Italia soprattutto grazie alla serie Princess Maison, pubblicata in 6 volumi da Bao Publishing per la collana Aiken a partire da settembre 2020, Aoi Ikebe ha portato un’ondata di delicata innovazione nel panorama del manga contemporaneo.

Protagoniste delle sue opere sono donne giapponesi alle prese con la vita, il lavoro e le relazioni nella grande capitale metropolitana, Tokyo. Una giovane donna che lavora in una sartoria di abiti occidentali (Tsukuroi Tatsu Hito), una ragazza alla ricerca della casa perfetta (Princess Maison), il rapporto di alcune mamme con i loro figli (Mamma). Il talento dell’autrice sta nell’illustrare situazioni estremamente semplici e quotidiane con una profondità umana tale da farci rendere conto di quanto le piccole cose a volte contengano un mondo intero, ma anche nel ritratto delle donne che vivono nella società giapponese contemporanea, tra tradizione ed emancipazione.

Princess Maison: sentirsi a casa, contro ogni pregiudizio

Sachi ha quasi trent’anni, lavora come cameriera in una catena di Izakaya e ha un sogno: comprare la casa perfetta, dove vivere in serena solitudine nella capitale nipponica. La missione della giovane donna non è, però, facile a compiersi in una metropoli come Tokyo. Infatti, i prezzi degli appartamenti sono alle stelle e il tradizionalismo sociale teme ancora l’indipendenza e l’autodeterminazione femminile, spingendo molte donne a trovare marito il prima possibile, in modo da da potersi dedicare completamente alla famiglia senza doversi preoccupare troppo delle “cose da uomini”.

Aoi Ikebe sceglie di andare contro questa visione conservatrice del ruolo femminile. Sachi è fisicamente minuta, piuttosto timida e taciturna: sembra quasi una bambina. Nessuno, a vederla, penserebbe che il suo principale scopo nella vita sia quello di trovare un posto in cui vivere tutta sola.
Ma lei, nonostante il lavoro full-time e l’affitto da pagare, non perde nessuna delle visite guidate organizzate dalla società immobiliare Mochii e, soprattutto, non si lascia mai abbattere, ignorando con tranquillità i pregiudizi sociali e i consigli non richiesti da parte delle persone che conosce.

Sachi, la protagonista.

Se mai dovessi sposarmi, allora discuterò sul da farsi con il mio futuro marito. ma per prima cosa voglio provare a vivere con le mie sole forze… solo dopo potrò pensare di condividerla con qualcuno.

Sachi parlando della sua futura casa, Princess Maison vol. 2

La storia di Sachi è intramezzata da episodi che raccontano la vita di altre donne, anche loro alle prese con la quotidianità della vita e con la propria interiorità, tutte in qualche modo legate dal rapporto con la propria casa. Tra queste, le due impiegate dell’agenzia immobiliare frequentata da Sachi: pian piano si affezioneranno a lei, arrivando a stringere un rapporto di amicizia che, per una Sachi abituata alla solitudine e al silenzio, rappresenterà un dolce cambiamento.

La casa e la sua ricerca diventano allora la metafora di qualcosa di più grande e più profondo: un posto in cui ritrovare sé stesse e accettarsi, in cui sentirsi libere di essere come si vuole, ritrovando nella solitudine un’opportunità di crescita e felicità.

Nonostante la trama e lo sviluppo piuttosto semplici, o anzi, forse proprio grazie a questa sua caratteristica, Princess Maison è un’opera che, a piccoli passi, commuove ed entra nel cuore di chi la legge. Inizialmente i personaggi possono apparire freddi e distaccati, ma a ogni volume scopriamo qualcosa in più su di loro e sul loro vissuto, tanto da affezionarci e desiderare conoscerli ancora meglio.

Sachi e il direttore immobiliare Date.

La delicatezza che caratterizza la narrazione è presente anche nei disegni dell’autrice, dai tratti sottili e quasi stilizzati: uno stile essenziale ed evocativo, caratteristico della collana Aiken e di un altro manga di cui abbiamo parlato su Pop-Eye, ovvero La taverna di mezzanotte di Yaro Abe.

I disegni di Aoi Ikebe…

…delicati ed evocativi.

Interessanti sono anche i capitoletti nominati Strategy che, in ogni volume e tra un capitolo e l’altro, presentano sondaggi, approfondimenti e consigli legati al mondo immobiliare, in particolare dal punto di vista delle donne giapponesi che hanno comprato una casa oppure vivono in affitto, o ancora insieme ai genitori.

Dal manga di Ikebe è stato ricavato un drama di 8 episodi, uscito in Giappone nel 2016 e ancora inedito in Italia. L’atmosfera e i personaggi sono immediatamente riconoscibili per chi ha letto l’opera cartacea e anche la serie, pur concentrandosi principalmente sulla protagonista e sulla sua ricerca della casa perfetta, lascia spazio, un po’ per volta, alle sottotrame degli altri personaggi.

Sachi e Riko in una scena del drama Princess Maison.

Mamma: l’importanza di essere imperfette

Alcune sono tenere, generose e affettuose. Altre non riescono a dimostrare il loro amore, nonostante sia immenso. Alcune mamme farebbero di tutto pur di far star bene i loro figli. Altre li hanno abbandonati e non ricordano nemmeno che esistono: sono madri assenti.

Mamma è la prima opera di Aoi Ikebe uscita in Italia, pubblicata da Dynit nel 2017. È una raccolta di racconti legati da un tema centrale: la maternità.

Il primo racconto è il più “tradizionalmente giapponese”. Inizia con dei primi piani di tanti, deliziosi piatti che una mamma sta preparando con cura all’alba, prima che il figlio si svegli per andare a scuola. Poi corre al lavoro, finisce e di corsa va a fare la spesa, torna a casa e di nuovo prepara la cena.

È una madre amorevole, che, nonostante non sappia dimostrarlo a parole, ama il figlio più di qualsiasi altra cosa al mondo.

La copertina di Mamma.

Una mamma prepara il pranzo per il figlio.

Ma l’autrice non si ferma a questa visione: lo sa bene che non tutte le madri sono ideali e quindi non le idealizza. Altri racconti vedono madri che hanno abbandonato le proprie figlie affidandole ad un convento, per poi tornare a prenderle solo quando avrebbe fatto loro comodo.

Il ruolo che queste mamme non hanno saputo svolgere viene allora ricoperto da un’amica che è come una sorella, o da un’anziana signora che non ha mai avuto figli, dimostrando così come il legame di sangue non sia sempre sinonimo di famiglia e mettendone in discussione lo stesso concetto.

Lei è la famiglia che non ho mai avuto

Zaza parlando dell’amica Jannike, Mamma cap. 4

Ikebe si stacca anche dalla visione della famiglia tradizionale. La figura del padre non è presente in quasi nessuno dei racconti presenti in Mamma e non ci è dato sapere se si tratti di donne vedove, abbandonate, separate o volutamente sole. L’attenzione è incentrata sulle donne, madri e figlie, e sul loro rapporto. Sono tutte, anche se in modi diversi, donne imperfette; e proprio in questo sta la forza della loro caratterizzazione.

Un elogio alla quotidianità e all’emancipazione femminile

Ricorrente nelle opere di Aoi Ikebe è il tema del quotidiano, della semplicità, dell’importanza delle piccole cose. Princess Maison inizia lentamente, molte pagine sono dedicate alla contemplazione del paesaggio o di azioni semplici, come cucinare, camminare sotto la pioggia, osservare il cielo. Tutto scorre piano e lascia spazio alla riflessione. Anche il ritmo della storia è lento, proprio per permettere al lettore di soffermarsi sui dettagli: non solo della storia che sta leggendo, ma anche di sé stesso e del proprio mondo interiore.

Altra caratteristica fondamentale è la preponderanza di personaggi femminili e quindi l’importanza che l’autrice dà alle donne in ogni loro aspetto.
Possiamo considerare le opere di Aoi Ikebe femministe? Probabilmente sì: anche se a prima vista (o lettura) può non sembrare un femminismo particolarmente rivoluzionario o combattivo, è evidente come l’autrice voglia dare spazio a protagoniste non stereotipate. Ancora, seppur non risulti immediatamente visibile, è altrettanto pacifico che descriva personaggi fuori dai canoni tradizionali, raccontando dell’emancipazione delle donne, in particolare quelle giapponesi.

Sachi Numagoe sogna di comprare casa ed essere indipendente, mettendo in secondo piano quello che, secondo la società, dovrebbe essere invece il suo pensiero principale: il matrimonio e la famiglia. Le mamme di Ikebe non sono tutte casalinghe amorevoli, ma sono donne imperfette e proprio per questo reali.

LDC


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