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Tag: Disco Elysium

Edmund Burke avrebbe giocato a Elden Ring

Edmund Burke avrebbe giocato a Elden Ring

  • Alfredo Savy

  • 11 novembre 2022
  • noninteragire

“Salisbury Cathedral from the Meadows” è un quadro del 1831 di John Constable, meraviglioso paesaggista inglese. La scena che si presenta agli occhi del moderno visitatore del Tate Britain, uno dei più grandi musei di Londra, è di controversa ricezione: se da un lato non è replicabile nell’uggiosa modernità di cui tutti – chi più e chi meno – siamo quotidiani spettatori, dall’altro è capace di evocare nel piccolo uomo una sensazione di impotenza che forse ha già avvertito in passato e che, confrontandosi con altri piccoli uomini, capirà essere addirittura comune.
La centralità della scena non è dominata dalla Cattedrale di Salisbury, da cui l’opera prende nome; al contrario, è data dalla tensione tra due elementi, la natura imponente e l’abbraccio dell’edificio al cielo tempestoso. Esprime, insomma, il conflitto tra due realtà, l’umana e la divina, con la prima che si lacera cercando di raggiungere, affascinata, la seconda. John Constable aveva dipinto il Sublime e, senza poterlo prevedere, aveva immaginato Sepolcride, la prima regione di Elden Ring (FromSoftware, 2022), già nell’Ottocento.

C’è un aneddoto che vale la pena riportare. Al Tate, accanto all’appena citata tela di Constable, ve n’è un’altra di William Turner, “Caligula’s Palace and Bridge”, a essa contemporanea e che suscitò addirittura un alterco tra gli artisti per la disposizione delle due presso una mostra, durante il 1831. Il giocatore di Elden Ring non avrà grosse difficoltà a riconoscervi la gloriosa decadenza di Leyndell, Capitale Reale che, proprio come l’Impero Romano di Caligola, ha lasciato tracce di sé dopo la fine. 

A sinistra: “Caligula’s Palace and Bridge”, di William Turner. A destra, “Salisbury Cathedral from the Meadows”, di John Constable.

In alto: “Caligula’s Palace and Bridge”, di William Turner. In basso, “Salisbury Cathedral from the Meadows”, di John Constable.

I misteriosi resti del passato si fondono con le tinte opache dell’immaginato da Turner, il quale assume il sapore dell’indefinito. Glorioso, eterno, indefinito. In un gioco di specchi rispetto a Salisbury Cathedral, stavolta l’uomo non si spinge verso l’alto ma è ridimensionato a essere riassorbito dalla forza che aveva osato sfidare in grandeur, con la storia della viva pietra che ne restituisce le ambizioni fallite. A conti fatti, però, il risultato non cambia: l’osservatore si sente minuto e miserabile, in balia del piacere derivante da una forza che annienta, volendo parafrasare Schopenhauer. Di nuovo, ecco il Sublime.

È proprio il filosofo di Danzica, partendo dalle considerazioni di Kant, a definirlo così nel suo grado più profondo:

Ma l’impressione è ancora più potente quando l’infuriare delle forze della natura ce l’abbiamo davanti agli occhi in grandi proporzioni (…). Di fronte a uno spettacolo di questo genere lo spettatore imperturbato acquisisce nel modo più chiaro la consapevolezza della duplicità della propria coscienza: sente se stesso contemporaneamente come individuo, come fragile manifestazione fenomenica della volontà, che può essere mandata in frantumi dal più piccolo colpo di quelle forze, inerme di contro alla potenza della natura, dipendente, in balia del caso, un nulla evanescente di fronte a potenze inaudite; e d’altra parte egli, allo stesso tempo, sente se stesso come esterno e sereno soggetto del conoscere (…). È questa l’impressione piena del sublime, prodotta qui dalla vista di una potenza che minaccia di annientare l’individuo e che è senza confronto superiore a lui.

Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, a cura di Giorgio Brianese, Piccola Biblioteca Einaudi 604, Libro Terzo, Paragrafo 39, pag. 271, ed. 2013 (ed. princ. 1819).

Di esempi e paragoni se ne potrebbero fare tanti. Si potrebbe citare “The Dreamer”, di Caspar David Friedrich: se solo non fosse stato realizzato nel 1840, sembrerebbe una fanart di un Senzaluce che si riposa presso la Chiesa di Elleh, nel tardo pomeriggio. Ancora, “Guisborough Priory, Yorkshire”, di Thomas Girtin, anno domini 1801, pare una riproduzione plastica di uno splendido rudere qualunque a nord di Liurnia dei Laghi, prima dello Altus Plateau; per capirci, la zona dove avviene il secondo incontro con Ranni. Eppure quest’operazione di ricongiungimenti platonici, seppure all’apparenza interessante, risulterebbe a un certo punto istrionica. 

Questo aspetto va necessariamente chiarito. Che Elden Ring rappresenti visivamente il punto apicale del videogioco romantico, volendo con questo termine riferirsi proprio al Romanticismo inteso come movimento storicamente originatosi a fine Settecento, è fattuale. Ne mutua, d’altronde, molti capisaldi artistici, espressi puntualmente dall’immagine di un Cavaliere che galoppa sui rimasugli del mondo che fu, costantemente orientato alla scoperta delle forze che lo regolano e attraversato dal timore di non poterle comprendere. Da quest’angolo, la danza degli accostamenti non solo è automatica, ma pure francamente banale. 

A sinistra la “Chiesa di Elleh”, in Elden Ring. A destra, “The Dreamer”, di Caspar David Friedrich.

Vale la pena di evidenziare con forza che Elden Ring non solo saccheggia il paesaggio romantico ispirandosi alle produzioni del periodo, ma arriva a realizzare la potenza del Romanticismo nel suo medium, e cioè il videogioco. In altre parole, il lavoro di FromSoftware non impatta solo sulla dimensione artistica, ispirata al Romanticismo, ma restituisce tutte le sensazioni, e i correlati temi, tipici di quella corrente. Per farlo, Miyazaki, Martin e gli sviluppatori del team giapponese hanno utilizzato come perno il Sublime, quale concetto centrale dell’intera impalcatura romantica. Ed è per questo che Edmund Burke, autore de “Un’indagine filosofica sull’origine delle nostre idee di Sublime e Bello“ (1757), non avrebbe certo disdegnato il poterci giocare.

Ciò comporta, di conseguenza, non solo un passaggio verso una critica che si muova attraverso questa particolare categoria dell’Estetica, e che conduca a rimodulare da quel punto di vista l’intero impianto analitico, ma rappresenta, contemporaneamente, un’incredibile opportunità.
Come si vedrà in seguito, proprio in questi anni c’è stata un’interessante operazione di recupero del Sublime, declinato in termini videoludici: questo apre a nuove chiavi interpretative che vanno anche oltre il Romanticismo, superando di gran lunga persino lo stesso Elden Ring. Ma ci arriveremo con calma, partendo da quello che quest’ultimo dice quando mostra.

Dal Gotico a Goethe…

[DISCLAIMER: di qui in poi l’articolo contiene SPOILER su Elden Ring]

Se è vero che “l’architettura è un riflesso della spiritualità dell’essere umano nel suo tempo” ed “è una pericolosa commistione di onnipotenza e impotenza”,1 questa disciplina non può che assurgere a un ruolo centrale nel passaggio discorsivo dal Sublime al Sublime Videoludico. Elden Ring, infatti, comunica costantemente attraverso i suoi castelli, forti, chiese, complessi monumentali: hanno il compito di schiacciare il videogiocatore, costringendolo a una dimensione infima e, in ultima istanza, lo terrorizzano (è importante tenere a mente questo concetto, sarà utile in seguito).

Non solo. Gli edifici si pongono in una relazione di sequitur con la Natura, un ciclo continuo di costruzione e distruzione dove l’artificiale non si presenta in opposizione a campi, colline, laghi, cieli infernali, distese innevate e autunni perenni ma, casomai, stabilisce se stesso come prolungamento di ciò che già è. Tutto diventa, allo stesso tempo, sia un prodotto dell’Uomo che un precipitato di una forza esterna, la cui sintesi non può che trovarsi nell’azione divina. Deus sive Natura,2 l’Albero che genera la Vita, le Rune che determinano il piano dell’esistenza e l’Anello come indice dell’armonia: queste sono le coordinate di Elden Ring, la cui grandezza e potenza si manifesta nei confronti del minuscolo fruitore. L’Ordine (Aureo) si realizza, perciò, con una manipolazione della Natura, un’operazione che appartiene solo a colui che è in grado di correggerne le disfunzionalità. E cioè, di nuovo, a Dio.

Due esempi di Gotico. Vittoriano a Raya Lucaria (a sinistra), Temperato a Villa Vulcano (a destra).

Due esempi di Gotico. Vittoriano a Raya Lucaria (in alto), Temperato a Villa Vulcano (in basso).

Lo stile scelto per simboleggiare questo ponte non poteva che essere il Gotico. FromSoftware ha disseminato la sua opera soprattutto di quello Fiammeggiante, presente a Sud, ma si ritrova agilmente il Germanico – nelle guglie impazzite e dorate di Leyndell – insieme a tracce vittoriane nell’Accademia di Raya Lucaria; ovvero il Gotico italiano, dalle forme meno esasperate e più solide, nella rossa Volcano Manor. Si sfruttano continuamente i cambi di stato, con ampi spazi artificiali rivelati da strettoie naturali e spettacolari orizzonti anticipati da corridoi. Senza contare i continui sussulti ricevuti dalla palette cromatica.

I due esempi di scuola sono certamente l’arrivo alla Capitale, che emerge nella sua grandiosità dopo un viaggio cunicolare dovuto alle caratteristiche fisiche del luogo, e l’apertura di Liurnia dei Laghi, posteriore all’attraversamento del cuore pulsante di Grantempesta.

A tal proposito, è fondamentale sottolineare il cambiamento che si presenta nel momento in cui il videogiocatore scende nelle profondità dell’Interregno, tra l’Acquedotto Siofra, Nokron e Nokstella, fino al Palazzo di Mohgwyn. Il Gotico cede il passo a uno stile Classico, il cielo diventa stellato e la composizione complessiva tende a rassomigliare più al mondo ellenistico – dov’è nato proprio il concetto di Sublime – che al medioevo europeo e romantico. Il fruitore si trova, dunque, a subire lo scarto che separa il “Sublime dinamico” dal “Sublime matematico”, di matrice kantiana.

È Gilles Deleuze a rimarcare, in una sua lezione del 1978, la differenza tra i due:

La risposta di Kant [è che] vi sono due categorie di sublime: il sublime “matematico” (definito matematico perché è estensivo), e quello che è chiamato sublime dinamico (un sublime intenso). Ad esempio, (…) la volta celeste ricca di stelle quando il cielo è limpido è il sublime matematico (…). Il sublime dinamico è il mare agitato, è la valanga. In questo caso, subentra il terrore.

Kant: Synthesis and Time, seminario del 28 marzo 1978. Citazione tradotta dal redattore.

Perciò il piccolo, pavido, minuscolo avatar è intrappolato tra la potenza della superficie, fatta di costruzioni che tendono a una Natura capace di affascinare nel suo orroredelightful horror, direbbe appunto Burke3e l’estensione illimitata del sottosuolo, con le sue, ossimoriche, costellazioni sotterranee. Inizia i suoi dungeon legacy – le città nella città – quasi sempre schiacciato dalla monumentalità dei luoghi e accecato dalla tensione verso l’alto degli archi, con una riverenza sacrale che deriva dalla percezione senza comprensione. I luoghi dei boss, dei semidei, diventano immagine degli stessi, della loro maestria combattiva e, più in generale, dello status che possiedono all’interno dell’universo, capacità di bloccare gli astri compresa. “L’infinito non è comprensibile come un tutto ma è pensabile come un tutto”, sostiene Lyotard;4 e in quell’ambivalenza si sviluppa il Sublime, tra paura ed esaltazione.

Leyndell, Capitale Reale. Particolare dei “cambi di stato”.

Non finisce qui. In un videogioco dove la spazialità, in generale, e l’architettura, in particolare, hanno il compito di generare costantemente il sentimento del Sublime, non sorprende che gli sviluppatori di Elden Ring abbiano affidato, in maniera primigenia, proprio al secondo aspetto la rivelazione cruciale del titolo, il suo punto di svolta narrativo. La riduzione effettuata sulla statua di Marika rivela l’intimo segreto di quest’ultima: e cioè che è, in realtà, Radagon. Pur rinviando ad altri luoghi l’analisi strettamente narratologica della cd. lore del lavoro di FromSoftware, è innegabile che il dualismo Marika-Radagon generi una certa risposta nel videogiocatore, e lo induca a provare terrore verso un fenomeno che non è in grado di capire. 

Il rapporto di unità tra il genere maschile e femminile della divinità – insieme alla capacità di generare figli con se stessa – viene dunque accettato come un dogma e, contemporaneamente, funge da catalizzatore per spingere il fruitore alla soglia più alta. A ciò si aggiungono, ovviamente, i rilievi successivi che individuano la distruzione dell’Anello Ancestrale da parte di Marika come vero e proprio atto di consapevole ribellione verso un’altra entità – la Greater Will – in un gioco di scatole cinesi e motori immobili che si è solamente in grado di sfiorare, rimanendo ammaliati e atterriti dalle poche briciole di cui è possibile godere. Si impatta in un limite della ragione, di cui si riesce a sentire istintivamente il margine superiore ma non a farlo realmente proprio. Senza che, dopotutto, l’insieme perda di fascino.

Classicità e vastità dei cieli stellati.

Proprio la circolarità del passaggio dalla donna Marika all’uomo Radagon, e viceversa, simbolicamente rappresentata dal famoso ed equivoco disegno della dea crocifissa, dove effettivamente si presenta una certa illogicità delle forme capace di generare una paura primordiale, ricorda la lettura di Margaret Fuller dell’eterno femminino di Goethe. 

Il maschile e il femminile rappresentano le due facce del dualismo più radicato. Ma, nella realtà delle cose, si muovono costantemente l’uno nell’altro. Ciò che è fluido si indurisce e diviene solido, il solido precipita nel fluido. Non esiste uomo mascolino per davvero e non vi è donna esclusivamente femminina.

Margaret Fuller, citata in The Woman Question: Society and Literature in Britain and America, 1837-1883, Volume 1: Defining Voices, Di Elizabeth K. Helsinger, Robin Lauterbach Sheets, William R. Veeder, 1989. Citazione tradotta dal redattore.

Il concetto espresso dal trascendentalismo femminista ha due grandi meriti oltre, s’intende, a realizzare il fondamento filosofico del twist proposto da FromSoftware. Il primo è nella riflessione, conseguente e necessaria, sul punto di equilibrio tra le spinte verso l’alto provenienti dalla donna e la funzione conservativa dell’uomo (Marika distrugge l’anello, mentre Radagon prova a ricomporlo), il che si associa all’idea dell’essere umano dilaniato da desideri contrapposti, riflessi da forme fisiche mutevoli. Il secondo, maggiormente consono al perimetro di questo contributo, è da ricercarsi nel più generale argomento del Sublime Videoludico. 

…e dal Sublime al Sublime Videoludico

Dopo aver analizzato la dimensione – si potrebbe dire, quasi ironicamente – statica del Sublime in Elden Ring, cioè le modalità con cui lo studio giapponese ha realizzato la componente visiva del Sublime, attraverso una notevole direzione artistica basata sul dualismo tra Uomo e Natura, per il tramite dell’architettura e rinforzando poi il tutto attraverso un modello narrativo criptico e per dogmi, è tempo di allargare l’obiettivo. Come suggerito in apertura, si tratta di utilizzare Elden Ring in vece di esemplare perfetto della teoria generale del Sublime Videoludico, aiutando a confermarne la validità ad ampio spettro, proprio in rapporto al mezzo attraverso cui si esprime.

Illogicità e paure ancestrali.

In realtà, va sottolineato che negli ultimi anni si sono intensificati gli sforzi per un’impostazione dottrinale di questo tipo, che va ovviamente utilizzata quale base della nostra indagine. L’ultimo intervento in materia è da ricercarsi nell’eccezionale libro di Matthew Spokes, “Gaming and the Virtual Sublime: Rhetoric, Awe, Fear, and Death in Contemporary Video Games”, pubblicato nel 2020 da Emerald Publishing e, purtroppo, totalmente inedito in Italia. Dopo una veloce panoramica sulla storia filosofica del Sublime, passando dal “Trattato del Sublime” attribuito a Longino al techno-sublime di Fedorova, l’autore scopre finalmente le sue carte.

Essenzialmente, il mio obiettivo è quello di portare alla luce la complessità insita nei videogiochi tanto quanto nell’utenza e di riflettere su come il coinvolgimento che si pone in essere tra noi e queste esperienze emotive possa essere compreso attraverso il concetto del Sublime.

M. Spokes, Gaming and the Virtual Sublime, p. 61, citazione tradotta da Luca Rungi.

In altre parole, l’approccio metodologico di Spokes tradisce la volontà di superare il conflitto tra ludologi e narratologi, ormai arrivato a un punto morto e diventato addirittura parossistico. È solo la Critica sviluppatasi attorno al Sublime a esaltare le qualità uniche del videogioco. Grazie a una riedizione delle dinamiche soggetto-oggetto, sarebbe infatti in grado di amplificare l’ergodicità5 di questo medium, afferrandone la complessità ed evitando certi pericolosi strutturalismi, insieme ai morbosi tentativi di stabilire un confine arbitrario tra gli stessi. Pertanto, attraverso il Sublime si coglierebbe la totalità del videogioco.

Meraviglie e parallelismi. “Apertura di Liurnia”, a sinistra; “Viandante sul mare di nebbia” (Friedrich, 1818), a destra.

Meraviglie e parallelismi. “Apertura di Liurnia”, in alto; “Viandante sul mare di nebbia” (Friedrich, 1818), in basso.

Per portare avanti la sua trattazione, lo studioso anglosassone utilizza quattro parametri che identificano il Sublime Videoludico: Rhetoric (retorica), Awe (meraviglia), Fear (paura) e Death (morte), conditi da vari esempi pratici, come God of War (Santa Monica Studio, 2018), Sekiro: Shadows Die Twice (FromSoftware, 2019), Red Dead Redemption II (Rockstar Games, 2018) e Silent Hill 2 (Konami, 2001). Quello che Spokes non poteva sapere è che, solo due anni dopo l’uscita del libro, sarebbe arrivato sul mercato Elden Ring, capace di rispondere in maniera perfetta a ognuno di questi criteri, diventando a sua volta il metro di paragone futuro. 

In effetti, di Elden Ring si sono lette lodi sperticate in ogni dove. C’è chi ha speso litri di inchiostro virtuale magnificandone l’open world rivoluzionario, mentre altri si sono lasciati ingolosire dall’art direction o ne hanno celebrato alcuni aspetti relativi alle meccaniche-dinamiche di gioco. Eppure, l’unico frangente in cui emerge davvero come titolo di rottura, dato dal modo in cui tutte queste grandezze si mescolano tra loro per generare, nel fruitore, il sentimento del Sublime, è stato paradossalmente ignorato.6 

Andiamo con ordine. Per “meraviglia” Spokes si riferisce a quella derivante dalla spazialità del videogioco: in un certo senso, agli “interminati spazi al di là di quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quïete”7 così perfettamente espressi dalla poesia Leopardiana. Eppure, ciò a cui Spokes fa riferimento quando parla di “realistic environments” non è la mera grandezza e vastità degli ambienti, perfettamente espressa dalla prima menzionata apertura di Liurnia e dalle tecniche usate da FromSoftware per suscitare stupore descritte nel paragrafo precedente (lo stretto che sfocia nel largo e viceversa).

Schiacciati dal Sublime, in Farum Azula.

No: non è solo il semplice saccheggio delle tecniche costruttive del Colonnato del Bernini, che emergeva dalla Spina di Borgo, generando un contrasto tra ambienti. È qualcosa in più, che si lega alle peculiarità del quest design, all’assenza di quest marker, alla feralità degli NPC, alla difficoltà tipica di un Souls, al sovraccarico emotivo che va oltre ciò che si vede. È la molteplicità degli elementi di cui si compone il game design – e in maniera più impropria, il gioco – a investire il singolo individuo, generando il distacco tra soggetto e oggetto e quella sensazione di meravigliosa sopraffazione tipica del Sublime, appunto. Il quale spinge ad apprezzare e studiare il tutto, non la parte.

Retorica” e “paura”, invece, sono strettamente collegate.
Rifacendosi proprio al Sublime classico di Longino, Spokes scrive:

Longino descrive questa grandiosità cangiante come una portatrice di sentimenti singolari. La retorica del sublime produce estasi [ekstasis] piuttosto che persuasione nell’ascoltatore grazie a una combinazione di stupore [ekplêxis] e meraviglia [thaumasion], qualcosa di diverso da ciò che egli descrive come “semplice piacere”. (…)
La retorica procedurale può spingere i videogiocatori verso un’esperienza quasi trascendentale così come descritta da Longino stesso: la combinazione di una narrazione attraverso elementi architettonici e di tutto ciò che spinge il videogiocatore a procedere offre la possibilità di instillare meraviglia e sbigottimento nel caso gli sviluppatori intendano creare un videogioco proprio a questo scopo.

Ibidem, cap. 5. Citazione tradotta da Luca Rungi.

Se la retorica longiniana è perfettamente rappresentata dalla capacità dei pochi dialoghi di perturbare, a causa dell’utilizzo di un Old English decisamente evocativo – le “Marika’s own words”8 su tutti – il discorso si fa lievemente più complesso per quanto riguarda la cd. retorica procedurale, considerata in forza di retorica propria del videogioco. Nel caso della procedura che persuade, Spokes ne determina un complesso perimetro di elementi narrativi e ludici; incidentalmente, è perorata nuovamente la causa della “Critica del Sublime” come sintesi tra le due prima segnalate scuole di pensiero sul videogioco.

La Elden Beast contiene in sé stelle e galassie, unendo il Sublime matematico a quello dinamico.

Più precisamente, è la sensazione di terrore a ridurre la distanza tra controllante e controllato, avvicinando il primo, emotivamente, all’oggetto videogioco; si fonde, perciò, con la retorica “monodimensionale” di Longino, rendendola effettiva. Supera gli spazi meramente narrativi che sono incapaci ex se di colmare il naturale grado di separazione tra avatar e giocatore, riuscendo quindi a combinare la persuasione con la suggestione. In sostanza, Spokes rivede l’idea di Bogost-Frasca,9 arrivando a una concezione diversa e più ampia proprio attraverso il Sublime. La paura che deriva dalla precedentemente discussa transizione continua di genere tra Radagon e Marika, in quanto incomprensibile alla ragione, viene amplificata dal fatto che l’unico personaggio a poter fare altrettanto è proprio quello gestito dal videogiocatore. 

All’anonimo Senzaluce è concesso di potersi muovere a piacimento da un corpo femminile a uno maschile (e ritorno) durante la partita, sia all’hub di gioco che presso Rennala. Ecco che una semplice opzione di “modifica aspetto” acquisisce un nuovo significato, perché praticata da un’attrice la cui vita è stata devastata proprio dal dualismo Marika-Radagon. Chi è dall’altra parte dello schermo intuisce istintivamente il collegamento e, anche se non gli si presenta chiaramente agli occhi, lo conduce a sentirsi coinvolto dall’oggetto del suo terrore: è l’unico possibile destinatario di quella realtà, dopotutto. Colui che la svela e le si avvicina.

Ovviamente, a tutto questo vanno ad aggiungersi le immagini cristologiche di Radagon e l’apparente, successiva, anticlimaticità della battaglia con l’Elden Beast, l’araldo del vero Dio che sale in alto prima di attaccare in maniera incredibilmente aggraziata. Ogni componente di Elden Ring è (dis-)armonicamente collocata in modo da fondersi all’interno di un flusso ludonarrativo preciso, che arriva al giocatore e, parafrasando Longino, lo conduce all’estasi.

Eucaristie e crocifissioni.

L’ultimo parametro è “morte”. Spokes, a tal proposito, lo utilizza quasi come un equivalente di “Failure” (fallimento) e “Repetition” (Ripetizione), con delle lievi gradazioni.

A questo proposito, è possibile comprendere i concetti di fallimento e agency tenendo in considerazione il concetto virtuale del sublime, in quanto esperienza emotiva in grado di destabilizzare il soggetto (ovvero il videogiocatore) andando a minare la sua relazione con l’oggetto (il videogioco). In un’ottica Kantiana, la possibilità di avere una forma di controllo sulle conseguenze di ciò che si fa, di dirigere il cambiamento, viene sradicata.

Ibidem, cap.8, citazione tradotta da Luca Rungi.

Il rapporto tra il genere Souls e la morte è uno degli aspetti più investigati da parte della critica moderna. In questo frangente, però, non è inserita nella ricerca della perfezione del gesto tipicamente giapponese, l’arte quale techné, al cui culmine si arriva per approssimazioni successive e con il fallimento che ne delinea un passaggio fisiologico. È immaginata, per converso, quale perdita di controllo sul videogioco stesso, che dunque si rivela altro rispetto a chi, concretamente, lo sta giocando. Ma la morte non inferisce solo sul rapporto soggetto-oggetto: piuttosto,“symbolises or actualises the individual’s confrontation with their limit”; permette proprio al videogiocatore di spingersi oltre il limite. Questa struttura ludica indica “a subjective personal attempt at reconciling the absolute”,10 cioè un tentativo soggettivo di comunicare con quella potenza che potrebbe annientarlo, tornando a Schopenhauer.

Elden Ring fornisce, sul tema della morte, una risposta dotata di diversi layer, narrativi e ludici. Dal ruolo dell’Albero Madre nella rinascita alla quest di Fia, è a essa associata – con la morte di Dio e Fractured Marika come l’ultimo “Luogo di Grazia” visitabile durante il filone principale  – addirittura il finale del gioco. Ugualmente, è una componente fondamentale del core gameplay, al punto da essere estremamente caratterizzante, soprattutto nei confronti con i boss. Si potrebbe addirittura sostenere che Elden Ring sia il gioco della morte: ancora una volta rappresenta un limite verso cui tendere, seppur atterriti, prendendo in considerazione anche il livello di abilità personale.

La morte di Dio, in prima persona.

Metaforicamente, l’intera conclusione della storyline di Ranni esprime la potenza del Sublime attraverso le quattro grandezze di Spokes.
Profetizza così la strega, con il volto di Marika-Radagon appena riposto (simbolo della morte), lasciando pochi dubbi su quale fosse il vero e proprio cuore di Elden Ring e decretando proprio il passaggio tra le ere per il tramite del Sublime:

Oggi ha inizio la notte del gelo che tutto abbraccia, proteso verso il grande oltre. (Meraviglia)
Tra paura, dubbio e solitudine… (Paura)
Un sentiero che si inoltra nelle tenebre… (Retorica)
Ordunque, è tempo?

Elden Ring, monologo finale di Ranni. Aggiunte in parentesi del redattore.

Oltre Elden Ring c’è Disco Elysium

[DISCLAIMER: di qui in poi l’articolo contiene SPOILER MINORI su Disco Elysium]

L’ultima parte del nostro lungo contributo è dedicata al superamento di Elden Ring. Stabiliti, dunque, gli aspetti più centrali del Sublime Videoludico, è tempo di portare questi affilati strumenti su campi di battaglia diversi. 

In tal senso, la scelta di Disco Elysium non è casuale: data la complessità del titolo di ZA/UM sia in termini narrativi-tematici che puramente ludici, anche in questo caso il filtro del Sublime risulterà appropriato per coglierne il discorso unitario. Quello che, insomma, viene recepito istintivamente dal videogiocatore, soggetto, in rapporto con il videogioco, oggetto.

Eppure, Disco Elysium non è un videogioco artisticamente ispirato al Romanticismo. Anzi, dalla sua si spende per una Revachol espressionista, fino a toccare perfino l’espressionismo astratto quando c’è da raffigurare distorsioni dello spazio-tempo dovute a differenze di reddito troppo pronunciate. Harrier Du Bois non si muove in uno spazio segnato dal Gotico che desidera toccare la Natura, ma attraverso i dolori della Rivoluzione fallita, in un mondo decadente e decaduto.

Eppure, allo stesso tempo, Disco Elysium è il videogioco del non misurabile e dell’indefinito, grandezze in cui si muove il sentimento del Sublime.
Scrive Deleuze a riguardo:

Non riesco più a riprodurre delle parti, non riesco più a riconoscere le cose […] è l’infinito che racchiude in sé tutto lo spazio, oppure lo ribalta; se la sintesi della mia percezione è inibita, lo è in quanto la mia stessa comprensione estetica è compromessa, ovvero: non mi trovo in un ritmo, ma nel caos.

Kant: Synthesis and Time, seminario del 28 marzo 1978, citazione tradotta da Luca Rungi.

Il ritmo, caratteristica più intima della musica, diventa il modo per ricondurre a coerenza ciò che ha inevitabilmente alterato la percezione, minando la comprensione. Per ridurre il caos. E se su quel filo sottile tra queste due grandezze – ritmo e caos – si muove il Sublime, diventa chiaro che la danza si esprime come anti-Sublime, un modo per riaffermare il soggetto e la sua centralità nel mondo. Disco Elysium è già dal nome un ossimoro, il quale trova la vetta espressiva nella sua versione “Hardcore to the Mega” della chiesa. 

La chiesa e la danza. Disco (più) Elysium.

Questa piccola costruzione umana è, dopotutto, edificata attorno al Sublime, e in particolar modo a The Pale, l’antimateria, il Nulla che assorbe il Tutto, la Natura selvaggia e cattiva, l’entropia, il mare bianco di Saramago11 e, di nuovo, forse il Dio spinoziano. Accanto a The Pale, al suo andare e tornare dal mondo così come si viene e si va dagli stati che comunemente chiamiamo vita e morte “after life, death; after death, life again” e“after the world, the pale; after the pale, the world again” – c’è il ballo di Harry. Un ballo che il fruitore può o meno sbloccare, così come può o meno inchinarsi davanti alla figura di Dolores Dei, di nuovo il femminino eterno di Goethe;12 e il videogioco diventa un unicum restituito solo dalla dimensione ambivalente del Sublime. 

Lo stesso giocatore si trova davanti l’Amore – a suo modo un Sublime anch’esso, per il desiderio di giungere a una dimensione troppo elevata da capire appieno, tra terrore ed estasi – raggiungendolo solo da lontano: un telefono, un sogno. Dora diventa Dolores, il sovrumano si perde in un sentimento e, di nuovo, si è molto piccoli. 

All’opposto, Disco Elysium potrebbe edificare un nuovo Sublime, il Sublime politico: quella sensazione che si prova rendendosi conto di aver mancato clamorosamente l’appuntamento con la Storia, che quando si faceva non c’eri e, anche se ci fossi stato, non sarebbe cambiato nulla. Eppure si rimane legati al cambiamento mai avvenuto, per l’attrazione terribile che porta con sé, così come un disertore su un’isola disabitata. La Natura non è più tale, perché l’immutabilità è ora creata dagli Uomini, un eterno ritorno dell’uguale a cui nessuno può sfuggire.

Un giorno.

Eppure eccolo lì, il Fasmide. La potenza che atterrisce, la vendetta delle forze oltre la comprensione – anche del videogiocatore. Il terrore, la meraviglia, la morte, la retorica (qui addirittura un elemento di gameplay) si fondono insieme, generando il Sublime. A Harry non rimane che una mano tesa in una foto, simbolicamente avente lo stesso significato del Gotico: tensione perenne, tensione per sempre.

L’arte rende l’infinito avvertibile”,13 sostiene Andreij Tarkovskij. La grande lezione di Elden Ring è di avercelo ricordato, così come a memorie lontane ci riporta una gomma da masticare. Magari al gusto albicocca.

AAS 


NOTE:

1 QUESTE LE DEFINIZIONI, RISPETTIVAMENTE, DI MATHIAS GOERITZ E REM KOOLHAAS. QUI PER LEGGERNE ALTRE.

2 SI TRATTA DI UN CONCETTO APPARTENENTE ALLA FILOSOFIA DI BARUCH SPINOZA, PRESENTE NELLA SUA ETHICA (1677).

3 NEL GIÀ CITATO “UN’INDAGINE FILOSOFICA SULL’ORIGINE DELLE NOSTRE IDEE DI SUBLIME E BELLO”.

4 PIÙ PRECISAMENTE, LO SOSTIENE NEL SUO SPLENDIDO “LEZIONI SULL’ANALITICA DEL SUBLIME” (1991), EDITO IN ITALIA DA MIMESIS (2015).

5 CFR. CON CYBERTEXT: PERSPECTIVES ON ERGODIC LITERATURE BY ESPEN J. AARSETH, JOHN HOPKINS UNIV. PRESS, 1997. 

6 TRANNE CHE DALL’UTENTE LOWERCASE DI YOUTUBE CHE, IN QUESTO VIDEO PURTROPPO CON POCHISSIME VISUALIZZAZIONI, HA COLTO PIENAMENTE LA FACCENDA.

7 IL RIFERIMENTO È, OVVIAMENTE, A “L’INFINITO” (1819).

8 UN ESEMPIO: “IN MARIKA’S OWN WORDS. O RADAGON, LEAL HOUND OF THE GOLDEN ORDER. THOU’RT YET TO BECOME ME. THOU’RT YET TO BECOME A GOD. LET US BE SHATTERED, BOTH. MINE OTHER SELF”.

9 PER APPROFONDIRE:
BOGOST, I. (2007). PERSUASIVE GAMES: THE EXPRESSIVE POWER OF VIDEOGAMES. BOSTON REVIEW.
SIMULATION VERSUS NARRATIVE: INTRODUCTION TO LUDOLOGY, GONZALO FRASCA, VIDEO/GAME/THEORY, EDITED BY MARK J.P. WOLF AND BERNARD PERRON, ROUTLEDGE, 2003.

10 QUESTO VIRGOLETTATO, COSÌ COME IL PRECEDENTE, È TRATTO DA “M. SPOKES, GAMING AND THE VIRTUAL SUBLIME”, PAG. 141.

11 COSÌ IN “ENSAIO SOBRE A CEGUEIRA”, TRADOTTO IN ITALIANO CON “CECITÀ” (1995).

12 STAVOLTA NELLA SUA VERSIONE PIÙ “PURA”, COME BEN ANALIZZATO IN QUESTO ARTICOLO.

13 IN “SCOLPIRE IL TEMPO. RIFLESSIONI SUL CINEMA”, ED. UBULIBRI, 1995, PAG.39.


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Birra e videogiochi, figli di un dio minore?

Quando, nel 1986, Teo Musso, a soli 22 anni, aprì nel suo paesino nel cuneese la birreria Le Baladin1, stava essenzialmente compiendo un gesto di estrema ribellione. Provenendo da una famiglia di viticoltori, come da tradizione delle Langhe, il suo darsi alla birra era l’ennesimo atto di un ragazzo inquieto e “difficile” che, prima di trovare questa strada così perfetta per abbinare sogno e rivolta, era addirittura fuggito con un circo francese itinerante.

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Disco Elysium ovvero come ho amato la decadenza fin de siecle

Disco Elysium ovvero come ho amato la decadenza fin de siecle

  • Vincenzo Vecchio

  • 28 maggio 2021
  • noninteragire

[DISCLAIMER: questo articolo contiene anticipazioni sull’esperienza di Disco Elysium.]

Cosa penserebbe Kras Mazov, il padre della rivoluzione socialista e del materialismo storico, della misera metafora messa in scena in uno scalcinato club di lettura comunista di Revachol? Cosa penserebbe di una metafora che rappresenta la fragilità del sistema sociale tramite l’inevitabile collasso di una struttura interamente costruita con scatole di fiammiferi, costruita per noia o per divertimento nell’attesa che la prossima riunione inizi, proprio da alcuni adepti alle teorie della dottrina stessa? Penserebbe probabilmente che il fallimento della rivoluzione sia ironicamente intrinseco al percorso della storia. 

A dire il vero, questa è solo una delle possibili metafore che possono essere scovate tra le righe dell’intricato mondo in perenne conflitto sociale di Disco Elysium. Prima ed unica opera videoludica dello studio ZA/UM (scritto da Robert Kurvitz), concepita con la consapevolezza di essere il passo successivo nel genere di appartenenza. Senza disdegnare gli evidenti rimandi all’epoca d’oro dei giochi di ruolo occidentali e dell’Infinity Engine

Letture possibili

Un’ulteriore possibile lettura di Disco Elysium, è quella di un poliziotto alcolizzato all’ultimo stadio che annega nella sua stessa vergogna e nell’atroce consapevolezza della sua “ufficiale” inutilità, vera e propria nullità sociale, nella consapevolezza che la Legge a Revachol sia ormai nient’altro che un vezzo dello stato ultraliberale, a cui pochi nei quartieri poverissimi di Martinaise possono ancora permettersi il lusso di credere spontaneamente. Un poliziotto talmente sconvolto dall’alcol e dalle droghe – dopo una notte di solitario divertimento in una festa talmente privata da essere ad invito unico, ovvero se stesso – il quale cerca di distruggersi fisicamente e moralmente nel bel mezzo di un’inchiesta ufficiale, a proposito di un brutto omicidio. Anche quest’ultimo simbolo rappresenta un nichilismo sociale portato alle proprie estreme conseguenze.

Martinaise, un distretto di Revachol (o piuttosto Ravachol?), è infatti quel posto dove un cadavere rimane appeso per diversi giorni ad un albero all’interno del cortile dell’albergo di quartiere. Dove i cittadini comuni sono a proprio agio fumando una sigaretta al balcone proprio di fronte al cadavere in decomposizione, dove gli stessi cittadini non hanno nessuna repulsione a convivere con l’appeso mentre lo spogliano degli averi e dei vestiti, dove dei ragazzini giocano con il cadavere da diversi giorni. Ed infine, dove l’unico che fatica anche solo ad avvicinarsi è proprio il poliziotto stesso, bloccato fatalmente dai propri incontenibili conati di vomito. Un poliziotto ammaestrato da tanti anni di esperienza sul campo, ma che si ritrova senza risorse, colpito da un’imbarazzante amnesia che lo rende deficitario delle proprie caratteristiche analitiche, mentali, della propria autorità, che sono senza dubbio la base stessa per poter svolgere il lavoro che gli è stato affidato.

La prima spiacevole situazione.

Privati della memoria, ci si ritrova a chiedere spiegazioni ovvie di natura comune, sul passato, sulla storia, su che giorno sia in quel determinato momento se non perfino l’anno, sul posto in cui ci si trova o sulla prossima mossa da fare. Se ci sia stata la guerra e chi sia stato il vincitore. Se siete socialisti o piuttosto liberisti, se vi repellono le etnie diverse dalla vostra, se siete corrotti e corruttibili, se pensate che il male del mondo siano i grandi agglomerati industriali e finanziari. Se siete dalla parte dei vincitori o dei perdenti. Se pensate in definitiva di essere o no dalla parte giusta della storia. E se, al contrario, voleste giocare la carta dell’orgoglio e dunque non fare domande banali a sconosciuti che vi guardano come uno che dovrebbe impersonare la legge, per non scalfire l’immagine di voi stessi che faticosamente cercate di mantenere con dignità, ebbene sarete semplicemente al buio.

Ci si ritrova come l’uomo senza talento di Yoshiharu Tsuge, sprovvisto della benché minima volontà di affrontare un giorno di più di lavoro, di reagire ad un evento, di avere un moto di intraprendenza. Si è spaesati in un paesaggio geograficamente piatto, caotici nella riorganizzazione della propria vita e degli eventi. Per di più, accompagnati dal proprio sistema limbico – che dovrebbe in teoria garantire la vostra sopravvivenza quale valore primario – che vi invita costantemente al suicidio, e al proprio cervello rettile che predica quotidianamente la violenza come soluzione al minimo problema relazionale o anche solo lavorativo. Ma non ci si ferma qui, perché tutte le caratteristiche del personaggio interagiscono come fossero scisse dal personaggio stesso e si manifestano costantemente in un meraviglioso party da gioco di ruolo classico. Un’interessante schizofrenia, quasi un multi-personaggio non giocante, che vede la possibile malattia mentale diventare le varie parti che compongono il gruppo di cui il videogiocatore ha, più o meno, il controllo.

L’interazione di tipo testuale avviene persino con gli oggetti trovati nella mappa di gioco, colmi di dialoghi che si incastrano perfettamente con il resto della storiografia (è proprio il caso di dirlo), con le quest, i personaggi e gli eventi. È dunque una creazione del personaggio dissimulata in modo magistrale nelle maglie degli eventi, nelle domande che si riceveranno e nelle risposte che saranno date durante tutto il tempo di gioco. Se si sarà considerati fascisti, corrotti, idioti, benevoli, intelligenti o comunisti sarà solo per merito o demerito proprio. 

Il bellissimo skill set.

La storia fatta a pezzi

Nella piazza al centro di Revachol si trova un monumento equestre di gusto classico, un vecchio residuo della storia di cui nessuno conosce più il significato. La scultura fu ricucita insieme dopo che un’esplosione, durante la guerra, l’aveva fatta a pezzi. Se sia ritratto un eroe di guerra, un soldato ignoto, un intellettuale a cavallo delle sue idee, un semplice operaio o l’ultimo re (come in effetti è, si tratta di Philippe III), non ha nessuna importanza ormai. Non è un caso infatti che sia stata rappezzata a forza, lasciandola però come se fosse ancora ed eternamente esplosa in aria. Come se qualcuno avesse voluto cementificare una fotografia simbolica di quello che rappresenta oggi Revachol, dilaniata, divisa nel profondo ma tenuta insieme da sottili nervature di metallo che sanno di maldestra chirurgia d’emergenza. Revachol non è più in guerra, ma lo scontro sociale non si è mai fermato. Non si è mai firmata una tregua tra le diverse classi sociali, tanto che Martinaise è controllata dal sindacato portuale, che agisce da collante tra la popolazione, da polizia interna, da pacificatore in caso di problemi di ordine sociale, da welfare e ovviamente da organizzazione operaia. Elargisce mazzette, privilegi, progetta gli spazi cittadini e detta le regole di vita non scritte che saranno la barriera contro cui Harrier Du Bois – il poliziotto, cioè il rappresentante dell’ordine costituito, cioè la malattia mentale, cioè voi che videogiocate – si scontrerà costantemente, cercando di intaccare il guscio di incomprensione e incomunicabilità di una comunità che tende naturalmente a proteggere se stessa da un elemento di disturbo percepito come esterno

La scrittura di Disco Elysium è brillante. Le meccaniche da gioco di ruolo lo sono altrettanto, nonostante rimangano quasi invisibili al videogiocatore. La visione politica di ognuno conta, la vostra pure, i pregiudizi, l’ignoranza, le scelte affrettate, la logica mancata, l’onore e la vergogna, tutto vi viene riversato come un secchio di escrementi caldi sulla testa. E vi viene anche chiesto, gentilmente, di sorridere. Non è mica morto nessuno, in fondo.

Harrier Du Bois.

Noir e psicoanalisi

Invece sì, perché il vostro lavoro consiste proprio nel diramare la matassa in un caso di omicidio. Insieme all’assistente Kim Kitsuragi – la vostra ombra, il comune moralizzatore, il senso della misura – si dovrà risalire, come intrepidi salmoni, il torrente di menzogne e mezze verità che vi verranno addosso per dipanare il mistero dell’uomo impiccato. Ma vi accorgerete presto che l’omicidio non ha praticamente nessuna importanza. A nessuno importa del morto e in fondo nemmeno a voi. Tantomeno al morto importa più di se stesso, questo è evidente.

Lo scopo diventerà, prima di quanto si possa immaginare, inabissarvi nella vostra stessa anima, psicoanalizzando il vostro alter ego, rimanendo inesorabili con in mano un pugno di risposte senza senso e scalciando via alcuni dubbi persino su quello che pensate normalmente di voi stessi come persone. Disco Elysium è un videogioco che indaga la personalità alla stregua di un’ideologia politica. Spargendo al vento, come fossero molecole velenose, quattro diverse ideologie di cui prima o poi sarete preda: Comunismo, Fascismo, Liberismo, Moralismo (la morale considerata superiore al diritto), le quattro teorie che sono insite in uno qualsiasi dei dialoghi di Disco Elysium.

Va da sé che il percorso che si viene a delineare è suscettibile di cambiamento in base alla costruzione del personaggio. A titolo di esempio, la mia esperienza è stata piuttosto una questione di ferrea volontà, di un buon impiego di logica e di inaccettabili mancanze fisiche.

Harrier Du Bois è un poliziotto che ha perso il proprio distintivo (cioè il principio di autorità) e la propria arma (cioè la forza coercitiva). L’aver perso anche la memoria diventa quindi il giusto sotterfugio, abbastanza banale a dire il vero, per permettere ad una lavagna bianca di essere riempita. E non mancheranno di certo punti esperienza da assegnare, statistiche e gustosissimi bonus sotto forma di pensieri da sviluppare (il cosiddetto Thought Cabinet) in un dato periodo di tempo, per poter riempire a piacimento gli spazi vuoti dell’alter ego fino a trovargli una precisa collocazione sociale.

Ed è questo il punto di arrivo. Harrier Du Bois, senza il vostro imprinting mentale non riuscirebbe ad esistere in alcun modo. Non starebbe in piedi né fisicamente, a causa dei propri eccessi con l’alcol e le droghe, né mentalmente, a causa delle défaillance previste dagli sviluppatori. Un piccolo buco, costruito appositamente, dove inserire un pezzetto della vostra vera personalità. Questa è, in definitiva, l’esperienza che vuole regalare in primis Disco Elysium.

Planescape: Torment in tutta la sua bellezza.

Tutto è scritto

Tentare un’analisi di Disco Elysium vuol dire quindi sondare un universo di migliaia di parole che prima si scontrano e poi si incastrano. Di sottintesi spesso molto evidenti, ma anche di sfumature difficili da cogliere nell’immediato perché annegate in una marea di testo in cui è davvero facile perdersi. Una caratteristica questa che potrebbe essere considerata alla stregua di una logorrea descrittiva, ma che porta senza dubbio ad apprezzare un background narrativo talmente robusto e strutturato da sembrare l’opera preparatoria per un romanzo, se non addirittura il background tipico per accogliere una saga fantasy. Di fatti, molto del materiale utilizzato per scrivere Disco Elysium fu preparato proprio per un esperimento letterario di Robert Kurvitz, scrittore e co-fondatore di ZA/UM studio.

Disco Elysium è dunque a buon diritto un ibrido ben riuscito tra un romanzo e un videogioco. Anche per questi motivi la comparazione, che diversi hanno vivacemente sottolineato, con Planescape Torment è, anche a parere nostro, indovinata. 

I campi elisi possono aspettare

Planescape Torment è un videogioco del 1999, sviluppato da Black Isle Studios grazie al motore di gioco Infinity Engine e scritto dal leggendario Chris Avellone. Videogioco considerato unanimemente la più alta espressione nel genere di appartenenza, i computer role playing game.

Sono innumerevoli i chiari rimandi tra i due videogiochi: l’eroe senza nome perché amnesico. Il personaggio non giocante/spalla che conosce più cose sull’eroe dell’eroe stesso (Morte, un eccentrico teschio fluttuante in Planescape: Torment, il meticoloso e psico-rigido Kim Kitsuragi in Disco Elysium). La concezione non-lineare dello spazio/tempo (P:T. è ambientato nel multiverso di Planescape, un’ambientazione che si sviluppa quindi su diversi piani di esistenza, concepita per il gioco di ruolo da tavolo Advanced Dungeons and Dragons II° edizione, D.E. è ambientato in una fusione tra gli anni ‘70 del XIX° secolo e quelli del XX° che si potrebbe sintetizzare in: rivoluzione socialista, dopoguerra, avvento delle droghe, pessima disco music e pessimi vestiti). L’equilibrio naturale tra vita e morte, ovvero la morte di qualcuno che permette la rinascita dell’eroe (nel caso di P:T., la rinascita fisica del personaggio è consentita dalla contemporanea morte di un altro personaggio in uno dei piani del multiverso. Mentre in D.E. la faccenda è più sfumata e più terrena, un banale omicidio permette infatti all’eroe una rinascita di tipo spirituale, gli permette cioè di riprendere in mano la propria vita, quantomeno se si dimostra in grado di farlo). La base filosofica del racconto (in entrambi i videogiochi infatti la quest di fondo si può ridurre a nient’altro che “trova te stesso).

Le analogie si possono estendere anche alla costruzione tecnica del videogioco stesso. Entrambi i titoli utilizzano una visuale di tipo isometrico tipica dell’epoca d’oro dei computer role playing game. Entrambi narrano quasi esclusivamente grazie ad un semplice sistema di dialoghi a scelta multipla. Entrambi hanno un’interazione poco sviluppata o almeno tale potrebbe sembrare se comparata ad altri generi, un sistema di combattimento quasi controproducente o addirittura assente. Entrambi mostrano a schermo una quantità di linee di testo talmente prepotente da far pensare più ad un’opera scritta piuttosto che ad un videogioco. Un muro letteralmente insormontabile di testo che finirà per affaticare chiunque si metta in testa di scalarlo di buona volontà.

Non a caso, come dimostra la tesi sulla quantità elaborata nel materialismo dialettico da Friedrich Engels (nemmeno a farlo apposta) a partire da un certo numero anche la quantità diventa una qualità. Non è dunque un caso, marxisticamente parlando, che scritture così poderose portino a videogiochi dal respiro così ampio e profondo, oltre ad essere naturalmente apprezzati per tanti e diversi altri aspetti. 

Ravachol, chi altro?

François Koënigstein detto Ravachol, convinto socialista e anarchico francese, giustiziato nel 1892, simbolo stesso della rivoluzione disperata, è stato l’ispirazione per la città di Revachol in Disco Elysium. Una città, come si accennava già nel precedente articolo dedicato a questo titolo, in perenne rivolta. Rea di essersi voluta autogestire, colpevole per la propria volontà di indipendenza, una città divenuta simbolo di rivoluzione e dunque punita dalla comunità internazionale. Semi-distrutta con la forza della coercizione internazionale e dei bombardamenti democratici. La città della rivoluzione fallita, dove coesistono come fossero fuori dal tempo, vecchie glorie del passato che ricordano ancora la guerra rivoluzionaria, tecnologie poco affidabili dal gusto retro-futuristico, criminalità, alcolismo e droghe diventate vere epidemie, ideologie vecchie e nuove, medioevo e modernità, mitologia e paranormale.

Ravachol.

Un ambiente certamente ispirato alla cultura francese della Comune di Parigi, ma anche alle macerie del primo conflitto mondiale, alla rivoluzione russa, agli eccessi degli anni ‘70 del nostro novecento. Di fatti tutto il titolo rimbomba di sonorità francesi, nei nomi, nei luoghi e nell’atmosfera.

Revachol somiglia anche e soprattutto a Revanchisme, cioè spirito di rivalsa. Un atteggiamento tipico nell’opinione pubblica francese del dopoguerra franco-prussiano dovuto alla dolorosa perdita territoriale di Alsazia e Lorena. Un risentimento collettivo, una sorta di allargamento del sentimento di delusione ad un intero popolo, socialista nell’essenza e profondamente consapevole della propria identità comune ma mischiato perdipiù ad una sorta di perenne nostalgia del passato. Ognuno di questi aspetti è distillato con cura, goccia a goccia, nell’oceano fittizio in cui è immersa la costruzione di Disco Elysium. Una costruzione che sa di fine reinterpretazione e reinvenzione storica fin dalle primissime, splendide, righe di testo. E che non fa che migliorare a forza di scavare qui e là, tra la storia personale di un personaggio non giocante e la lettura di uno dei libri trovati in giro per la mappa di gioco.

La storia d’amore c’è

La storia d’amore c’è, è vero, ma è roba passata e perdipiù si confonde e diluisce ineluttabilmente con allucinazioni di tipo divino, impastate a lontani echi e ricordi di momenti felici che si trasformano prestissimo in un loop di sogni ricorrenti. Probabilmente la descrizione stessa dell’inferno. Harrier du Bois, eroe tragico e disilluso, diventa incredibilmente molle di spirito messo faccia a faccia ai suoi personali e tormentati ricordi.

La sua donna l’ha abbandonato. Una circostanza maledettamente infausta e banale. La storia inizia a diventare abbastanza chiara dopo una pietosa telefonata che sembrerebbe intercontinentale, dove il nostro devastato alter ego, biascica nonsensi e richieste ad una donna fredda, cattiva e idealizzata che lo tratta quasi con disprezzo. Harrier du Bois assume nel suo inconscio, ormai completamente in preda alla confusione, una divinità e la sua ex compagna, fuse entrambe in una singola figura mistica che ricorda più la concezione dantesca della donna, eterea, virtuosa e luminosa, piuttosto che la donna rivoluzionaria o la femminista arrabbiata degli anni settanta. Un errore di giudizio grossolano e fatale per Harrier du Bois. Una volta visto questo, ecco che si capisce subito il punto di rottura del personaggio. Un maldestro tentativo di rimettere insieme i cocci di un vaso rotto. Ancora una volta, una metafora immensa ed esaustiva dell’illusione umana, dell’interpretazione della realtà attraverso i propri bias cognitivi, della vita di Harrier du Bois, di Revachol, di Disco Elysium.

Harrier du Bois contempla il divino, è amore anche quello in fondo.

Il cattivo è un eroe

In ultima analisi, è difficile non pronunciarsi sul cattivo di Disco Elysium. L’unico responsabile dell’omicidio a sangue freddo del mercenario di cui Harrier du Bois è incaricato di risolvere il caso. Senza soffermarsi sui dettagli degli eventi, è utile in questo caso analizzare la figura in sé dell’omicida. Un vecchio, malandato, incattivito, nostalgico, che si nasconde da anni – dalla fine della guerra in effetti – e rifugge il ritorno in società. 

Anche qui, è difficile non notare l’aderenza del personaggio con l’incredibile storia di Hiroo Onoda (o di Teruo Nakamura), ultimo giapponese, o tra gli ultimi, ad arrendersi ai nemici della seconda guerra mondiale ben trent’anni dopo la dichiarazione ufficiale di resa del Giappone. Onoda fu ritrovato in una giungla filippina nel 1974 e rifiutava di credere che la guerra fosse finita

Iosef Lilianovich Dros, questo il nome del nostro omicida in cattività, prova disprezzo per il mondo attuale, per la modernità, per la rivoluzione fallita. Come il vecchio giapponese nella giungla, rifiuta il fallimento del progetto storico che era stato lo scopo della sua vita. Quello per cui aveva combattuto. E l’unico contatto con la società odierna non è altro che il mirino del suo vecchio fucile rivoluzionario, con cui scruta, interpreta e maledice la modernità.

Fin

Disco Elysium è in definitiva un esperimento di riscrittura della storia. A post soviet french island colony, ha scritto qualcuno su internet. Una frase che in estrema sintesi raccoglie, in tre o quattro parole, l’essenza stessa della concezione del background narrativo del videogioco. Un meraviglioso esperimento. 

VV


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