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Tag: RPG

Elden Ring, ovvero morte e rinascita dei Souls

Con Elden Ring, Hidetaka Miyazaki ha ucciso Dark Souls. E lo ha fatto anche con una certa dose di cattiveria. Nel nuovo mondo disegnato da From Software viene implementato un elemento, l’open-world, che poteva potenzialmente distruggere uno dei due pilastri fondamentali dell’economia di gioco assieme al gameplay: il curatissimo level design delle mappe.

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Cyberpunk 2077, parte seconda: un gioco di un futuro passato?

Cyberpunk 2077, parte seconda: un gioco di un futuro passato?

  • Alfredo Savy

  • 13 febbraio 2021
  • noninteragire

[DISCLAIMER: l’articolo contiene spoiler su Cyberpunk 2077.]

Di Cyberpunk 2077 abbiamo già scritto in precedenza, con lo scopo di chiarire o fornire spunti di discussione riguardo le problematicità relative allo sviluppo ed al lancio da parte di CDPROJEKT; inoltre, abbiamo dato uno sguardo generale – senza pretesa di completezza – alle posizioni che le parti in causa hanno assunto, dai videogiocatori alla stampa specializzata.
In questa seconda e ultima parte del coverage che dedichiamo al titolo di CDPROJEKT, ci concentreremo sull’analisi del gioco in quanto tale.


Il titolo che abbiamo scelto per discutere del cuore di Cyberpunk 2077 non è casuale. Pur ritenendolo un gioco intrigante e meritevole da molti punti di vista, non si può fare a meno di constatarne inciampi e difficoltà: questo vale sia dal punto di vista strutturale, e quindi afferente a elementi specifici di game design o di costruzione dell’open world, che narrativo-tematico.
Volendo schematizzare le fasi successive dell’argomentazione e rifuggendo dalla solita litania del diamante grezzo, si potrebbe dire che Cyberpunk 2077 è un gioco perfettamente riuscito a metà. Perfettamente perché in ogni singola parte in cui può essere decostruito, funziona; a metà perché l’impasto finale ha seri problemi di amalgama e, soprattutto, lascia tra le mani del fruitore un retrogusto – talvolta – di strutture ludiche superate o comunque perfezionate dai titoli a esso contemporanei.

SBAGLIANDO (NON) SI IMPARA?

Piccolo passo indietro, al 2015. L’uscita di The Witcher 3, nel maggio di quell’anno, ha segnato uno spartiacque per la considerazione collettiva di CDPROJEKT; l’ultimo capitolo della trilogia dello Strigo ha generato una fiumana di inchiostro digitale speso in articoli che ne riecheggiavano l’immensità, la maestosità e l’epica sottesa al racconto di Geralt e soci. Il che, va detto, non è sbagliato a prescindere dato che The Witcher 3 è un gran gioco, ma lo diventa nel momento in cui si è generata una sorta di cecità selettiva nei confronti dei vizi formali e sostanziali che pure emergevano anche da una impressione prima facie.
Spieghiamoci meglio: l’analisi teleologica, ossia relativa a mezzi e fini, risulta uno strumento particolarmente ficcante per discutere di un’opera senza però scomporla in “arti” che subiscono poi una valutazione singola. In questo modo, ogni componente che identifica un videogioco come tale – dal gameplay alle cinematiche passando per il quest e il game design – appartiene a un macrocosmo in cui tutti gli elementi vengono identificati soltanto come mezzi per raggiungere uno scopo specifico dello sviluppatore. Ciò che dovrebbe fare il critico è quello di verificare la bontà della riduzione a coerenza di strumenti e fini. Bene, in The Witcher 3 il rapporto tra queste due grandezze è problematico.
La sofferenza più grande si rileva tra le quest principali e le secondarie: per quanto queste ultime risultino ben elaborate sul piano dei dialoghi, dei temi e del più generico pathos narrativo, sono legate in maniera meno che mediocre alla main e al senso di urgenza che da essa si dipana. Per dirla in maniera più semplice: quale sarebbe l’elemento che fonda e razionalizza lo svolgimento di una missione riguardante dei formaggi in un maniero diroccato se, nel frattempo, Geralt è alla disperata ricerca della figlia scomparsa?
Nessuno.

Cyberpunk 2077 e The Witcher 3 sono intimamente legati.

Banalmente, questo genere di fenomenologia appartiene all’ambito della dissonanza ludonarrativa: il motivo per cui si affronta tale quest secondaria è prettamente ludico, segnando una frattura tra l’avatar – le cui priorità non vengono rispettate – e il videogiocatore, che desidera semplicemente capire quale mistero si celi nel collegamento tra prodotti caseari e castelli abbandonati. Il tutto, ovviamente causa una perdita di consistenza dell’intero impianto narrativo.
La dissonanza ludonarrativa di per sé non è una catastrofe e va soppesata sulla bilancia dei mezzi e dei fini di cui si discuteva poc’anzi. È possibile ridimensionare il problema se la missione principale sia nient’altro che un pretesto per spingere all’esplorazione di un mondo inteso come “parco giochi” (The Legend of Zelda: Breath of the Wild) o come luogo ultrareattivo alle decisioni del giocatore (gran parte dei titoli Bethesda Softworks), quindi una produzione che si concentri sul fruitore e sulle collegate dinamiche ludiche; se invece l’intera curvatura del gioco è indirizzata al racconto di una storia – appunto immensa, epica e maestosa – tanto da ricollocare la posizione del gameplay all’interno della struttura complessiva, allora abbiamo di fronte una zavorra che va evidenziata.
Ovviamente il grattacapo è spesso collegato al profilo di spazialità determinato dall’open world, in cui è necessario offrire al fruitore un numero soddisfacente di “puntini” da connettere e della cui qualità di connessione non si tiene abbastanza conto. E, in effetti, in The Witcher 3 esistono due dimensioni differenti: una all’interno della quest, che si attiva parlando con lo NPC di turno, e un’altra all’esterno di essa in cui tutto esiste come cosmesi e solo parzialmente come hitbox.

Night City è intrigante, ma statica.

Questa premessa è funzionale a far comprendere dove fosse rimasta CDPROJEKT dopo l’uscita di The Witcher 3: a un gioco enorme e ben scritto, ma con delle difficoltà di compatibilità tra le varie parti narrative che lo componevano e ad un profilo equivoco di game design. Perciò, stante anche l’uscita di titoli come Red Dead Redemption 2 che svolgevano in maniera più elegante questo compito, da Cyberpunk 2077 ci si aspettava un passo in avanti dal punto di vista della coesione.
Il dente va tolto subito: in Cyberpunk 2077 non solo non sono registrati miglioramenti sensibili, ma è addirittura possibile osservare una regressione. CDPROJEKT ha, infatti, realizzato una scelta di campo: quella di costruire un titolo strutturalmente simile a The Witcher 3, con main, secondarie e contratti organizzati secondo un sistema di scelte impattante non la struttura orizzontale della trama, bensì la “catena” narrativa della singola quest. L’impressione, però, è che tale scheletro sia stato utilizzato come ripiego dopo aver mancato una visione più grande e di sintesi tra le scuole Rockstar e Bethesda: mentre la prima è solita creare degli open world completamente imperniati sulla narrazione principale, la seconda si basa su mondi di gioco reattivi e incentrati sull’interazione reciproca tra missioni e fazioni. Probabilmente, l’intenzione di CDPROJEKT era quella di bilanciare queste due lezioni di game design, realizzando l’open world definitivo in cui veniva sia raccontata una grande storia che affrontato un complesso sistema di scelte e di interdipendenza tra le componenti ludiche; il mancato raggiungimento di quest’equilibrio ha comportato degli sbilanciamenti, il più evidente dei quali è rappresentato dalla durata della missione principale.
Non c’è nulla di male ad avere una main compressa nei tempi e nei fatti, sia chiaro; mancando però, in Cyberpunk 2077, quella struttura reattiva in funzione della quale è sacrificata la lunghezza degli avvenimenti, a un certo punto emergerà con forza la stortura di un open world cosmetico correlato a una main incapace di riempire gli spazi geografici offerti dal gioco stesso. Il tutto viene acuito dal ritorno delle secondarie concettualmente sconnesse dalla principale: V sta morendo e deve cercare di salvarsi, eppure continua a svolgere i vari compiti che gli vengono affidati semplicemente perché il giocatore desidera farlo. Ancora, bisogna avanzare con la principale per ricevere più secondarie e vedere aumentata le reputazione che comporta l’arrivo di nuovi contratti: le condizioni di urgenza di V, di nuovo, realizzano una frattura, una dissonanza, impossibile da giustificare. Un circolo vizioso in cui al giocatore viene scaricata – letteralmente – una quantità sempre maggiore di attività da svolgere mentre lo stato di salute del protagonista sembra peggiorare passo dopo passo nell’avventura.
Insomma. Un gioco che sacrifica la profondità ruolistica, un mondo vivo e reattivo e un sistema di fazioni sull’altare della storia, deve poi necessariamente possedere una narrazione principale lunga, densa e di grande respiro che sia in grado di colmare di senso il prodotto: tutti aspetti in cui Cyberpunk si esprime solo parzialmente e che parzialmente invalidano il giudizio sulla coerenza tra mezzi e fini.

MILLE V-ITE

Al contrario, il punto di fascino della produzione di CDPROJEKT è sicuramente rappresentato dalla grande quantità e qualità di contenuti esterni alla main: ogni quest secondaria, o semplice contratto, presenta una struttura narrativa e un carattere propri. In particolare, è facile osservare come lo sviluppatore polacco abbia immaginato una proposta a “ventaglio”, quasi delle “Night City tales” in cui immergersi e lasciarsi trasportare dagli eventi, variando l’offerta anche in termini di genere. Infatti ci si muove, quasi senza soluzione di continuità, da incarichi che si avvicinano alle storie di frontiera – di Panam Palmer – verso quelli neo-noir di River Ward, passando per le teorie del complotto politico dei coniugi Peralez, i racconti da strada di Johnny Silverhand, il carattere da thriller psicologico delle quest di Judy Alvarez, fino alla spiritualità di Joshua Stephenson in “Sinnerman”.

Vivere mille vite, una delle quali con i Nomadi.

Quest’ultima missione dimostra quanto grande sia stato lo sforzo di CDPROJEKT nel restituire al videogiocatore delle singole esperienze memorabili: la storia di un carcerato che decide di farsi crocifiggere come Gesù Cristo per poter trasmettere l’amore universale tramite braindance, espiando i propri peccati, non può che colpire chi è al di là dello schermo. L’intera missione sembra prendere spunto, infatti, da Silenzio di Shūsaku Endō rielaborandolo in chiave Cyberpunk: la violenta Night City, luogo di perdizione e di assenza della divinità, si confonde con il Giappone feudale del romanzo e conduce a una battaglia interiore tra il desiderio di una nuova spiritualità e l’arrendevolezza al peccato o alla semplice consapevolezza della propria umanità. La componente ruolistica, in questo come in altri casi, funge da vero e proprio “ingrediente segreto” per aumentare il coinvolgimento e far sentire il videogiocatore all’interno della struttura narrativa, mediante un sistema di interpretazione, dialoghi e scelte che – sebbene non influenzi oltre l’arco predeterminato della stessa quest – ha comunque la capacità di spingere il fruitore un passettino più in là all’interno della struttura ludica. Il poter effettivamente comunicare le proprie idee sul fatto che il detenuto fosse un povero pazzo o un illuminato dallo Spirito Santo, se il suo percorso di redenzione fosse meritevole di pietà o di disprezzo, ci rende maggiormente partecipi di ciò che accade a schermo e ci consente di modellare il nostro V pur sempre nei limiti del perimetro stabilito dallo sviluppatore e degli scopi che quest’ultimo si prefigge. Tutto ciò, unito alla libertà fornita dagli autori polacchi in termini di quest e level design rispetto ai lavori precedenti, costituisce un momento topico di Cyberpunk 2077 e di strappo con la serie The Witcher: infatti il gioco consente di poter raggiungere l’obiettivo – nella maggior parte dei casi– mediante un numero finito ma rilevante di approcci, utilizzando meccaniche stealth, arma bianca, semplice dialogo o capacità di hacking. Questo contribuisce a separare logicamente una missione dall’altra non solo come temi – il cui ventaglio era comunque superiore a The Witcher – ma anche come struttura, evitando l’utilizzo spropositato di alcune meccaniche come i sensi di Geralt.

Un estratto dalla quest di Joshua: si discute di Dio.

Un altro esempio di scrittura ricercata e impattante in Cyberpunk 2077 è sicuramente la quest The Hunt, in cui il già citato detective River Ward e V si lanciano alla ricerca di un nipote scomparso a causa di uno psicopatico che adescava le proprie vittime, depresse e ai margini della società, fingendo di offrire loro un aiuto psicologico. In questo caso, come già in Scenes from a Marriage dell’espansione Hearts of Stone di The Witcher 3, CDPROJEKT riesce a dimostrare perché è oggi considerata nel gotha dell’industria. Inserendo il videogiocatore in una cavalcata narrativa senza respiro – quasi al limite dell’avventura grafica o del walking simulator mediante lo strumento delle braindance – è realizzata una dimensione di disagio, di vite interrotte in una società ormai al crollo e in cui diventa faticoso distinguere le colpe dei padri e dei figli, in una spirale di violenza senza fine.
Il simbolismo è soprattutto nelle immagini, nei nomi. River rimanda forse a Mystic River (Eastwood, 2003) che tanto bene ha descritto i dolori del passato e del presente e le difficoltà del trauma. La casa degli orrori e il campo di mine che la circonda, dove i giovani adolescenti sono agganciati a delle macchine come animali da macello, ricorda la prima stagione di True Detective (Pizzolatto e Fukunaga, 2013) in cui Rust e Marty trovano i bambini rapiti da Ledoux e compari: una specie di buco nero dell’anima, un luogo ameno del male riconoscibile a pelle e a distanza, quasi come se fosse un eterno simbolismo di dolore e tragedia (cfr. con la casa nella neve di The Last of Us, Parte II di Druckmann, Gross, Naughty Dog 2020).

Una email tratta dalla quest The Hunt.

C’è, però, un grande rovescio della medaglia. Sebbene dal punto di vista “atomistico” tali missioni evidenzino dunque una grande cura dei particolari e siano capaci di entrare nella memoria del videogiocatore, l’idea di tirare su un collage così variegato conduce a un’ulteriore frammentazione del substrato narrativo, in realtà già abbastanza terremotato di suo. La struttura dei finali, in cui solo alcune strade trovano sbocco (Panam, Johnny) mentre ad altre è destinato solamente un semplice cenno o cameo, richiama un po’ la pessima gestione della politica in The Witcher 3, dove viene realizzata come un elemento distaccato dal resto e spesso sbrigativo in termini di influenza sugli altri avvenimenti.
Se, come abbiamo visto, esiste uno scarto tra una main che pone un’impellenza di vita o di morte e delle secondarie che sono poste in una dimensione dove quell’impellenza non sussiste, anche il rapporto tra secondarie stesse risulta fragile: mancando un momento topico in cui da tutti i fili tessuti viene sapientemente ricavato l’abito finale (es. “La Battaglia di Kaer Morhen” in The Witcher 3), Cyberpunk 2077 soffre di una compartimentazione eccessiva e straniante, in cui V sembra vivere mille vite ma nessuna di queste entra davvero in contatto con le altre.

Brusco cambio di scena per V, che ora discute di realtà e complotti.

Tutto questo non fa altro che rafforzare l’idea che – a un certo punto dello sviluppo, per cause intuibili e relative a tempo e costi – il team di Varsavia abbia deciso di compattare quanto realizzato e dargli un senso lasciando, però, una cicatrice agli occhi dei più attenti. In effetti, i tre rami principali del Secondo Atto (Takemura, Panam, Judy) sembrano ricollegarsi a una specifica area (Corporativo, Nomade, Vita di Strada) che rispecchia la natura dei prologhi e si riflette nei tre percorsi conclusivi (Hanako, Aldecaldos, Rogue). Potrebbe essere un caso, ma la possibilità che inizialmente fossero previste tre linee rosse e parallele non può essere scartata a priori; in questo senso, la sensazione di “mosaico” del prodotto finito sarebbe dovuta non all’aver consapevolmente evitato di migliorare la struttura di The Witcher ma alla necessità di mettere una toppa in corsa, unendo delle esperienze che sarebbero dovute rimanere separate.
In effetti esisterebbe al riguardo proprio un precedente targato CDPROJEKT, quel The Witcher 2 che, a seconda della decisione presa a Flotsam, spostava il videogiocatore a Vergen o all’accampamento appena fuori la città nanica, modificandone la prospettiva e raccogliendo un microcosmo di personaggi, oggetti, situazioni e quest fruibili unicamente in quel ramo.

TEMI E NARCOSI

Il tema fondamentale di Cyberpunk 2077 è quello del rapporto tra corpo e anima. Mentre altri aspetti tipici del cyberpunk moderno sono espressi in maniera sbrigativa e superficiale – come ad esempio quello dei potenziamenti e la relativa riflessione sul rapporto tra umanità e tecnologia relegato a una brutta serie di secondarie sulla cyberpsicosi – gli scrittori di CDPROJEKT hanno deciso di rendere centrale questo topos tanto caro al genere, rielaborato da una campagna cartacea per il GDR Cyberpunk 2020 (Never Fade Away, 1988) e già noto al grande pubblico grazie a un classico come Ghost in The Shell (Shirow, 1989).
Le domande che Cyberpunk 2077 solleva non sono affatto banali: una copia digitale di una persona deceduta è quella persona? Nel momento in cui un corpo rigetta biologicamente il suo precedente occupante a discapito di un altro, è corretto considerarlo ancora di proprietà del primo? Qual è il confine che separa la coscienza dall’involucro che la contiene? La risposta è lasciata ovviamente al videogiocatore nel finale e impatta, oltre all’etica, le intime credenze personali di quest’ultimo.

Alt-Cunningham, nel ruolo di demiurgo, spiega a V che non è più V.

In un certo senso, consegnare il corpo di V a Johnny Silverhand chiude il percorso del videogiocatore (appunto V-ideogamer) e del suo avatar, il quale non aveva un peso in quel mondo prima di essere controllato e sparisce nel nulla dopo la conclusione del controllo, raggiungendo la trascendenza promessa da Alt-Cunningham. V sbarca infatti in una dimensione diversa, la nostra, in cui porta con sé il bagaglio delle nozioni apprese a Night City ma in una nuova veste: quella di chi l’ha impersonato durante Cyberpunk 2077.
In effetti, la storia di Cyberpunk 2077 è la storia di Johnny Silverhand, di come sia morto e rinato dopo aver conosciuto il Videogiocatore, di quanto l’influenza di una persona reale l’abbia costretto a crescere e a cambiare e a modificare la sua bussola valoriale, abbandonando i panni del lottatore per il bello. E lo fa attraverso delle lunghe chiacchierate con un ragazzo morente, che ricordano Mr Robot (Esmail, 2015), con V che potrebbe identificarsi come un pezzo della personalità del Videogiocatore emersa nello specifico contesto di Cyberpunk 2077.
L’altro tema portante del titolo di CDPROJEKT, di conseguenza, non potrà essere altro che la resa: i cambiamenti che sono stati portati a quel mondo non hanno condotto a nulla, se non a un peggioramento e a un’ulteriore repressione nel corso degli anni. In effetti questo sembra riguardare anche la nostra storia e indurci ad una riflessione su quanto sia labile il confine tra partigiano e terrorista, etichette che vengono apposte a posteriori e in base alla narrazione che si vuole intraprendere. Riflettendoci, la bomba nucleare di Silverhand non distrugge l’Arasaka, anzi la rafforza; la caduta della prima rete conduce alle politiche di controllo della NetWatch; il collettivo Bartmoss pende dalle labbra di tale Swedenborg, una IA indovina da quattro soldi abbandonata a Pacifica e che parla come il fusarobot. Lo stesso V non è l’uomo del destino e il suo passaggio, in un modo o nell’altro, segnerà unicamente le persone che ha incontrato, senza capovolgere l’assetto istituzionale; nessuno, nel mondo di Cyberpunk 2077, pare poter aspirare a un traguardo maggiore che dare il nome a un drink dopo la propria morte, quale unica traccia nella Storia e risultato di un trapasso spettacolare. Desolante.

Parole a caso.

Ciò che stranisce, però, è come né da parte della Rete né da parte delle community videoludiche in generale, siano sgorgate discussioni circa gli interrogativi ed i temi etici sollevati dagli sviluppatori. Il paragone con The Last of Us Parte II, gioco decisamente più lineare ma che ha suscitato un certo tipo di reazione da parte del pubblico riguardo i valori espressi, sorge spontaneo; cosa non ha funzionato in Cyberpunk 2077? Le risposte potrebbero essere varie.
In primo luogo, la tempesta mediatica che ne ha accompagnato il lancio potrebbe aver probabilmente strozzato la disamina contenutistica, spostando l’asse dell’analisi.
In secondo luogo, date le caratteristiche di Cyberpunk 2077, molti potrebbero non aver vissuto con un certo trasporto determinate volate ideologiche, preferendo un approccio più ancorato al suolo e ai personaggi; il che ci conduce al terzo e ultimo aspetto critico.
Cyberpunk 2077 è un titolo scritto secondo una chiave intimista e che, spesso, tende a narcotizzare i grandi temi concentrandosi sulla dimensione affettiva che riguarda i “tipi” e gli “individui” di cui si compone. Crea un legame fisiologico tra V e chi gli orbita intorno; di conseguenza, tra il videogiocatore e gli NPC, scritti con maestria e vivacità.
Questa caratteristica, insieme alla distanza che separa main e secondarie e tra secondarie stesse – di cui si è abbondantemente discusso -, contribuisce a dare l’impressione di un gioco che tende a girare in tondo attorno all’obiettivo, creando un solco di passaggi e contropassaggi che si perdono a un passo dal punto d’arrivo.

Di un gioco che tende a essere, come suggerito in apertura, perfettamente riuscito a metà.

AAS


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Cyberpunk 2077, parte prima: cronaca di un percorso tortuoso

Cyberpunk 2077, parte prima: cronaca di un percorso tortuoso

  • Alfredo Savy

  • 6 febbraio 2021
  • noninteragire

Per le riflessioni che comporta e la difficoltà della trattazione, abbiamo ritenuto opportuno disegnare il quadro complessivo del contesto prima di avventurarci nelle specificità del gioco: questa successiva operazione, niente affatto più immediata, sarà però totalmente incentrata sulla dimensione ludica, dimenticandoci degli episodi di costume che hanno accompagnato Cyberpunk 2077 e ai quali è invece dedicato questo approfondimento.


Anche in un periodo posteriore all’uscita, l’analisi di Cyberpunk 2077 rimane complessa e articolata: le intricate vicende extra-ludiche che ne hanno accompagnato il lancio rappresentano un momento topico di questa stagione del videogioco e, probabilmente, andranno a influenzarne anche le successive.
La storia commerciale di Cyberpunk 2077 è scomponibile in quattro atti: dalla semplice cronaca di quanto accaduto ci si muove verso le prospettive del gioco per il futuro, passando attraverso il tema centrale della “asimmetria informativa” e del ruolo che le altre parti (stampa, hardware houses, videogiocatori) hanno assunto nel corso del tempo. A ogni atto sarà quindi dedicato una piccola finestra nella quale saranno introdotti questi argomenti al lettore, senza pretesa di esaustività ma con il desiderio di fornire argomentazioni convincenti o, quantomeno, interessanti.

DAL PARADISO ALL’INFERNO

Annunciato per la prima volta nella primavera del 2012 e mostratosi in video attraverso un piccolo e concettuale teaser qualche mese dopo su YouTube, Cyberpunk 2077 è finito per diverso tempo ai margini della comunicazione di CDPROJEKT, la Software House polacca famosa per i propri lavori sulla serie The Witcher. In effetti lo sviluppatore di Varsavia era allora a cavallo tra la seconda e terza installazione dei giochi dello Strigo Geralt; in particolare, The Witcher 3 avrebbe concluso un percorso iniziato quasi un decennio prima, ricevendo lodi più o meno sperticate di pubblico e di critica e ottenendo anche un grande successo di vendite. Di lì in poi, l’azienda si sarebbe trasformata in un gigante europeo del settore videoludico.
Oltre a queste note positive, è importante sottolineare come CDPROJEKT fosse riuscita a creare un’immagine di software house “amica” dei videogiocatori, grazie a un corposo supporto di DLC gratuiti post-lancio, a delle espansioni vendute a un prezzo molto accessibile per qualità e durata e al rigetto di politiche viste di cattivo occhio dalle community come i DRM e le microtransazioni. La collocazione commerciale di CDPROJEKT rispetto ai propri acquirenti era indirizzata nel costruire un legame stabile con chi aveva deciso di supportarli: un gigantesco “di noi ci si può fidare”, insomma.

CDPROJEKT all’E3 2004…

Dopo vari anni di silenzio e voci che si rincorrevano incessanti sulla rete, Cyberpunk 2077 ricompare sul palco dell’E3 con un trailer esplosivo e accompagnato dalla figura di Keanu Reeves, il quale veniva contestualmente annunciato nella parte dell’enigmatico rocker Johnny Silverhand, figura ricorrente nel gioco di ruolo cartaceo “Cyberpunk 2020” da cui l’intero progetto trae ispirazione. Sembra un matrimonio perfetto: una delle compagnie di videogiochi più amate e rispettate del globo terracqueo si congiungeva metaforicamente con un personaggio altrettanto benvoluto e – non a torto, sia chiaro – osannato dagli appassionati del medium cinematografico. A coronare il sogno vi era la presenza di Mike Pondsmith, autore del già citato Cyberpunk 2020, come sigillo di garanzia e certificato umano di qualità dell’intera produzione, mettendo in cassaforte anche il rispetto dei valori dell’opera originale.
Date queste carte sul tavolo, non poteva che seguire un trionfo annunciato: in effetti è esattamente questo ciò che accadde, come visibilmente rappresentato dall’estasi collettiva della kermesse losangelina.
In realtà, alcune minuscole crepe di ciò che sarebbe accaduto poi erano visibili già nel giugno 2018 quando Iwinski, co-CEO di CDPROJEKT, parlò espressamente di un avvenuto “cambio di direzione” durante lo sviluppo: una parola terribilmente simile a “reboot”. Il tutto era già intuibile, sebbene non dimostrabile, dalla frattura semantica che separava il teaser del 2013, ambientato in una cupa Night City e centrato tematicamente sul fenomeno delle “augmentation”, dei potenziamenti artificiali al corpo umano, e la luminosa immagine techno-cafonal mostrata un lustro dopo attorno alla figura del mercenario V. Il trailer di Cyberpunk 2077 non fu infatti apprezzato da William Gibson e risultò poco aderente all’idea di Cyberpunk ormai di dominio pubblico, ancorato ad atmosfere come quelle di Neuromante o create dalla penna di Philip K. Dick. In ogni caso, l’attuale versione di Cyberpunk 2077 si presentava come più vicina al GDR cartaceo, e la questione stilistica venne presto liquidata in tal senso ma dimenticandosi pure delle frasi sul “quasi riavvio” del progetto che avevano acceso una fiammella di dibattito.

…e alla Gamescom del 2014.

Successivamente, l’uscita di Cyberpunk 2077 venne annunciata per aprile 2020; sebbene in alcune interviste trapelasse qualche incertezza più del dovuto, i preorder continuavano a volare e non sembravano esserci grosse polemiche in vista. Il successivo gennaio 2020 risultò essere un mese cruciale: un nuovo rinvio, stavolta a settembre, e le opinioni diffuse che accusavano il gioco di transfobia e di crunch,iniziarono a diventare elementi di dubbio collettivo. Il giorno di uscita effettivo di Cyberpunk, dieci dicembre 2020 e dopo due ulteriori rinvii, sembrava quindi assumere i crismi della liberazione collettiva, una data segnata in rosso dai videogiocatori di tutto il mondo; ed è qui che inizia la più grande polemica della storia recente dei videogiochi.
Cyberpunk viene infatti premiato dalla stampa in versione PC, ottenendo un aggregatore metacritic superiore ai novanta centesimi; nello stesso momento, però, il gioco sembra girare benino su next gen, discretamente bene sulle midgen e veramente male sulle macchine del 2013, le cui copie review non erano state sottoposte a recensione perché non materialmente inviate alle redazioni. Soprattutto nella sua versione del Day One, senza patch, Cyberpunk 2077 presenta un numero considerevole di glitch, bug, crash, frame rate e risoluzione claudicanti.

Volendo centrare il tema dei giorni successivi, si potrebbe rilevare l’immediata e importante richiesta di rimborso da parte dei possessori di hardware old gen; la straordinarietà della situazione risulta essere completamente incompatibile con il sistema di policy del PlayStation Store, conducendo all’esclusione del gioco dalla piattaforma digitale.

Allo stesso tempo inizia, sui canali social e generalmente sui luoghi di aggregazione online, un’ondata di indignazione collettiva che spesso pare sfociare nell’isteria, un vero e proprio moto di disgusto che travolge sia il gioco nella sua interezza che la software house polacca: si sente parlare di “truffa” e si fa labile la distinzione tra contenuti e forma, riducendo l’intero discorso alla cronaca di un disastro annunciato anche sul lato prettamente ludico di Cyberpunk.
A queste voci si uniscono, in maniera più forte e pressante, le già citate accuse presenti nel periodo precedente l’uscita riguardo lo sfruttamento dei lavoratori e il tratteggio di un’immagine non favorevole agli individui trans; la vicenda assumerà dei connotati addirittura macabri e inaccettabili con l’invio minacce di morte ad alcuni dipendenti dell’azienda polacca, costretti a lasciare i social.
Ancora, seguiranno class-action condotte dai soci di minoranza danneggiati dal conseguente tonfo del titolo di CDProjekt, investigazioni dell’AGCM polacca e, infine, le rassicurazioni da parte di CDProjekt sul supporto che avrà luogo negli anni a venire.

ASIMMETRIE INFORMATIVE

Cyberpunk 2077 runs “surprisingly well” on current-gen consoles.

Adam Kaciński, co-CEO di CDPROJEKT.

Partiamo dalla definizione. Si verifica asimmetria informativa quando un produttore conosce qualcosa di cui l’acquirente non possiede contezza e non lo comunica; questo comportamento è biasimabile su diversi piani, da quello etico a quello più squisitamente legale e commerciale. Nel nostro caso, il fatto che CDPROJEKT fosse consapevole dello stato di salute delle versioni base e abbia comunque deciso di proseguire con la pubblicazione del gioco su queste piattaforme, sbilanciandosi con dichiarazioni lontane dalla realtà, è deprecabile e conduce alla giusta pretesa del rimborso come pure all’insoddisfazione dei consumatori in senso lato sul piano dell’immagine.
Non si può infatti evitare di provare un senso di fastidio davanti al mutismo selettivo di CDPROJEKT, che non ha mai mostrato di prima mano le versioni per PS4, Xbox One e One S, utilizzando al contrario le midgen PS4 Pro e Xbox One X come minimo sindacale.

Esempio visivo di asimmetria informativa.

Allo stesso tempo, però, queste considerazioni non possono e non devono invadere lo spazio vitale che appartiene al Videogioco, inteso nella sua accezione più stretta e sedimentata, e riflettersi sul giudizio di valore che gli viene attribuito. Per dirla altrimenti: l’asimmetria informativa è una bad practice molto grave in un mercato che tende verso la concorrenza perfetta, ma non per questo si è autorizzati a presumere che Cyberpunk sia un gioco indiscutibilmente brutto. Il termine “presunzione” non è usato a caso, ma come sinonimo di supposizione: molto spesso si sono accollati alla marcia imperiale di indispettiti – se non l’hanno addirittura fomentata – schiere di persone che il gioco non l’hanno acquistato o nemmeno provato, provocando un calo di credibilità della contrapposizione e degradandola a baraonda, finendo per danneggiare anche chi esprimeva una posizione più che legittima.
Inoltre, sebbene risulti ormai chiaro che Cyberpunk 2077 sia stato decisamente rimaneggiato nel corso degli anni e tante promesse degli sviluppatori non si siano poi concretamente realizzate nella versione definitiva del gioco, è un errore metodologico utilizzare ciò che non è presente in un’opera ai fini di un’analisi critica della stessa. Il giudizio deve essere operato sempre e solo su quello che esiste, e non in base a ciò che sarebbe dovuto esistere: la mancanza di alcune feature annunciate in pompa magna non ricade sulla qualità del prodotto finale ma afferisce sempre alla critica dei processi comunicativi attuati da CDPROJEKT. L’assenza di un sistema di arrampicata verticale, ad esempio, potrebbe aver condotto a un risultato migliore rispetto alla sua presenza in termini di coerenza del game design: si può contestare a CDPROJEKT di aver promesso e non mantenuto, ma non si può affermare che Cyberpunk 2077 sia monco perché non esistono questa o altre componenti.

E LA STAMPA? E SONY? E MICROSOFT?

Passando ai soggetti “esterni” alla vicenda, per quanto sia pacifico che le mancanze dello sviluppatore polacco non possano in alcun modo realizzare un profilo di equivalente responsabilità dei redattori, sarebbe sciocco liquidare così in breve la questione.
Il ruolo della stampa libera, critica, virtuosa, non è e non può essere quello di assecondare una narrazione del produttore.
Se è palese insomma che l’invio alle redazioni della sola versione PC da parte di CDPROJEKT sia senz’altro torbido, la giustificazione “questo ci hanno mandato, questo abbiamo recensito” non è accettabile e assomiglia più a un pallido tentativo di sottrarsi alle insofferenze collettive che alla realtà dei fatti. Il giornalista, anche non specificamente d’inchiesta, è garante di trasparenza e pubblicità – nel significato più pregno del termine, cioè quello di portare al pubblico la sostanza delle cose – e del bilanciamento tra l’esigenza di vendere dei produttori e l’acquisto consapevole dei consumatori.

Metacritic per PC il giorno del lancio…

Tutto ciò è clamorosamente venuto meno con Cyberpunk, con i recensori che si sono limitati a seguire le tracce che lo studio gli aveva proposto e hanno rinunciato all’intermediazione necessaria tra le parti; ciò non bastasse, si è assistito a una rotazione di 180 gradi delle opinioni, riflessa sul calo del voto aggregato Metacritic anche della versione PC, e la messa in moto di un bombardamento mediatico volto a sottolineare errori e mancanze del gioco.
Un’operazione esattamente speculare a quella di esaltazione che aveva accompagnato lo sviluppo di Cyberpunk 2077 durante gli anni, e che nessuno aveva neanche immaginato di porre in essere prima del lancio, sebbene nell’aria ci fosse più di qualche avvisaglia.
Insomma, è emerso con forza un sinallagma ben preciso, riassumibile nel fatto che se vuoi essere un sito competitivo devi poter scrivere per tempo; se vuoi poter scrivere per tempo, necessiti di ricevere il gioco per tempo e per ottenerlo hai una sola fonte, cioè chi da quei giochi trae profitto ed è parte interessata. Ovviamente ciò comporta un abbassamento del livello di protezione del consumatore, non scientemente voluto da parte della stampa di settore ma pericoloso per lo stato di salute della stessa e per il coefficiente di affidabilità e fiducia che viene riservato alle valutazioni dei redattori.

…e dopo la shitstorm.

Infine, un cenno va anche alle case produttrici di hardware: per quanto il controllo qualità di Sony Microsoft probabilmente non abbia una dimensione profonda come da credenza popolare, la condizione di Cyberpunk 2077 al lancio probabilmente dovrà spingere anche a ripensare questo strumento come salvaguardia del cliente finale rispetto alla giusta pretesa di ricevere un prodotto sufficientemente fruibile, creando dei criteri che stabiliscano quale sia il livello minimo di accettabilità e modificando i meccanismi di rimborso digitale per venire incontro alle situazioni del domani.

IL FUTURO DI CYBERPUNK 2077

CDPROJEKT è stata sufficientemente chiara: Cyberpunk 2077 verrà supportato a lungo, e probabilmente lo sarà in quattro fasi di cui noi conosciamo attualmente le prime due.
Infatti, dopo aver risolto i problemi tecnici che attanagliano il titolo, sarà il momento dei DLC gratuiti – cosmetici e piccole aggiunte narrative – e della versione next-gen, per poi passare alle espansioni a pagamento, come fu per The Witcher 3. L’ultima fase, probabilmente, sarà quella del multiplayer di cui attualmente non è dato sapere con certezza contenuti e modalità.

La roadmap di Cyberpunk 2077, anno domini 2021.

Anche qui, però, il problema rischia di essere metodologico.
Per quanto il gioco possa essere abbellito, modificato e migliorato, l’impressione è che esista un Cyberpunk 2077 virtuale, risultato di anni di marketing capzioso, hype culture e sogni dell’utenza, e un Cyberpunk 2077 reale, come ci è stato concretamente presentato. La release del dieci dicembre sarà soggetta a un importante piano di upgrade e questo è certo, ma la possibilità che non venga mai colmata la distanza tra ciò che i videogiocatori pensavano di ottenere e ciò che avranno è molto concreta; ciò potrebbe condurre a una diatriba potenzialmente senza fine.

Cyberpunk 2077 è e rimarrà un gioco storico. Non solo per la componente strettamente ludica, cui dedicheremo un autonomo approfondimento, ma per l’aver segnato in maniera irreversibile la discussione riguardo i rapporti tra SH, fruitori, stampa e produttori di hardware. Un gioco che, come Icaro, ha avuto il difetto di ambire così tanto da puntare al sole e bruciarsi, danneggiando parzialmente la reputazione di una compagnia molto apprezzata e provocandole un notevole colpo economico sul mercato azionario.
C’è un prima Cyberpunk 2077 e un dopo Cyberpunk 2077: solo sul lungo periodo avremo modo di capire se quanto visto sarà capace di muovere positivamente i fili dell’industria oppure relegarla a uno stato comatoso, a una posizione vegetativa in cui il terrore di generare un’altra spirale del genere conduca a produzioni sempre più standardizzate, timorose e dai budget contenuti.

AAS


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