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Oltre il sogno americano: Banana Fish e J. D. Salinger

A un primo ascolto pare un nome buffo, innocuo addirittura, ma è in realtà presagio di morte. Porta con sé dolore e sventura, e il solo udirne il nome fa accapponare la pelle. Bananafish – o pescebanana – è un personaggio, o sarebbe meglio dire un concetto, ideato dallo scrittore statunitense J. D. Salinger all’interno del racconto “Un giorno ideale per i pescibanana”, contenuto nella raccolta Nove Racconti (1948). Banana Fish è anche il titolo del manga scritto e disegnato da Akimi Yoshida (1985-94) che è tornato a far parlare di sé dopo l’adattamento animato1 del 2018, che ha riacceso quel senso agrodolce di nostalgia capace di fondere orrore e fascinazione, vita e morte, che solo la visione del pescebanana riesce a evocare.

Chi li vuole i fiori, quando sei morto?2

Per chi ha letto Franny e Zooey (1961), il nome di Seymour Glass risulterà famigliare. Il protagonista di Un giorno ideale per i pesci banana è un uomo di cultura, poeta e artista di fama internazionale, nonché poliglotta e avido lettore di classici russi sin dall’infanzia. Non solo: Seymour è anche un veterano di guerra, quella del trentanove-quarantacinque. Una guerra che non lo fa dormire la notte e che angoscia la madre della moglie Muriel, perché un uomo traumatizzato è potenzialmente un uomo pericoloso. Un uomo traumatizzato potrebbe perdere il controllo. Inizia così il racconto di Salinger, con un dialogo telefonico tra moglie e suocera da cui si respirano noia, superficialità, e quel materialismo tanto odiato dall’autore. Un dialogo a cui prestare attenzione, perché Salinger, si sa, non nutre grande simpatia per le lunghe descrizioni, né ama crogiolarsi con paroloni ricercati. Essenzialità e colloquialità sono due parole chiave dello stile narrativo dell’autore, in cui i dialoghi si alternano ai silenzi ed è proprio lì, al confine tra detto e non detto, che scopriamo il vero significato di parole solo apparentemente semplici. Uno stile schietto che riflette un animo amaro, riconoscibile da uno degli incipit più noti:

Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com’è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla David Copperfield, ma a me non mi va proprio di parlarne. Primo, quella roba mi secca, e secondo, ai miei genitori gli verrebbero un paio di infarti per uno se dicessi qualcosa di troppo personale sul loro conto. Sono tremendamente suscettibili su queste cose, soprattutto mio padre. Carini e tutto quanto – chi lo nega – ma anche maledettamente suscettibili. D’altronde, non ho nessuna voglia di mettermi a raccontare tutta la mia dannata autobiografia e compagnia bella.

Incipit de “Il giovane Holden” (1951)

Come il suo personaggio, anche J.D. Salinger fu profondamente segnato dalla Seconda Guerra Mondiale. “È impossibile non sentire più l’odore dei corpi bruciati, non importa quanto a lungo tu viva”3 la figlia ricorda avergli sentito dire. La stessa figlia che lo descrisse come “un mostro di cattiveria, egoismo, freddezza e taccagneria”. Salinger è noto al grande pubblico soprattutto per il suo capolavoro, caposaldo della letteratura per ragazzi, Il giovane Holden (1951), dalle cui pagine è facile farsi l’idea di un uomo – lo stesso Salinger, che usa Holden come alter ego – per molti versi anticonformista, arrabbiato con la vita e forse con se stesso, proprio come il protagonista del suo romanzo. È vero, Salinger era un uomo arrabbiato, riservato e piuttosto schivo, addirittura misterioso a detta di chi lo conosceva, ma era soprattutto un uomo distrutto. Nel fumetto di Valentina Grande ed Eva Rossetti, pubblicato per BeccoGiallo, Il mio Salinger (2017), scopriamo di più sul “prima” della vita di Salinger, che nel maggio del 1945 era ancora semplicemente Jerry, un soldato ebreo emotivamente devastato e un uomo innamorato di una donna tedesca, la dottoressa Sylvia Werter. Fu un amore breve, ma intenso e doloroso. Un’ulteriore mazzata, forse proprio quella che diede il La all’impulso creativo e al bisogno di mettere nero su bianco i traumi, il dolore e la rabbia.

Holden e Salinger, personaggio e autore. Così lontani ma così simili.
(Dalla copertina del fumetto “Il mio Salinger”)

Salinger mette molto di sé in Holden, un ragazzo che ce l’ha con il mondo perché in fin dei conti non comprende per primo se stesso, e non riesce a comprendere quale sia il senso di tutto. E poi mette se stesso anche in Seymour, artista e intellettuale dall’animo spezzato, avvolto dalla pazzia mascherata da agiatezza, messa in ombra dalla vita benestante e da una moglie frivola, ma in verità talmente a pezzi da avere una fine già scritta: la morte. Più accuratamente, una morte violenta.

Un giorno ideale per i pesci banana inizia in una stanza d’albergo. Mentre la giovane Muriel è al telefono con la madre nella camera di un hotel di lusso, Seymour è solo, seduto in un angolo della spiaggia fuori dall’hotel. Lo sguardo spento, la mente invasa da chissà quali pensieri e i tentativi di nascondere un tatuaggio che sembra non esserci – forse una ferita più profonda e non visibile agli occhi di chi non sa vedere. Gli si avvicina Sybil, una bambina incuriosita da quell’uomo così insolito e che a chi legge, inizialmente, mette un brivido di paura. Ma l’uomo non è cattivo, è solo pazzo e triste, non ha intenzione di fare del male. La bambina, che ancora non sa pronunciare bene tutti i suoni della lingua inglese, lo chiama “See more”, e forse ha ragione: quell’uomo misterioso vede molto più degli altri, e molto più di quello che dà a vedere. Seymour chiede alla bambina di fare un gioco e invita Sybil a tentare di avvistare nell’acqua i pescibanana, delle bizzarre creature che nella loro breve vita altro non fanno che mangiare banane, ingozzandosi fino a scoppiare, per poi morire. Un gioco innocente, un momento di ritorno alla spensieratezza della gioventù, non fosse per il grottesco epilogo che attende il lettore poche pagine dopo.

I pescibanana somigliano all’America, così cieca e avvolta nel suo American Dream, intenta a ingozzarsi di illusioni, per poi scoppiare tra le bombe e finire ad essere macerie. Dopo aver giocato con Sybil e in seguito a un breve e bizzarro incontro con una donna e i suoi piedi, Seymour entra nella stanza 507, sente odore di valigie e di acetone, di ambiente chiuso e soffocante. Vede Muriel che dorme sul letto, da sotto questo tira fuori una Ortgies calibro 7.65, si siede e si spara alla tempia4. E il racconto finisce, così come finisce l’America quando inizia la guerra, e Seymour muore ingozzato di dolore come i pesci-banana muoiono ingozzati di banane. E poi non c’è più niente, o forse sì, ma non ci è dato saperlo. Il filo rosso, nella narrativa di Salinger, è il tema del passaggio (fallito) dallo stato di innocenza a quello di esperienza, che interferisce con una società in cui la crescita dell’individuo viene negata. È il caso di Seymour e di Holden, così come dello stesso Salinger.

Tutto quello che so, è che sto diventando matta5

Se Salinger avesse potuto leggerlo, probabilmente avrebbe rivisto un po’ di sé e tanto dei suoi personaggi nel manga di Akimi Yoshida. L’omaggio all’autore americano non si ferma certo al titolo dell’opera, Banana Fish, ma è sicuramente un buon inizio. È il 1973, siamo in Vietnam. Un soldato americano perde la testa all’improvviso, un po’ come Seymour Glass, ma invece di spararsi alla tempia punta ai suoi commilitoni, facendoli fuori uno a uno. Due parole escono dalla sua bocca, e sono proprio loro: banana fish. Terminato il flashback, ci ritroviamo nella New York del 1985, disillusa e marcia nell’animo, un po’ come Ash Lynx, protagonista di questa storia dalle tinte noir. Il diciassettenne, leader di una gang giovanile, non può non ricordare l’Holden di Salinger; entrambi giovani, tormentati e circondati di persone ma, in fondo, profondamente soli e condannati ad esserlo per sempre. Al di là dello sguardo torvo e la personalità ribelle, c’è un passato di traumi che rispecchiano più quelli di Seymour, che quelli di un comune ragazzo di 17 anni.

“Banana Fish”: il solo udirne il nome fa accapponare la pelle.

La perdita dell’innocenza, che per Seymour e Salinger ha coinciso con l’inizio della guerra, è arrivata in Ash in quella che per definizione dovrebbe essere l’età dell’innocenza. Abbandonato poco dopo la nascita dalla madre tossicodipendente, Ash è cresciuto tra le braccia poco amorevoli del padre. L’unica persona che abbia mai tenuto davvero a lui, e a cui lui abbia voluto davvero bene, è il fratello Griffin, nonché il soldato che, all’inizio dell’opera, pronuncia le due fatidiche parole.

Rimasto solo a sei anni, dopo la partenza al fronte del fratello, inizia per il protagonista una sequenza di incubi ad occhi aperti, in cui la parola chiave è violenza. Violentato a sette anni dal suo allenatore, a otto anni Ash miete la sua prima vittima, uccidendo il suo carnefice e dicendo addio per sempre all’innocenza. La storia e il passato di Ash vengono raccontati un po’ per volta nell’opera, e quello che a prima vista appare come un tipico protagonista “bello e dannato” si trasforma gradualmente in un personaggio a tutto tondo, che non rappresenta né il bene né il male, allo stesso tempo vittima e carnefice di un sistema malato e fragile. Così, l’America di metà anni Ottanta in cui Ash e la sua banda subiscono e commettono violenza, rispecchia quella di Salinger, distrutta e disillusa, entrambe fragili nel tentativo di rimettere insieme i pezzi.

Le somiglianze e i rimandi ci sono tutti – personaggi spezzati dai traumi, un paese distrutto, la disillusione e la violenza, la critica al sogno americano – ma manca ancora un tassello fondamentale: cos’è, effettivamente, banana fish? Nel racconto di Salinger, come abbiamo visto, i pescibanana sono una metafora della morte (e forse del suo desiderio?). Nel manga di Yoshida, banana fish è il nome di una droga che, si scoprirà, è la causa della misteriosa serie di morti improvvise che apre l’opera. La sostanza, assunta dallo stesso Griffin, agisce portando il soggetto alla pazzia e, successivamente, alla morte. Morte che è quindi fil rouge e destino ineluttabile anche nell’opera giapponese. Ash Lynx è destinato a una vita di dolore, in cui il raggio di luce, rappresentato da Eiji, non basta a salvarlo da un destino già scritto: una morte violenta che è anche un suicidio espiatorio. Non c’è lieto fine in una vita macchiata e marchiata da cicatrici che neanche l’amore, questa volta, riesce a guarire.

La felicità è un solido e la gioia è un liquido6

Parliamo ora proprio d’amore, perché nonostante la violenza, le lotte all’ultimo sangue e le morti, Banana Fish è prima di tutto uno shōjo. Viene da chiedersi il perché, visto che l’opera di Yoshida non rientra certo nei canoni dei “manga per ragazzine” a cui siamo abituati. Tuttavia, Banana Fish è stato pubblicato in Giappone sulla rivista Bessatsu Shōjo Comic, il che è sufficiente, nel paese d’origine, per definirne il target. Da un’intervista all’autrice, è emerso che l’intenzione iniziale fosse di pubblicare la serie in una rivista shōnen. Tuttavia, Banana Fish è un manga che cammina in equilibrio su una fune, due mondi opposti ai lati. Da una parte, la trama che si avvicina al genere noir, i temi pesanti e un cast di personaggi quasi completamente maschili, ricordano i tratti caratteristici degli shōnen che hanno fatto la storia del manga. Dall’altra, c’è una profondità emotiva nella serie di Yoshida che si avvicina molto di più alle storie che raccontano di amori impossibili e cuori spezzati, tipicamente rivolte a un pubblico femminile.

L’amore in Banana Fish: un puzzle impossibile da completare.

Non solo: l’amore, in Banana Fish, è un tema centrale. È un amore macchiato di violenza e ferite aperte, un amore che è anche salvezza e, soprattutto, un amore tra ragazzi. Non è raro ritrovare Banana Fish citato in liste dai titoli simili a “I 10 migliori boys love”. Crediamo sia riduttivo definire l’opera un boys love, fuorviante pensare di accostarla a uno yaoi. Il legame tra Ash Lynx e il diciannovenne giapponese Eiji è intriso di sfumature e interrogativi, mai esplicitato, ma intenso e complesso. Eiji, studente giapponese e giovane promessa del salto con l’asta, arriva a New York in veci di assistente al giornalista Ibe, per indagare al caso delle morti misteriose. Eiji è la rappresentazione dell’innocenza per eccellenza: un ragazzo talmente gentile da risultare ingenuo, che nasconde dietro al timido sorriso un animo stanco e depresso. L’America devastata si insinua anche in lui, lo avvolge in un vortice di sangue e delitti, lo lega a persone macchiate dal crimine, fino a spazzare via poco a poco l’innocenza e trasformarla in coraggio, ma promettendo anche qualche cicatrice.

Eiji si lega ad Ash in modo lento, spontaneo, forse pericoloso, ma autentico. È complicato identificare un termine per definire il rapporto tra i due ragazzi; è troppo oscuro per essere chiamato amore, troppo profondo per limitarlo all’amicizia. È forse proprio la mancanza di etichette a dare forza a questa relazione, a far ricordare Ash ed Eiji non solo come due amanti, ma come persone complesse e opposte, due pezzi di puzzle diversi che in qualche modo riescono a completarsi, ma non a finire l’immagine. Eiji, alla fine, è destinato a rimanere solo, un po’ come Holden. E non è un caso che, nell’anime, Ash descriva il ragazzo con queste parole, nell’episodio intitolato “The Catcher in the Rye”:

Amore e violenza, un ossimoro indissolubile.

Quando ci siamo incontrati sapeva che tipo di persona fossi, eppure mi parlava senza problemi. Ho pensato fosse un tipo strano e che magari dipendesse dal fatto che era straniero, ma poi ho capito che mi sbagliavo. Quando era vicino a me la sua dolcezza e la sua onestà attraversavano tutto il mio corpo… mi rendeva completo.

Ash Lynx, Banana Fish (ep. “The Catcher in the Rye”)

Questo è un giorno ideale per i pescibanana

Insomma, Banana Fish emerge come un’opera intrisa di oscurità, trauma e amore distorto, con radici che affondano nella narrativa di J. D. Salinger. Entrambi i mondi narrativi sono segnati dalle ferite della guerra, dalla disillusione verso il sogno americano e dall’esplorazione dei meandri dell’animo umano. Ma come disse un uomo saggio, “la felicità la si può trovare anche negli attimi più tenebrosi, se solo uno si ricorda di accendere la luce”7.

Banana Fish non è solo una storia di violenza e tragedia, ma anche di connessioni umane, di amore complicato e di coraggio. Un abbraccio perfetto tra due mondi, tra shōjo e shōnen. Attraverso la lente di Salinger e Yoshida, l’opera si erge come un ponte generazionale che esplora la fragilità dell’animo umano e offre una riflessione sull’inevitabilità della sofferenza e sulla ricerca incessante della felicità, che rimarrà sempre un puzzle incompleto.

LDC


NOTE:

1 L’adattamento anime di Banana Fish, prodotto oltre 30 anni dopo la pubblicazione del manga, segue la trama originale, con un’unica differenza: le vicende sono ambientate ai giorni nostri, successivamente alla guerra in Iraq (2003-11), mentre nel manga il personaggio Griffin aveva partecipato alla guerra del Vietnam (1975-95).

2 Da “Il Giovane Holden” (1951). Citazione completa: “Spero con tutta l’anima che quando morirò qualcuno avrà tanto buonsenso da scaraventarmi nel fiume o qualcosa del genere. Qualunque cosa, piuttosto che ficcarmi in un dannatocimitero. La gente che la domenica viene a mettervi un mazzo di fiori sulla pancia e tutte quelle cretinate. Chi li vuole i fiori, quando sei morto? Nessuno”.

3 Salinger, nato nel 1919 in una famiglia ebrea, fu tra i primi soldati americani a entrare nel campo di concentramento di Dachau, dopo che questo era stato liberato.

4 Il suicidio di Seymour era prevedibile? Un ottimo spunto di riflessione sulla funzione educativa della letteratura – e dell’arte in generale – in un articolo di Kim, J.; Dawson, V.; Hartzell, G.; Furman, A. C.: “A Perfect Day for Bananafish: Learning the Imperfect Art of Predicting Suicide”.

5 Da “Franny” in “Franny e Zooey” (1963). Citazione completa: “Tutto quello che so è che sto diventando matta, – disse Franny. – Sono stufa di tutti questi ego, ego, ego. Del mio e di quello di tutti gli altri. Sono stufa della gente che vuol arrivare da qualche parte, fare qualcosa di notevole eccetera, essere un tipo interessante. È disgustoso, disgustoso e basta. Me ne infischio di quello che dicono”.

6 Da “Il periodo blu di De Daumier-Smith” in “Nove Racconti” (1953). Citazione completa: “È un fatto che appare sempre ovvio quando ormai è troppo tardi, ma la più spiccata differenza tra la felicità e la gioia è che la felicità è un solido e la gioia è un liquido”.

7 Albus Silente, in Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban (1999).


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