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Robert Nozick avrebbe giocato a Starfield

C’è un nonsoché di intrinsecamente libero nello spazio – per sua stessa natura res nullius, frontiera, dimensione troppo grande per essere assoggettata alle leggi che generalmente regolano l’acquisizione dei beni nell’attualità umana. Un luogo che non può essere raccontato attraverso la pietra angolare di ogni grande teoria liberale, cioè la proprietà privata, perché incapace di essere da essa contenuto a livello concettuale. Dopotutto è noto come, sin dalle formulazioni di John Locke1, sarebbero proprio le condizioni che permettono alla proprietà privata di realizzarsi a costituire la base per la libertà individuale. Il mercato, di conseguenza, agirebbe come appendice strumentale, necessaria al corretto funzionamento della società. Che solo allora potrebbe definirsi, quale somma dei singoli, libera2.

Starfield (Bethesda, 2023) vive di un’antitesi. Per farla emergere, bisogna evidenziare come il game design, imperniato attorno al “libero mercato di quest”, allo spirito anticonsequenzialistico presente in ogni sua storyline, alla libertà negativa di cui è intriso – al punto di esercitare un laissez faire anche di fronte alle più contraddittorie dinamiche ruolistiche – renda le sue coordinate quasi sovrascrivibili a quelle di Robert Nozick in Anarchy, State, and Utopia (1974). In altre parole, lo scheletro dell’ultimo gioco di ruolo della software house statunitense esprime gli stessi principi di un alfiere del pensiero liberale contemporaneo, li interiorizza, li fa propri, li pone alla base del suo agire, mentre (pretende di) racconta(re) una dimensione a essi aliena. Dopotutto, se la proprietà privata è il modo in cui l’individualismo si sostanzia attraverso il dominio del singolo sulla cosa3, l’universo appare così infinito da costringere a ripensare questa soggettività esasperata. E dunque, in un videogioco, a ricollocare il videogiocatore.

Todd Howard, director, executive producer e uomo copertina di Bethesda, tanto da essere considerato il portatore sano della filosofia alla base dei lavori di quest’ultima4, si è da sempre confrontato con la libertà quale grandezza fondante dei suoi giochi.

Un esempio della centralità assunta da questa istanza, all’interno delle sue produzioni, viene proprio da una considerazione risalente ai tempi di Fallout 4 (Bethesda, 2015).

È come se (tu, cioè il videogiocatore, nda) fossi il regista della tua stessa esperienza (…). Il mondo, alla fine, diventa il protagonista dei nostri giochi. In molte delle cose che facciamo, vogliamo mostrarvi quel mondo, per poi farvi pensare immediatamente ‘cosa farei io in quella circostanza? Chi vorrei essere?’. Questo lo rende molto più personale per voi e un’esperienza ben diversa da quella di altri giochi o altri tipi di intrattenimento. In fin dei conti, è quello che vorremmo fare noi stessi in qualità di giocatori.

Questo dogma del “mondo modellabile dal videogiocatore” come emblema di libertà, ha affrontato un percorso che – per rimanere nella sola contemporaneità – parte da The Elder Scrolls III: Morrowind (2002) e, per arrivare a Starfield, attraversa altri due capitoli della saga fantasy, Oblivion (2006) e Skyrim (2011) insieme ad altrettanti Fallout, il terzo nel 2008 e il già nominato quarto nel 2015.

Come ci sarà modo di approfondire nella parte dedicata alle conseguenze delle quest, è pacifico che a ogni successiva installazione di Bethesda segua, ormai da anni, una certa reazione del giornalismo specializzato. Indipendentemente dal fatto che si tratti di draghi o feroci ghoul radioattivi, è rilevata una “semplificazione delle componenti ruolistiche”, insieme a un incessante processo di “asciugatura delle meccaniche”5.

In realtà, nonostante potesse sembrare che a guidare questo nuovo corso riduzionista ci fosse il solo interesse per il profitto, con l’adozione di un linguaggio vicino a un pubblico più vasto, forse sul tavolo non c’è mai stato solo questo. Accanto alle necessità squisitamente commerciali, va rilevato come la mietitura di certe componenti abbia fatto emergere il valore primitivo della libertà, da reggersi su un corpo scheletrico, funzionale nient’altro che a quella. Ciò che pareva prima facie una potatura di certe strutture complesse, non digeribili da un’audience maggiormente votata all’azione, in realtà nascondeva l’eliminazione delle sovrastrutture che bloccavano la realizzazione della libertà sempre ricercata da Howard e soci. Utilizzando la teoria di Nozick, si potrebbe sostenere che per Bethesda la libertà è monistica, fine e non mezzo, parametro di valutazione, giusto e non bene.

Todd Howard ,ospite in un recente podcast, ha confermato questo indirizzo come distintivo dell’intero studio.

D: In quel periodo eravate anche nel bel mezzo di Fallout, giusto? Siete noti per aver definito questo genere, il cosiddetto RPG open world. Quindi, quando vi attenete a un genere, immagino che abbiate sviluppato dei “muscoli”6 che continuate ad applicare dopo decenni di successi con giochi come Elder Scrolls e Fallout. Potreste definire in che modo questi meccanismi, per tutti voi, sono diventati più specifici? C’è qualcosa di speciale che ritenete contraddistingua il vostro approccio?

R: Penso che si tratti delle cose a cui diamo la priorità: privilegiare la libertà del giocatore in termini di dove può andare e cosa può fare, ad esempio. Sembra che la gente se ne accorga ogni volta che gioca a uno dei nostri nuovi titoli (…). Quindi, la saturazione dei contenuti è uno dei nostri “muscoli” in termini di quanto spesso offriamo all’utente nuove cose da fare, quante cose nell’ambiente ci sono da toccare, come lo indirizziamo, come gli mostriamo la prossima azione che può compiere.

Sempre parafrasando Nozick, esisterebbe quindi una storicizzazione del principio di libertà caratterizzante lo sviluppo del videogioco Bethesda.Tenuto questo a mente, e considerata la relazione filiativa tra la libertà negativa, il libero mercato e la proprietà – con le ultime che realizzano la prima – occorre approfondire nel dettaglio le singole componenti.

Laissez faire, laissez passer

In un suo famosissimo scritto, Norberto Bobbio definisce la libertà negativa come “la situazione in cui un soggetto ha la possibilità di agire senza essere impedito, o di non agire senza essere costretto, da altri soggetti”7. Nel nostro ambito, quello videoludico, risulta immediatamente chiaro che il primo “soggetto” menzionato non può essere che il fruitore, mentre con “altri soggetti” si indicano gli sviluppatori e, più precisamente, la loro emanazione virtuale, onnipresente durante la partita: il sistema di gioco. Perciò, volendo tradurre il concetto del giurista italiano in un diverso campo di studi, si potrebbe argomentare che la libertà negativa videoludica non sia altro che “la situazione in cui il videogiocatore ha la possibilità di agire senza essere impedito, o di non agire senza essere costretto, dal sistema di gioco”. Bene: questo è il tipo di libertà presente in Starfield, a sua volta caposaldo della teoria di Robert Nozick.

Un esempio renderà il tutto più comprensibile. Starfield accetta che sia possibile occupare, contemporaneamente, posti di rilievo in due fazioni tra loro antagoniste, nonostante ciò generi evidenti fratture del testo. Ciò significa che, banalmente, il personaggio giocabile ha l’opportunità di entrare nei ranghi sia dell’UC che dei Ranger Freestar, scoprendo alcuni segreti capaci di minare la pace e che non ha nessun senso vengano divulgati a un affiliato di parte opposta.

Pur sostenendo che il videogioco sia anche altro rispetto al semplice “racconto interattivo”8, e non debba essere necessariamente sottoposto a critica solo in quell’ottica, è altrettanto pacifico notare che l’attività intellettuale del fruitore, quale interprete qualificato della sua stessa partita, non può colmare certi contrasti naturalmente insanabili9 dal punto di vista logico-razionale. Insomma, si corre il rischio di minare la credibilità stessa del titolo.

A UN RANGER FREESTAR È AFFIDATA LA GESTIONE DEL PIÙ GRANDE SEGRETO UC.

L’impressione è che Bethesda abbia messo in conto la possibilità di trovarsi in situazioni simili, ma abbia deciso scientemente di adottare la tecnica del laissez-faire, del lasciar fare, astenendosi. Ecco dunque che viene realizzata la libertà negativa di cui si discuteva poc’anzi – che non trova un argine nemmeno in situazioni limite come quella appena descritta – perché pressoché assoluta e difficilmente sottoponibile a bilanciamento. Al giocatore/soggetto il sistema non oppone vincolo, esattamente come la teoria dello Stato liberale prevedeva che quest’ultimo dovesse fare nei confronti del mercato, e dell’economia in generale10.

Si potrebbe, a questo punto, obiettare che Starfield non sia impassibile nei confronti del suo fruitore, ma che anzi aggiungerebbe all’occorrenza delle opzioni di dialogo, “riconoscendo” l’affiliazione del personaggio giocabile a questo o a quello schieramento, e offrendo quindi spazio ruolistico.

L’appunto va rigettato, perché il nocciolo della questione non è nell’aumento della dimensione giocabile, bensì nella sua riduzione per mantenere intatta la coerenza ludonarrativa. Il giocatore dev’essere “libero da” ingerenze nella sua partita; aggiungere elementi, lasciandogli la decisione sul se utilizzarli o meno, non rientra nella fattispecie in discussione.

Dimostrato quindi come il valore fondante di casa Bethesda sia la preservazione della libertà (negativa) del giocatore e di tutto ciò che le è conseguente, è necessario spostare il focus sugli strumenti disposti per realizzarla.

Tornando al discorso dello Stato liberale e dell’economia da non influenzare con interventi attivi, e alla concezione Nozick-iana del “free-market state of nature”11, si potrebbe dire che Bethesda riconosce la dimensione, pre-esistente e non contenibile, della fantasia umana. Pertanto, elabora i suoi titoli secondo questa direttrice12, cercando di censurare il meno possibile qualsiasi digressione del giocatore. Più semplicemente, la software house americana sembra mettere a punto le sue produzioni partendo da questo assunto, quasi esistesse uno stato di natura originario da cui emerge il sistema, con questo che deve incanalare e non ostacolare la potenza creatrice del singolo. Un sistema minimo che si appoggia a sua volta su un mercato, il mercato di quest.

Nelle settimane successive al lancio di Starfield, sono emersi con buona soluzione di continuità tanti diari di bordo13, registri di esplorazione spaziale, in cui gli utenti, su piattaforme diverse e da angolazioni differenti – a seconda che si trattasse di critici, giornalisti, giocatori della domenica o habitué di GDR – raccontavano la storia dei loro personaggi e, per estensione, delle loro partite.

Contando le molteplici possibilità di incastro che Starfield permette, non è da sorprendersi che ci fosse una grandissima differenza in ogni singola run, a seconda di quali fossero le intenzioni ruolistiche alla base dell’agire del giocatore.

In effetti, è come se il fruitore si trovasse all’interno di un vero e proprio mercato di quest, in cui l’offerta di Starfield viene quantitativamente intercettata in punti diversi a seconda delle necessità di chi è dietro lo schermo, soprattutto in termini di ruolo. Quest’ultimo è da intendersi come “canone interpretativo” del personaggio giocabile, riferendosi all’insieme di valori ed esperienze pregresse che è stato deciso fossero tanto caratterizzanti da guidarlo durante l’intera partita.

Per comprendere meglio il concetto, è necessario tradurlo graficamente. Nel caso di specie, dato un asse cartesiano con ordinate “Ruolo” e ascisse “Quest”, è presente una retta viola Osf che rappresenta l’offerta di missioni di Starfield; quelle rosse non sono altro che le domande (D0, D1, D2, D3) di alcuni archetipi di videogiocatori a cui corrisponde un’utilità che aumenta al distanziarsi dall’origine degli assi14. Quindi, più ci si allontana dal punto O più cresce il grado di soddisfazione del nostro fruitore.

FIG.1 STARFIELD E IL MERCATO DI QUEST.

Il giocatore in D1 è considerabile “ruolista”, dunque si suppone che il fine della sua partita sia quello di recitare un certo tipo di personaggio; in D2 c’è un esploratore “flessibile”, il quale considera in maniera ampia il ruolo e apprezza in generale il contenuto di Starfield, così da concedersi qualche deviazione; la D3 è di un “giochista”, poco interessato a interpretare e molto a divorare l’offerta ludica15. Come si può verificare, al crescere del consumo di quest si riduce l’aderenza al ruolo. Il pericolo è quello di “uscire dal perimetro”, creando delle situazioni tra loro contrastanti come ritrovarsi a lavorare per una cattivissima corporazione di Neon, facendone gli interessi, mentre poco dopo se ne combatte un’altra nei panni di un Ranger Freestar. D0 rappresenta invece un non-beneficiario, cioè una persona non interessata a Starfield: la domanda non intercetta mai la retta dell’offerta.

Non deve trarre in inganno la presenza di molti “NPC immortali”, che potrebbe essere scambiata come indicativa di un’impostazione differente, con un certo grado di rigidità proveniente dall’esterno. Bisogna infatti ricordare come sistema minimo non significhi sistema assente, esattamente come lo Stato minimo, di origine nozickiana, non indica che non ci sia in toto16. Anzi, deve esserci per tutelare l’esistenza di alcune libertà fondamentali, di origine liberale, tra cui svetta quella negativa, insieme agli strumenti necessari ad azionarla. Perciò, non stupisce che Bethesda abbia assegnato al suo sistema il compito di guardiano del mercato di quest, impedendo che il videogiocatore violi gli spazi narrativi – e tematici – che identificano la missione come tale. Ancora una volta, risulta perfettamente coerente come la negazione del mercato sia sconfessata – di fatto ostacolando la rottura della quest – mentre sia perfettamente lecito imbarcarsi in due avventure tra loro alternative; in caso contrario si andrebbe a controllarlo, incartandosi a livello concettuale.

Dunque, Starfield è pensato per permettere al suo destinatario, a ogni nuova interazione con l’universo, di scegliere chi essere, selezionando le quest necessarie a comporre il percorso desiderato. Tuttavia, va sottolineato nuovamente come il mercato di quest sia strumentale rispetto alla libertà negativa, e di concerto non funzioni quale meccanismo descrittivo se questa nozione non è incorporata nel game design.

LA PRESENZA DI MOLTEPLICI OPZIONI DI DIALOGO NON SIGNIFICA ABBANDONARE LA LIBERTÀ NEGATIVA.

A dimostrazione di ciò, prendiamo il mediocre gioco di ruolo17 Hogwarts Legacy (Avalanche Software, 2023) e proviamo ad applicare su di esso il modello di mercato di quest. A primo impatto, anche in questo caso parrebbe legittimo sostenere che il fruitore selezioni le missioni – e gli incarichi – in base al tipo di personaggio che decide di modellare. Chiunque aspiri a creare un mago dedito alle Arti Oscure, quasi sicuramente si concentrerà sul percorso di Serpeverde, apprendendo le Maledizioni Senza Perdono; eppure, la sua partita sarebbe naturalmente impossibile da completare coerentemente. La main, attorno alla quale le altre attività ruotano come satelliti, ha un indirizzo ludonarrativo ben preciso, e “costringe” il giocatore ad agire entro certi paletti altrettanto precisi, non potendo traslare completamente in essa ciò che le è esterno. Da ciò si evince che, in Hogwarts Legacy, il sistema non si astiene totalmente, ma anzi prende una posizione netta18.

Pertanto, il concetto di mercato è applicabile solo se tra le quest esiste una condizione di omogeneità, per cui ognuna è sostituibile da un’altra, main compresa. Starfield non fa eccezione: si possono ignorare i personaggi e le avventure di Constellation così come si poteva decidere, in Fallout 4, di essere un padre – o un figlio, nel caso del terzo capitolo – degenere, non cercando mai i consanguinei. Tutto è funzionale affinché il giocatore costruisca la sua performance teatrale: di nuovo, ciò non sarebbe possibile senza interiorizzare libertà negativa e il correlato mercato di quest19. Lo scotto da pagare è quello di trovarsi in situazioni tra loro conflittuali; ma questo, come già abbondantemente ribadito, probabilmente a Todd Howard non importa.

Le conseguenze nelle fabbriche di bene

Quello del Freestar Collective è uno dei segmenti narrativi più interessanti dell’intero Starfield. Dopo una fase delle indagini a tratti ipertrofica, la recluta dei Ranger – una specie di polizia federale con giurisdizione illimitata sull’intero territorio Freestar – si trova di fronte il mandante dei crimini commessi da un gruppo militare revanscista nei confronti di alcune fattorie. Ron Hope, ometto patetico, caricatura di Adriano Olivetti e presidentissimo della HopeTech, impresa operante nell’ambito del trasporto spaziale, è quindi davanti al giocatore – giudice, giuria, eventualmente boia. E lo minaccia. La sua azienda, poverina, starebbe perdendo terreno nei confronti della concorrenza, così sarebbe giunto il momento di trovare nuovi modelli di business. Non importa se sulla pelle delle persone o meno.

LA TUTELA DEI LIVELLI OCCUPAZIONALI DIVENTA UN RICATTO.

I temi che si intrecciano sono notevoli e di grande respiro. Hope non si fa remore nel ricordare al Ranger che il suo arresto – o la morte, come effettivamente accade – porterebbe al fallimento della compagnia e alla fine del sostentamento per un numero enorme di famiglie, con la soppressione di centinaia di posti di lavoro. Questo argomento ricorda da vicino il caso ILVA20, in cui si scontrano fragorosamente i diritti alla vita, alla salute, a un ambiente salubre (32 Cost.) con la tutela dei livelli occupazionali (1 Cost.) e alla libertà di iniziativa economica privata (41 Cost.), insieme al correlato dilemma sullo “scudo penale”21. Ancora, il layer narrativo esterno spinge a considerare il rapporto tra capitalismo predatorio e sfruttamento di alcuni gruppi paramilitari di estrema destra, che avvertono un certo tradimento da parte dell’establishment politico. Anche questo è un filone conosciuto dalla storia d’Italia22 e un ottimo traino riflessivo. Non finisce qui: è incidentalmente sollevato anche un interrogativo sulla relazione che intercorre tra il potere politico e l’azione delle forze di polizia, che a quel potere sono sottoposte23.

In apertura, tra le caratteristiche che meglio riassumono la teoria di Robert Nozick, accanto al monismo della libertà negativa e alla difesa del mercato, ce n’è una che vale la pena approfondire: è quella relativa al cosiddetto anticonsequenzialismo. Volendo riassumere un concetto assai più vasto, per il filosofo statunitense le azioni non vanno valutate in base agli output che producono, ma in base all’aderenza (o meno) alla libertà negativa24. Nozick utilizza questo metro soprattutto in rapporto al mercato, che non sarebbe valutabile in quanto efficiente o positivo nei suoi effetti, ma perché strumento fondamentale per l’attuazione della libertà negativa.

Cosa c’entra questo con Starfield e la quest dei Ranger? La risposta è presto detta. Questo ramo, così come tanti altri, non produce macroconseguenze25 rilevanti all’interno del mondo di gioco. Nonostante le questioni che solleva l’eventuale morte di Hope, il giocatore non ha l’opportunità di valutare se, sul breve, medio o lungo periodo, il suo operato sia stato positivo per la società tutta o se la decisione di fare giustizia a ogni costo abbia avuto delle ricadute negative e il loro quantum. Lo stesso vale anche per il ciclo della Ryujin, dove deporre un CEO muove pochissimo sullo scacchiere complessivo: nonostante si tratti di una delle più grandi corporazioni dell’intero universo e il modus operandi di Ularu sia piuttosto differente da quello di Masako, tutto sembra risolversi con un breve comunicato giornalistico e una mezza frasetta prima dei titoli di coda.

Oltre ai problemi tecnologici che sorgerebbero da un’implementazione su larga scala di un sistema così complesso di conseguenze, le ragioni di un’impostazione simile sono ricercabili nella struttura non-consequenzialistica di Starfield, l’unica che ne può conservare l’integrità. Ciò che importa è che la scelta sia coerente con l’impianto a libertà negativa, che esaurisca le intenzioni interpretative del giocatore e gli consenta di portare avanti la sua recita all’interno di un universo parco giochi. Non è dunque fondamentale che il fruitore valuti se ciò che ha scelto di fare sia giusto o sbagliato, l’importante è che esista un’appendice decisoria coerente con l’indirizzo dato al personaggio, e nessuno gli impedisca di scegliere.

STARFIELD PARLA DI SE STESSO.

In un interessante paper del 200926, è approfondito il sistema di moralità (Karma) di Fallout 3, soprattutto alla luce dei criteri utilitaristici tipici del pensiero di Jeremy Bentham. Nel merito, l’autore sostiene che “Quasi tutto quello che il giocatore fa in Fallout 3 influenza il Karma in qualche modo, con il punteggio che può sia aumentare che diminuire a seconda della moralità dell’azione”, e “possiamo anche notare che Fallout affronta (…) le conseguenze in modo più efficace rispetto ad altri giochi. È raro per una scelta individuale cambiare il contenuto del videogioco in modo così radicale”. Rimandando al contributo originale per le considerazioni specifiche su come funzioni effettivamente il Karma e come influenzi la partita di Fallout 3, in questa sede è opportuno ritornare su quanto premesso inizialmente, e cioè sul processo di asciugatura messo in atto da Bethesda nel corso degli anni.

Il Karma agiva, infatti, come un vero e proprio raccordo ludonarrativo27 pur esprimendo una gerarchia di valori non propriamente solida: in altre parole, “la mancanza di un messaggio morale è uno dei punti di forza del videogioco”28. Ancora una volta, si nota come Howard e soci abbiano voluto inserirsi il meno possibile all’interno della partita, cercando di sospendere qualsiasi giudizio sull’etica del videogiocatore mentre si occupavano di collegare il layer narrativo a quello squisitamente ludico. Non può sorprendere che, nei successivi titoli, questa caratteristica non sia stata riproposta. Seppur non stringentemente, presentava molti aspetti consequenzialistici, e una definizione di giusto e sbagliato propedeutica all’azione stessa. Se le azioni dell’utente sono valutate attraverso un punteggio vagamente moralistico, questo è in contrasto con il principio cardine della libertà negativa che, giusto ricordarlo, è il solo parametro su cui va ricondotto a coerenza ciò che il videogiocatore fa.

Riducendo il tutto ai minimi termini in Starfield – solo alcuni companion si indignano al cospetto di azioni cruente – il videogiocatore può sentirsi realmente libero: quella che era inizialmente immaginata come una semplificazione tout court diviene sviluppo consapevole. Non importa che le conseguenze non siano misurabili, ciò che conta è che possano combaciare con la costruzione, senza alcun intralcio, di un ruolo nell’universo.

Manca un solo tassello. Se attorno alla libertà negativa ruotano strumentalmente il mercato di quest e la correlata dottrina anticonsequenzialistica, l’ultimo parametro che va considerato è quello della proprietà privata. Definendo Starfield “un universo-parco giochi” si vuole mettere in risalto proprio questo: che, alla fine, il videogiocatore esercita sul programma un dominio pieno ed esclusivo. Più specificamente, non è al “turismo colonialista”29 che si fa riferimento, cioè all’atteggiamento predatorio che il giocatore impone al suo avatar nel mondo di gioco, con lo sfruttamento di pianeti lontani tramite avamposti e gli screenshot ricondivisi online come manifesto di una vacanza esotica; sarebbe facile ribattere che Starfield, in effetti, non obbliga a giocare in questo modo (o, come abbondantemente ripetuto, in altri).

IL RAPPORTO TRA SPAZIO E PROPRIETÀ PRIVATA È QUANTOMENO PROBLEMATICO.

Il riferimento, in questo caso, è al rapporto che intercorre tra l’oggetto – il software, appunto – e il soggetto – il videogiocatore. Quest’ultimo è in una posizione egemone rispetto al primo, evidenziata ancora di più dalla conclusione della storyline principale: l’universo riparte da zero e il protagonista diventa un essere semi-divino, un Astrale, capace di muoversi tra dimensioni parallele, ognuna con piccoli cambiamenti per soddisfare dei pruriti ludici. Insomma, è il suo recinto, l’unica variabile in un mondo di costanti.

Non solo. La spazialità (di nome e di fatto) di Starfield, così diversa da quella delle serie The Elder Scrolls e Fallout, ha contribuito all’eliminazione del tessuto connettivo tra i vari punti di interesse della mappa, e cioè il territorio fisicamente presente tra questi. Esistendo solo l’orbita dei pianeti, perlopiù brulli e disabitati, ed essendo i luoghi distanti veri e propri anni luce l’uno dall’altro, è venuto meno il viaggio in tempo reale, sostituito da un sistema di teletrasporto. Praticamente, Bethesda ha immaginato tante piccole mappe unite dalla meccanica di spostamento istantaneo, la quale ha acquisito un valore ben maggiore rispetto alle precedenti installazioni. Adattare quel tipo di concezione spaziale al modo standard con cui vengono sviluppati i videogiochi Bethesda ha portato, quindi, alcune meccaniche a emergere nell’economia complessiva, modificando conseguentemente le dinamiche e la risposta estetica. Il “movimento puntiforme” riduce la percezione di vastità e aumenta, invece, quella di possesso e controllo degli spazi; ad abundantiam, dell’intero sistema.

Perciò, caduta la maschera di unità, il collante tra i punti di interesse, rimane uno scheletro di gameplay loop composto da “seleziona-trasportati-svolgi la quest”, amplificando la sensazione di controllo totale, di proprietà privata, sulla cosa altra che è il videogioco. Per comprendere appieno l’impatto devastante di questa scelta, bisogna pensare a ciò che accade in un altro titolo open-world, cioè Elden Ring (From Software, 2022). Pur rinviando ad altri luoghi per un approfondimento specifico30, qui vale la pena ricordare come l’insieme di elementi spaziali e visuali (tra cui l’assenza di un quest marker), insieme alla difficoltà, contribuiscano a generare quel sentimento di meraviglia e di sopraffazione che si pongono esattamente agli antipodi rispetto alle scelte operate in Starfield. Il fruitore non è mai in posizione egemone, bensì è meno che un ospite in un mondo più grande di lui.

Verso una libertà positiva?

Come suggerito in apertura, c’è un profondo contrasto tra ciò che Starfield comunica tramite la sua struttura e procedura31, la sua ambientazione e lo strato narrativo più esterno di molte quest. Che rilevanza può avere la critica feroce del libero mercato e del padrone buono attraverso il personaggio di Ron Hope quando poi il videogioco, nel suo nucleo, decide di funzionare proprio attraverso gli stessi meccanismi? Da questo punto di vista, una sezione molto interessante appare come meno che washing, la quota anticapitalista da inserire di default all’interno di un testo che voglia quantomeno darsi un tono, provando a costruire dei percorsi credibili per ogni tipo di personaggio possibile e immaginabile.

STARFIELD RISPONDEREBBE CHE È TUTTO NECESSARIO, AFFINCHÈ TU SIA LIBERA.

La stessa struttura a libertà negativa mostra la corda. Sebbene dal punto di vista della traduzione in virtualità dei concetti che le sono sottesi sia incredibilmente purista e coerente – Starfield rappresenta il punto di arrivo di un’intera filosofia – una proposizione così integrale e radicale rischia di essere controproducente. Eliminando l’apprezzamento, da intendersi in termini valoriali/etici, del risultato di una quest e risolvendo la conseguenza nella scelta, si rischia di rendere tutta l’operazione un contenitore vuoto, inviando al giocatore un feedback di irrealtà.

Ugualmente, trovarsi in situazioni narrativamente inconsistenti tra loro solo perché si è accettata una quest di cui non si conosceva il contenuto, comporta una responsabilità creativa assoggettabile a critica. D’altronde, non è possibile nemmeno liquidare la questione facendo leva su una cattiva scrittura: che le missioni di due fazioni contrapposte debbano presentare un certo piano di incompatibilità è pacifico, essendo alternative tra loro. Il problema è scaricare tutto il peso sul fruitore che, a quel punto, starebbe giocando male, andando fuori ruolo mentre si continua a rimanere – oltre che nel mare delle scuse a buon mercato – nell’oceano del non intervento.

Uscendo fuori dalla prospettiva meramente ludica, e abbracciando i significati politici di Starfield, la situazione non migliora. Il lavoro di Bethesda sembra indicare che la strada per la libertà sia nel rigetto di qualsiasi prospettiva che vada oltre l’individuo – anche a livello di lore, le due fazioni si distinguono per la forma di governo ma non di certo per il substrato economico, avendo la stessa moneta e le stesse (o quasi) attività commerciali. Di collettivo, tra i Freestar, c’è solo il nome: l’importante è che ci sia una proprietà da difendere, un mercato dove muoversi e che le conseguenze siano coerenti con questa impostazione.

Eppure, la libertà non è solo negativa. Norberto Bobbio definisce come libertà positiva “la situazione in cui un soggetto ha la possibilità di orientare il proprio volere verso uno scopo, di prendere delle decisioni, senza essere determinato dal volere altrui”32. Adattando nuovamente la nozione del giurista italiano al nostro ambito, è impossibile non notare come il connotato di scopo, di fine, comporti un intervento diretto del sistema nella partita del giocatore, che quindi si deforma in base al suo volere, alle sue scelte. All’opposto di quanto presente nei titoli Bethesda, dunque, l’utente non sarebbe “libero da” ma “libero di”; e per farlo, c’è bisogno di altro rispetto all’astensione consapevole, al silenzio.

Ancora una volta, la forma grafica semplifica l’esposizione. Stavolta, nello stessa figura del mercato di quest, è inserito un altro gioco di ruolo: The Witcher 2 (CDProjekt, 2012)33. Per le caratteristiche esattamente opposte a Starfield, la sua retta di offerta avrà un coefficiente angolare a specchio e all’aumentare delle quest “consumate” cresce l’aderenza al ruolo. Inoltre, è in grado di intercettare la domanda D0 del giocatore non interessato a Osf, mentre perde quella del giochista D3.

FIG. 2 STARFIELD E THE WITCHER 2 A PARAGONE.

Dotato di una main quest “forte” e trainante, con le secondarie che si dipanano “a raggiera”, un personaggio ruolabile solo entro certi limiti – perché derivato addirittura da una serie di romanzi fantasy – e un sistema di conseguenze così rigido da spaccare in due tronconi narrativi l’intero videogioco, la struttura di The Witcher 2 tradisce un continuo intervento del sistema, pronto a porre continuamente limiti al giocatore su ciò che può fare o meno, a trasformare la sua partita, a valutare positivamente o negativamente le sue decisioni. Usa l’architettura e la monumentalità in maniera saggia, con finzioni di grandezza che nascondono spazi piccoli, ma curatissimi e visitabili solo a piedi. Se Starfield è lo Stato minimo, il “night watchmen” di Nozick, The Witcher 2 è quello interventista di John Rawls34, incaricato di mitigare la lotteria sociale.

Eppure, nel secondo capitolo della Saga di Geralt, ci si sente così meno liberi? Il fruitore riesce a raggiungere il suo scopo, a saggiare le differenze tra una partita nel ramo Iorveth o una nel ramo Roche, e più quest svolge più interpreta in maniera soddisfacente quel personaggio in quello spazio, nato dalla sua scelta libera, non costretto da altri. Evidentemente il concetto stesso di libertà è molto meno granitico di quanto Bethesda pensi.

È PER QUESTO CHE SERVE UNA DIVERSA TEORIA DELLA GIUSTIZIA.

Forse, la sensazione di vetustà a cui vanno incontro molti acquirenti di Starfield35 dipende proprio da un’applicazione indiscriminata della sola libertà negativa che, come suggerito, conduce a una paradossale sensazione di staticità del mondo e, non bastasse, anche a un senso di futilità delle azioni stesse. Una lezione che già Larian Studios, con Baldur’s Gate 3 (2023), sembra aver assorbito.

E poi c’è la proprietà privata come caposaldo di un gioco che parla di spazio, protesi della specialità dell’avatar stesso all’interno dell’universo narrativo, novello Dragonborn, stavolta tra buchi neri e anelli di Saturno.

C’è stato un tempo in cui su una bandiera rossa era presente, in alto a sinistra, una stella. Tra le interpretazioni ce n’è una che sembra fare al caso nostro: le stelle non possono essere possedute.

Non c’è tanto altro da aggiungere.

AAS


Un ringraziamento speciale a Francesco Farina per la realizzazione dei grafici.

NOTE:

1 “For Locke, freedom is possible thanks to the guarantee of the material conditions that only the protection of property can guarantee”. CORRADETTI C.,“Locke’s theory of property and the limits of the State’s fiduciary powers. A critical appraisal of the Second Treatise on Government.” in Etica & Politica / Ethics & Politics, XXIV, 2022, 1, pp. 287-306 ISSN: 1825-5167.

2 Su tutti, SMITH A., Wealth of Nations. Wordsworth Editions, 2012. Allo stesso modo, BOUCHET D. in “Adam Smith, Market and Social Change: Then and Now”, University of Southern Denmark, 2017, sottolinea come “According to him (Smith, nda), it is the economic link between production and consumption in free markets that binds society together”.

3 In altri termini, “Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”, come prevede il Codice Civile (1942) attualmente in vigore in Italia. Il punto interrogativo è, ovviamente, su quali siano questi “limiti”.

4 E cioè: “live another life, in another world”.

5 Così, ad esempio, Antonio Traverso nella sua recensione di Fallout 4 per rpgitalia.net: “nell’ultimo loro gioco si registrava un notevole miglioramento tecnico e visivo a fronte di un ulteriore impoverimento della componente ruolistica e, nel complesso, del writing”.

6 “Developing muscles”, letteralmente “sviluppare dei muscoli” può essere inteso in questo contesto come “sviluppare delle peculiarità / dei punti di forza” in relazione agli elementi che caratterizzano il genere citato (NdT).

7 Cfr. con BOBBIO N., “Libertà”, in “Enciclopedia del Novecento”, 1978.

8 Il riferimento è al solito ESKELINEN M., “The Gaming Situation”, in “Game Studies, “volume 1, issue 1, July 2001”. Per una nuova critica estetica che unisca le istanze ludologiche a quelle narratologiche, vd. SPOKES M. “Gaming and the Virtual Sublime: Rhetoric, awe, fear, and death in contemporary video games”, York St John University, UK, 2020.

9 La closure ruolistica potrebbe giustificare il cambio di bandiera, non di certo perché i massimi esponenti della fazione A decidano liberamente di raccontare a un poliziotto federale di quella B la verità sui terrormorfi!

10 Per le caratteristiche della Forma di Stato liberale, un testo di riferimento è BIN R., PITRUZZELLA G., “Diritto costituzionale”, Torino, Giappichelli, 2012.

11 Per Nozick, lo Stato come agente dotato di monopolio della forza emerge successivamente dalle cd. “mutual protection agencies” e, naturalmente, si configura come Stato minimo. Per approfondire: BADER R., “Robert Nozick”, London, Continuum Press, 2010.

12 Basti pensare al supporto alle mod tipico dei titoli Bethesda.

13 Come questo a firma di Francesco Serino su Multiplayer.it.

14 Quello di utilità è un concetto fondamentale in Microeconomia e indica il grado di soddisfazione di un consumatore derivante dal consumo di un bene. Si consiglia, a titolo esemplificativo, PASTORE F., “Microeconomia di base. Con esercizi svolti”, Giappichelli, 2014.

15 Si potrebbe argomentare che il giocatore in D3 vesta il ruolo del “mercenario”; dunque, interpretando questo personaggio, è possibile ottenere il massimo della soddisfazione dal numero più ampio di quest completate, in opposizione a quanto appena sostenuto. Questa impostazione, a parere di chi scrive, si rivela più come una giustificazione a posteriori per armonizzare il contenuto che come un vero e proprio approccio sistematico alla partita. Dopotutto basta pensare che, per accettare l’intera offerta ludica, il nostro mercenario non dovrebbe possedere né un senso di utilità – non sarebbe infatti razionale imbarcarsi in quest per un basso compenso, una volta benestanti – né un compasso morale o tantomeno una piramide di priorità. È molto più logico credere che sia l’utente a voler semplicemente svolgere le missioni, al fine di godere di ciò che Starfield ha da offrire. A prescindere, un’unica eccezione non può comunque, di per sé, sconfessare un intero impianto basato su dei casi di scuola ipotetici e generali.

16 Si tratta del cd. miniarchismo. Per DAVID G. “Minimal State” in “The Encyclopedia of Libertarianism”, Thousand Oaks, CA: SAGE, Cato Institute, 2008, “Libertarianism, and the classical liberalism from which it sprang, supports a strictly limited state, if indeed its adherents recognize the legitimacy of the state at all (…). Although Nozick criticized individualist anarchism, he did hold that the minimal state was the form of government that was morally justifiable”.

17 Molti, tra cui TEMPERINI G., “Cos’è veramente un videogioco di ruolo?” pubblicato su pop-eye.info, 2019, potrebbero addirittura sostenere che Hogwarts Legacy, non permettendo di ruolare con effettività un personaggio, non rientri nella famiglia dei GdR. Le questioni tassonomiche non sono però l’obiettivo di questo contributo. Pertanto, andrà bene la definizione che il titolo dà di se stesso: “Hogwarts Legacy è un coinvolgente gioco di ruolo d’azione open world, ambientato nel magico universo dei libri di Harry Potter”.

18 Questo non significa che il sistema sia reattivo. La partita non si modifica con l’agire del videogiocatore; semplicemente, nella sua staticità, esistono degli indirizzi ben precisi che comunicano male con il resto.

19 Ovviamente un videogioco è più delle attività che propone direttamente al videogiocatore: a tal proposito, vd. SOLER-ADILLON J. “The Open, the Closed and the Emergent: Theorizing Emergence for Videogame Studies” in “Game Studies”, volume 19 issue 2 October 2019 ISSN:1604-7982. L’autore afferma che “By definition, emergence cannot be designed. Only the conditions for its appearance can be”; da questo punto di vista, i sistemi con cui Starfield è costruito contribuiscono alla creazione di una narrativa emergente da accordare a ciò che si fa dentro la quest. Ancora una volta il fruitore non viene obbligato a fare/non fare alcunché, come prevede il concetto di libertà (da).

20 Per approfondire: SORICELLI G., “Il caso ILVA di Taranto e l’emergenza COVID-19 nell’ambiguità del bilanciamento dei diritti fondamentali” in “La Rivista Gruppo di Pisa”, Fascicolo n. 2/2022; VERDOLINI E., “Un nuovo episodio nella saga ILVA: commento al decreto-legge n. 2 del 2023” in “Osservatorio Costituzionale”, ISSN 2283-7515, Fasc. 4/2023, agosto 2023; FIDH-Peacelink-UFDU-HRIC, “Il disastro ambientale dell’ILVA di Taranto e la violazione dei diritti umani”, Aprile 2018, N° 711i.

21 La questione è ben spiegata in ZIRULIA F., “La (perenne) crisi dell’Ilva e il c.d. scudo penale: tra reati ambientali e sicurezza sul lavoro”, pubblicato su sistemapenale.it il 18 novembre 2019.

22 Emblematico è il caso della Decima MAS e del Golpe Borghese, o della stessa “vittoria mutilata” che pose le basi del fascismo. ABBAMONTE O. in “La politica invisibile. Corte di Cassazione e magistratura durante il fascismo”, Giuffrè, 2003, sottolinea come il sistema capitalistico e la tutela della proprietà privata dei mezzi di produzione fossero saldamente difesi dai giudici durante il Ventennio, nonostante i proclami politici del caso.La morale è che tra estrema destra e destra liberale esiste una relazione, all’occorrenza, simbiotica.

23 Tema ricorrente nella prima stagione di “True Detective” (2014), scritto da Nic Pizzolatto, interpretato da Matthew McConaughey e Woody Harrelson per la regia di Cary Joji Fukunaga.

24 Per approfondire: SMITH M., “Two kinds of consequentialism”, Princeton University, Philosophical Issues, 19, Metaethics, 2009.

25 Con “macroconseguenze” si intendono cambiamenti radicali e sensibili nel mondo di gioco a seguito della conclusione di missioni estremamente importanti per l’assetto dello stesso. Sono esclusi dal ragionamento i cambiamenti interni alla serie di quest – ad esempio personaggio X vive/muore – perché irrilevanti ai fini del discorso (si tratta perlopiù di modifiche a somma zero).

26 SCHULZKE M., “Moral Decision Making in Fallout” in “Game Studies”, volume 9 issue 2 November 2009 ISSN:1604-7982. Traduzione a cura dell’autore.

27 Cioè uno strumento di armonizzazione. Per approfondire: SAVY A.A., “Amare, ancora, Mass Effect 2”, pubblicato su pop-eye.info, 2021.

28 Vd. sub 25.

29 Prospettiva adottata da MILLER K. nel suo saggio “The Accidental Carjack: Ethnography, Gameworld Tourism, and Grand Theft Auto”, in “Game Studies”, volume 8 issue 1 September 2008 ,ISSN:1604-7982. C’è anche una traduzione italiana, contenuta all’interno di BITTANTI M. (a cura di), “Fenomenologia di Grand Theft Auto”, Mimesis, 2019.

30 SAVY A.A., “Edmund Burke avrebbe giocato a Elden Ring”, pubblicato su pop-eye.info, novembre 2022.

31 Il riferimento è alla retorica procedurale, cioè alla capacità di persuadere attraverso i processi. Per approfondire: BOGOST I., “Persuasive games: the expressive power of videogames”, MIT Press, Cambridge, 2007; SEREGNI M., TONIOLO F., “That Dragon, Cancer: tecniche narrative del vissuto ludico”, Critical Hermeneutics, 4(1), 2020.

32 Vd. sub 7.

33 Per una monografia del gioco: SAVY A.A., “Amare, ancora, The Witcher 2”, pubblicato su pop-eye.info, 2021.

34 Per approfondire, RAWLS J, “A Theory of Justice”, Cambridge, MA: Belknap Press, 2005 (ed. orig. 1971).

35 Su Reddit sono condivise molte esperienze simili. Qui è possibile trovarne una, anche molto diplomatica.


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