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Anime galleggianti: un viaggio a passo d’uomo

Anime galleggianti è il libro scritto a quattro mani da Vasco Brondi e Massimo Zamboni e con il prezioso contributo fotografico di Piergiorgio Casotti. Pubblicato nel 2016 da La Nave di Teseo nella collana Le Onde.

Questa storia galleggia in un tema incantato, il viaggio sulla zattera, trasducendolo nella discesa di un canale. Infantile sogno da ragazzini che tutti hanno fantasticato e poi abbandonato.

dalla prefazione di Anime galleggianti

Tutto avviene per caso, o quasi

Gli autori di questo libro non sono solo due scrittori: Vasco Brondi, cantautore conosciuto inizialmente per il suo progetto musicale Le luci della centrale elettrica, è una delle figure più importanti dell’indie rock italiano. Massimo Zamboni, considerato uno dei padri del punk rock italiano e del rock alternativo è chitarrista e cantautore, ha fatto parte del progetto CCCP e CSI (Consorzio Suonatori Indipendenti). Piergiorgio Casotti, fotografo e regista, amico di Zamboni, li accompagna per catturare le immagini che saranno inserite nel libro e aiuteranno il lettore a immergersi nelle atmosfere narrate dai due autori.

Copertina del libro Anime galleggianti

Un viaggio come questo ha bisogno di compagni complici per dispiegarsi. Uno lo trovo in Piergiorgio, fotografo e cineasta, al quale nemmeno chiedo tanto son sicuro della risposta. […] Un compagno inaspettato lo trovo invece in Vasco, che conosco da poco e apprezzo da tanto e mai avrei pensato, nonostante la nostra comune ossessione per la pianura, di vedermelo affianco su una zattera di alluminio scendendo al mare attraverso i campi.

Anime galleggianti, pag. 11

Brondi e Zamboni sono dei viaggiatori. Lo dimostrano con la loro musica in primis, sperimentano e si lasciano influenzare da musiche “altre”. Nei testi e nelle musiche di Vasco Brondi si sente l’odore dell’India, per citare Pasolini. Le sue canzoni parlano di Est Europa, di Marocco, di Sud America. Sono un filo che conduce in posti lontani e impervi, non solo fisici ma anche dell’anima. Entrambi hanno viaggiato in posti lontani e meravigliosi lasciandosi spalancare il cuore e la mente da quello che incontravano lungo il cammino.

Zamboni nel 1996 parte in Mongolia con la moglie e i componenti dei CSI, raccontando poi il viaggio nel libro In Mongolia in retromarcia, pubblicato nel 2000 da Giunti editore e scritto a quattro mani con Giovanni Lindo Ferretti. Questo viaggio cambia molte cose: è illuminante e rivoluzionario, ispirerà la nascita di Tabula rasa elettrificata, uno degli album più ascoltati dei CSI. Nel 2020 insieme alla figlia Caterina Zamboni Russia pubblicano il libro La macchia mongolica edito per Baldini e Castoldi, dal quale nasce anche il film disponibile online sul sito.

Oltre alla musica e ai viaggi, Zamboni e Brondi sono legati dal legame profondo con la loro terra. Le loro radici emiliane, la loro infanzia e giovinezza vissute in provincia e un sogno che li unisce: attraversare il canale che va da Mantova al delta del Po su una zattera.

Raccontami Ongii che scorri
incessante preghiera che mormora al cielo
del tuo monastero perduto dimmi la bellezza dei gesti e dei colori.

Dal brano Ongii dei CSI

Sospesi

Zamboni e Brondi conoscono bene la grande differenza che intercorre tra l’essere viaggiatori ed essere turisti. Conoscono il valore del tempo e della lentezza necessaria per assaporare la vita. Musicalmente non si lasciano circuire dalle logiche di mercato che prevedono la pubblicazione di singoli, hits estive e dischi con ritmi da fabbrica. Proprio questo li rende coerenti con sé stessi e autentici, hanno abituato il loro pubblico ad avere pazienza, a rispettare i loro tempi di uomini e non di macchine sforna canzoni.

Ed è con questa consapevolezza che inizia il loro viaggio: si adattano al ritmo dell’acqua che scorre sotto di loro, viaggiando a 10km/h. Partono da Mantova e scendono lungo il Tartaro Canalbianco fino ad arrivare al delta del Po. Su questa zattera di allumino ci passeranno una settimana, sospesi sull’acqua che li accompagnerà come un’amica di vecchia data. I silenzi, la quiete, il suono della natura che li circonda viene interrotto solo per condividere i ricordi e i pensieri che il viaggio evoca nei tre esploratori. Tre uomini, meravigliati come bambini dall’aver scoperto un mondo inaspettato a soli pochi km di distanza dalle loro case, un paesaggio surreale che ricorda l’Amazzonia ma senza andare in Sudamerica.

Vasco Brondi e Massimo Zamboni in una foto scattata da Piergiorgio Casotti durante il viaggio

Emilia paranoica

Il libro è diviso in due capitoli: Acqua sorgiva, introdotto da qualche pagina che racconta come sia nata l’idea di questo viaggio e Autunno sul Tartaro, che si accompagna ad una breve conclusione in cui si tirano le fila di questa esperienza. Una cosa davvero interessante è la raccolta nelle ultime due pagine di tutti i riferimenti musicali, cinematografici, letterari e fotografici che sono stati fatti nel libro.

Su quella zattera ci sono tre uomini ma in realtà è molto più popolata: fluttua il ricordo del fotografo Luigi Ghirri, emiliano, che ha collaborato con i CCCP all’album Epica, etnica, etica e pathos. Ghirri ha in comune la capacità di cogliere la realtà quotidiana dandole lo spessore che molti non vedono e di raccontarlo, lui attraverso le immagini e loro attraverso la musica e le parole. I CCCP hanno cantato un’Emilia degli anni ‘70/‘80 decadente in cui non succede nulla e si passano le giornate ad aspettare che accada qualcosa. È cosi la vita della provincia, delle periferie. il ritornello martellante e ossessivo di Emilia paranoica trasmette all’ascoltatore tutta l’irrequietezza di chi è incastrato in una spirale spazio-temporale completamente diversa da chi vive in città.

Copertina di Epica, etnica, etica e pathos

Aspetto un’emozione sempre più indefinibile, aspetto un’emozione sempre più indefinibile.

Dal brano Emilia paranoica dei CCCP

Nei testi di Vasco Brondi, oltre ai riferimenti alle terre lontane di cui si parlava all’inizio di questo articolo, troviamo la sua Emilia, la pianura, la nebbia, le immagini sfocate di spiagge deturpate, le industrie e l’apatia di chi cresce in provincia e aspetta “un’emozione sempre più indefinibile”. Al contempo, il legame con questa terra è forte e le riconosce un ruolo importante nella sua crescita personale. La fortuna di essere cresciuto in un posto dove non c’è nulla e se vuoi qualcosa devi muoverti tu.

Questa continua ricerca di sé stesso e delle sue radici porta Brondi a riconoscere l’enormità dei lavori di Celati e Ghirri che decide di condividere col suo pubblico, creando una rassegna in cui una chitarra, quella di Stefano Pilia, e le fotografie di Ghirri, accompagnano le parole di Celati. Questi ha esplorato, prima di tutti gli altri, quegli stessi posti accompagnandosi tra gli altri a Luigi Ghirri che documentava con le fotografie quello che lui trasformava in parole dando vita ad una sorta di diario di viaggio pubblicato nel 1989 col titolo Verso la foce. Sarà poi proprio una foto inedita di Luigi Ghirri a diventare la copertina dell’album di Vasco Brondi uscito nel 2021, Paesaggio dopo la battaglia.  

Copertina di Paesaggio dopo la battaglia

Tempi umani

E adesso siamo qui, passati dall’essere assaliti da troppe cose contemporaneamente al non essere assaliti da niente.

Anime galleggianti, pag. 20

La lettura scorre con facilità proprio come quell’acqua sulla quale sono sospesi. Le immagini e le parole evocano nel lettore una dimensione ovattata e quasi onirica nella quale cullarsi e crearsi uno spazio per riposare i pensieri, per decelerare. Questo libro è un talismano per tempi incerti, per citare lo stesso Vasco Brondi, è un vademecum che ricorda al lettore l’importanza di prendersi del tempo, di vivere “a passo d’uomo”. Non ci sono posti da vedere necessariamente, i tre viaggiatori vedono quello che la natura decide di mostrare loro.

Oggi siamo così abituati ad avere vite frenetiche che anche quando facciamo un viaggio rischiamo di correre da una parte all’altra per vedere spiagge, musei, monumenti, per andare in cena in un posto e poi fare serata in un altro. Siamo schiavi del tempo e a volte ci dimentichiamo di respirare. Alla fine non ci rimane molto di quel posto che abbiamo visitato: non l’abbiamo vissuto, non abbiamo ascoltato e torniamo alla nostra vita frenetica senza esserci riposati, senza averla messa in pausa.

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