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Climate Fiction: mondi in rovina nella letteratura di genere

Climate Fiction: forse ne avrete sentito parlare, o forse no. È più probabile che abbiate sempre conosciuto il genere, ma non il suo nome proprio. Oggi, su Pop-Eye, vi spieghiamo che cosa è la Cli-Fi, quando è nata e perché è importante conoscerla, in questo momento storico più che mai. Analizzeremo due romanzi appartenenti al genere: La Strada di Cormac McCarthy e La parabola del seminatore di Octavia E. Butler, un autore e un’autrice molto diversi tra di loro, ma che vogliono trasmettere lo stesso, impattante, messaggio d’emergenza.

Quando viene coniato il termine Cli-Fi?

Delle origini del termine Cli-Fi ne hanno parlato i ragazzi di fantascienza.com, prima di noi e in maniera veramente esaustiva. Ma, per dare un contesto al nostro articolo, è opportuno fornire qualche accenno storico. Nell’aprile 2012, durante la giornata della Terra, usciva in America Plar City Red, opera di Jim Laughter che ha portato alla luce un’ambientazione dominata dall’innalzamento delle acque e dal riscaldamento globale.

Dan Bloom, giornalista freelance e attivista, definì quel romanzo come un thriller cli-fi. Cli sta per climate, Fi per fiction. In realtà, non era la prima volta che Bloom utilizzava quel termine: lo aveva fatto già nel 2007 nel suo blog personale, ma solo successivamente riscosse tanto successo da attirare l’attenzione del pubblico. Ma non solo: l’associazione al termine Sci-Fi (Science Fiction) – la nostra fantascienza – non è involontaria, dato che ormai la cli-fi viene riconosciuta come un suo sottogenere.

Il termine cli-fi prenderà piede e diventerà rapidamente virale in tutto il panorama letterario e non: perché la climate fiction non appartiene solo alla letteratura, ma anche all’arte del piccolo e grande schermo. Proprio Bloom definisce il genere come un contenitore per opere che si occupano – in piccolo o in grande – di cambiamenti climatici e dei problemi a essi collegati, qual è, ad esempio, il surriscaldamento globale. Occorre specificare, però, che questo genere non si occupa di disastri naturali, bensì di danni ambientali causati dall’uomo e dall’antropocentrismo.

Quando è nata? Quali sono le sue origini e i suoi precursori?

La climate fiction ha origini ben radicate in altri generi, non solo nella fantascienza. È più preciso affermare che danza ai confini di molti, moltissimi generi: a partire dalla distopia, ma anche al thriller o alla narrativa contemporanea e, benché il genere stia decollando solo ora, le sue radici si incrociano con autori e artisti non poi tanto recenti.

Precursore inconsapevole del genere è il conosciutissimo autore di fantascienza J. C. Ballard. Nel 1961 Ballard pubblica Il vento dal nulla (The Wind From Nowhere), primo volume di una serie che si concentra su disastri naturali che potrebbero, ipoteticamente, abbattersi sulla terra e sterminare – o quantomeno esporlo a enormi pericoli e problematiche – il genere umano. Più conosciuto e molto più vicino alla climate fiction è Il Mondo Sommerso (The Drowned World, 1962), dello stesso autore.

Ancora prima di parlare di surriscaldamento globale, J. C. Ballard, nel suo mondo sommerso, raccontava di radiazioni solari che hanno portato allo scioglimento delle calotte polari e, di conseguenza, all’innalzamento del volume dell’acqua. Eppure, occorre specificare che quest’opera non rientra del tutto nel genere, poiché il cataclisma è naturale e non dovuto a errori o scelte umane.

Andando avanti con gli anni, si può prendere come esempio Solar, di Ian McEwan (2010) che, fondamentalmente, più che come un libro di fantascienza si potrebbe inquadrare come una parodia sociale e culturale; insomma, una commedia umana. Ironico e tagliente, McEwan esplora un disastro solare dal punto di vista del suo protagonista, un fisico premio Nobel, mettendo in evidenza i suoi enormi difetti: prostitute, bugie, furti, avidità e tanto, tanto altro. Cercare di salvare il mondo dalla catastrofe sarà, in qualche modo, il suo riscatto morale.

A Solar, segue La Strada (The Road, 2006) di Cormac McCarthy, romanzo che gli è valso il Pulitzer per la narrativa nel 2007 e dal quale è stato tratto anche un film. Di questa opera parleremo meglio tra poco. Ma prima, diamo uno sguardo al lato femminile del genere.

Climate fiction: largo alle autrici

Octavia E. Butler con una fornitissima pila delle sue opere

La Cli-Fi non raccoglie a sé solo nomi maschili, ma anche molte autrici di grande fama. Vi dicono niente Margaret Atwood e Octavia E. Butler? Troppo spesso le autrici vengono trascurate nel panorama della letteratura fantastica e questa, sfortunatamente, non è una novità.

Eppure, le due sopra citate hanno portato a casa numerosi premi di grande prestigio, ed entrambe sono conosciutissime dagli appassionati di fantascienza. Margaret Atwood è riconosciuta per l’opera Il racconto dell’Ancella (The Handmaid’s Tale, 1985) che ha comunque un pizzico di cli-fi insito nella trama, benché non ne sia il fulcro. Ma la serie di romanzi appartenenti al genere è la Trilogia MaddAddam, meno conosciuta.

Oryx and Crake, primo volume di tre, è un romanzo a cavallo tra fantascienza, distopia e post-apocalittico. Racconta di un mondo devastato da un’epidemia, ospite di animali feroci, figli d’incontrollati esperimenti d’ingegneria genetica. D’altra parte, le bestie feroci non sono gli unici abitanti di questo mondo; con loro, anche delle tribù d’indigeni mutanti, chiamati Craker, dall’innata indole docile e pacifica. Margaret Atwood, in questo romanzo, mette in evidenza i pericoli del giocare troppo con la genetica.

Ma tra le due, per l’argomento che trattiamo è più importante Octavia E. Butler: nelle sue opere di fantascienza cerca spesso di mettere in risalto il punto di vista di giovani donne nere, in contesti per loro pericolosi. Ne La parabola del seminatore (Parable of the Sower, 1993) Butler ci mostra Lauren Olamina, una giovane ragazza nera, alle prese con un mondo devastato dal crimine, dalla droga e dalla siccità sempre più incombente.

La parabola del seminatore, per molti versi, si ricollega all’opera di McCarthy: La strada. Ma quali sono i parametri comuni?

Scenario post-apocalittico. Illustrazione di Sergey Vasnev

La Strada di Cormac McCarthy

La Strada ci pone dinanzi a un mondo soggiogato dalla cenere, che ha concluso il proprio ciclo vitale dopo un disastro nucleare. Un mondo grigio e spento, dove gli ultimi uomini rimasti razziano, uccidono, si divorano a vicenda. Un mondo dove la bontà d’animo non trova alcuno spazio.

Eppure, si intravede uno spiraglio di luce nei due protagonisti, maggiormente nel più piccolo dei due. Padre e figlio – che nel corso della narrazione non avranno mai un’identità – percorrono una lunga strada verso sud, su un groviglio di percorsi senza origine e senza meta. Giorno dopo giorno, inesorabilmente, cercano di sopravvivere.

Copertina dell’edizione flessibile italiana, edita Einaudi (2014)

Ce la caveremo, vero, papà? Sì. Ce la caveremo.
E non ci succederà niente di male. Esatto.
Perché noi portiamo il fuoco. Sì. Perché noi portiamo il fuoco.

La Strada, pag. 64

Ci piace pensare che il fuoco, che spesso viene citato nel romanzo, sia la speranza. In questo caso, il portatore del fuoco è un bambino che aborra ogni tipo di violenza e ricorda al proprio padre che, anche se tutto il mondo sta cadendo in rovina, non si deve perdere la propria umanità. Il bambino rappresenta quest’ultima, quella perduta da cannibali, predoni e ladri. La si intravede quando insiste per salvare un bambino tra i cespugli, nell’aiutare un anziano cieco condividendo alcune delle proprie, già scarse, provviste. Un bambino che si guarda sempre indietro, preoccupato di chi ha abbandonato, mentre il mondo guarda solo avanti a sé. È quel bambino a portare sulla retta via il padre che, spesso, si lascia infleunzare dal grigiore del mondo.

Papà, disse. Cosa c’è? 
Ho paura per quel bambino.
Lo so. Ma vedrai che se la caverà. 
Papà, torna a prenderlo. Potremmo prenderlo e portarlo con noi. Potremmo portarci dietro lui e anche il cane. Il cane potrebbe catturare qualcosa da mangiare. 
Non possiamo. 
E io dividerei con quel bambino tutte le mie offerte. 
Smettila. Non possiamo. 
Stava di nuovo piangendo. Ma quel bambino? Singhiozzava. Ma quel bambino?

La strada, pag. 66

Dell’opera di McCarthy abbiamo parlato anche in passato – paragonandola con un famoso videogioco – in questo articolo: The Last of Us, un videogioco di Cormac McCarthy.

La parabola del seminatore di Octavia E. Butler

In un mondo dove imperversano disastri ambientali, siccità, malattie e devastazione, si dipana la storia di Lauren Olamina, giovane donna nera che fin da giovane prevede il disastro alla quale la società sta andando incontro. Nell’America immaginata da Octavia E. Butler, piccoli gruppi di persone si raggruppano in comunità cinte da enormi mura; al di fuori di queste, imperversano il crimine, la fame, le malattie, e la Piro (abbreviazione di piromania, per l’appunto): un’innovativa droga che porta a provare un’estrema attrazione sessuale nei confronti del fuoco e, di conseguenza, alla costante presenza di incendi dolosi.

Copertina edizione flessibile inglese, edita Grand Central Pub (2019)

Lauren, notando i segnali di un disastro conclamato, cerca di apprendere il più possibile per poter sopravvivere all’esterno delle mura entro le quali vive e, soprattutto, dà vita al Seme della Terra: una religione che cerca d’immaginare un’utopia. L’opera della Butler porta avanti temi come la crescita ma, soprattutto, parla di cambiamento. Il principio del Seme della Terra è semplice, tutte le cose devono inevitabilmente, prima o poi, cambiare.

Tu cambi tutto ciò che tocchi.
Tutto ciò che tocchi ti cambia.
L’unica verità duratura è il cambiamento.
Dio è cambiamento.

La parabola del seminatore, cap. 1

L’idea di un mondo migliore contenuta nel credo di Lauren, infatti, unificherà le persone che hanno ancora speranza. Lei simboleggia coloro che hanno il coraggio di trovare una soluzione, che hanno il coraggio di osare, cambiare, sperare in qualcosa di migliore.

I temi principali di Cormac McCarthy…

Nell’opera di McCarthy osserviamo un mondo senza leggi, senza amore, che non concede salvezza o tranquillità. Tutto ciò che si ha, lo si ottiene combattendo. Sopravvivere, infatti, vuol dire lottare fino alla morte, scappare costantemente da un destino terrificante. L’autore mette in mostra la fragilità di una società ormai distrutta, priva di qualsiasi forma di regolazione. Non esiste più la legge, non esiste più la comunità: un mondo grigio e pervaso da cenere, devastato, dove si muore per fame, malattie o per mano dei propri simili.

L’umanità rappresentata da McCarthy non ha più speranza, non ha più fiducia nel prossimo: ognuno pensa a sé, nutrendo solo sfiducia e rancore nei confronti di chiunque incontri. Nel mondo de La strada non esistono più forme di vita animale e, per questo, osserviamo come il cannibalismo prende piede nei sopravvissuti al disastro; l’antropofagia simboleggia la perdita totale dell’umanità, l’atto più inumano al quale si possa pensare. Come primo tema abbiamo, quindi, la sopravvivenza: non è facile, non è scontata, è una continua corsa contro il tempo.

L’importanza della famiglia e il rapporto padre-figlio, invece, sono il secondo tema e no, non vogliamo separarli. I protagonisti del romanzo sono un padre e un figlio, un bambino ancora piccolo; i loro nomi non verranno mai svelati, li riconosciamo solo per il loro legame di parentela, per le loro interazioni, le promesse che si scambiano e i compromessi che raggiungono. I loro dialoghi sono fondamentali per capire le emozioni, la disperazione e la paura costante. Dai loro dialoghi traspare la spiccata curiosità e intelligenza del bambino e la stanchezza di un padre che continua a lottare per il proprio figlio.

… e quelli di Octavia E. Butler

Benché ne La parabola del seminatore la sopravvivenza giochi un ruolo importante, non lo consideriamo uno dei temi fondamentali. L’autrice si concentra maggiormente su tematiche che hanno un fermo collegamento con la speranza di una vita migliore, lasciando però spazio anche a tematiche come la povertà, la schiavitù e la distruzione dell’individuo.

Pensiamo, però, che il tema centrale dell’opera sia la religione. Figlia di un predicatore, Lauren fin da giovane mette in dubbio la parola di Dio. Pensa che il Cristianesimo raffiguri un Dio punitivo, che la gente prega per avere misericordia e giustizia. Lauren, invece, crede che il vero Dio sia il cambiamento.

È quest’ultimo il perno del suo stesso credo: sono i discepoli a dover cambiare il mondo con impegno e dedizione. La speranza, nell’opera della Butler, non deriva da un Dio invisibile, ma dalle persone che accettano l’inevitabilità del cambiamento e scelgono di portare avanti uno stile di vita dedito alla costruzione e alla compassione.

Per risorgere
Dalle sue ceneri
Una fenice
Prima
Deve
Bruciare

La parabola del seminatore, cap. 14

Il secondo tema portante comprende la creazione, la distruzione e, infine, la rinascita. Il romanzo è ambientato in un clima di estrema devastazione, crisi idriche, colpi di stato e pervaso da criminalità, droga ed epidemie di malattie un tempo debellate. La distruzione, nell’opera, è spesso rappresentata dal fuoco appiccato dai drogati sotto l’effetto della Piro.

La devastazione del mondo sembra inevitabile, eppure nella prima parte del romanzo vediamo la comunità di Lauren che cerca, senza sosta, di andare avanti: mettono al mondo dei figli, insegnano. Se nei romanzi distopici normalmente osserviamo la fine dell’attività riproduttiva umana – per necessità, obbligo o scelta – qui notiamo che la presenza dei bambini è costante.

Se la distruzione è rappresentata dal fuoco, la rinascita è rappresentata dalla speranza della creazione di una comunità pacifica, che possa avere la possibilità di proliferare senza timore di incursioni notturne, stupri e omicidi. La rinascita avviene quando il gruppo di Lauren decide di fermarsi e di costruire qualcosa, di apportare un cambiamento. Lauren pianta delle ghiande nella loro nuova casa e sono quest’ultime il simbolo di rinascita, che va a ricollegarsi all’idea della semina: creazione e rinascita in mezzo alla distruzione.

Scenario post-apocalittico. Illustrazione di Sergey Vasnev

Similitudini e differenze nelle due opere

Entrambi i mondi ci mostrano il grigiore della cenere. Nell’opera di McCarthy la costante caduta di cenere è dovuta al probabile disastro nucleare che ha devastato il mondo; nell’opera della Butler invece è dovuta agli incendi causati dai piromani sotto effetto di droghe. In entrambi i casi, la cenere rappresenta la distruzione, la fine di qualcosa. Un altro elemento comune è l’acqua: nel primo romanzo ogni fonte d’acqua è inquinata dalla cenere e dalle scorie, trovarne di pulita è quasi impossibile. Nel secondo, invece, a causa di una fortissima siccità, è molto difficile da trovare, visto che piove ogni sei o sette anni. E poi c’è il fuoco. Se nel primo romanzo, però, il fuoco era portatore di speranza, nella seconda opera rappresenta distruzione, disperazione, morte.

I bambini, invece, sono un tema centrale e fondamentale in entrambi i romanzi. In tutt’e due le opere, i piccoli rappresentano la bontà d’animo e la speranza non ancora scalfitta dai problemi del mondo. Il protagonista bambino de La strada rappresenta, con il suo altruismo e la sua ingenuità, un faro luminoso in una società distrutta. Nell’opera della Butler, invece, i bambini sono tanti e simboleggiano la speranza di un futuro migliore. Vediamo i bambini influenzare gli adulti: sono capaci di ricordare loro che cosa è veramente importante, e che il mondo ha bisogno di altruismo disinteressato. Affrontano la sopravvivenza con occhi diversi da quelli di chi è più grande, spesso troppo impegnato a osservare il mondo in maniera critica e disillusa.

La strada e il cammino sono altri due elementi che le due opere hanno in comune. La presenza di una strada è ovvia nel romanzo di McCarthy, visto il suo titolo; eppure, contrariamente alle aspettative, gode di un certo prestigio anche nell’opera di Octavia E. Butler. In entrambi i romanzi sono presenti il cammino e la corsa alla sopravvivenza e, mentre il padre e il figlio di McCarthy si dirigono in solitaria, senza sosta e con poche speranze di sopravvivenza verso Sud, Lauren e il suo gruppo si dirigono verso Nord, alla ricerca di un luogo isolato dove mettere in atto il cambiamento.

I protagonisti de La strada non hanno una vera e propria meta: inizialmente puntano al mare, ma ne rimangono delusi quando, al posto di una distesa blu e infinita, si trovano davanti all’ennesimo muro orizzontale di cenere. Il loro cammino, quindi, ricomincerà senza sosta. I protagonisti della Parabola del Seminatore, invece, hanno una meta: una campagna verde, isolata e piena di alberi da frutto dove provare a vivere con serenità. Ma quando arrivano a destinazione, anche loro si ritrovano dinanzi alla distruzione, causata dal fuoco. Decidono di non proseguire e di fermarsi, e di attuare quel cambiamento del quale la religione creata da Lauren – il seme della terra – ha tanto parlato. Il finale dei due romanzi è dunque molto diverso, ma in entrambi i casi non privo di speranza.

A proposito di religione, invece, è ormai ben chiaro quanto sia fondamentale nell’opera della Butler, ma non abbiamo ancora evidenziato quanto lo sia in quella di McCarthy. Ne La strada, i riferimenti a Dio sono numerosi, e ci piace pensare che sia la fede uno dei motivi per cui i due protagonisti continuano a combattere, a sopravvivere, a lottare per una vita fatta di stenti e rimorsi. Pare che per i due protagonisti Dio sia il fuoco, esattamente come è cambiamento per la Lauren. E abbiamo già spiegato che il portatore del fuoco è il bambino, e il fuoco altro non è che la speranza. Quest’ultima è l’ennesimo tema in comune tra le due opere, benché le trasmettano in due modi molto diversi tra loro.

Perché dovremmo leggere climate fiction, ora più che mai?

Ogni giorno, in tutto il mondo, online e sulla carta stampata, su giornali e riviste, ci sono scienziati e accademici che brontolano in modo noioso su questo e quello in termini di cambiamento climatico. Non parlano mai di emozioni, non parlano mai di cultura, non parlano mai di poesia.

Dan Bloom per fivebooks.com

È chiaro, ora più che mai, che le parole “emergenza climatica” sono entrate a far parte del nostro quotidiano: veniamo bombardati costantemente da grida di allarme del nostro pianeta. Come dice Dan Bloom nella sua intervista per Cal Flyn ,ogni giorno, scienziati, persone di spicco nell’ambito politico e non, cercano di mettere in evidenza le sempre più frequenti problematiche del clima. Ma è davvero utile? Secondo Dan Bloom non saranno gli accademici a portare il mondo alla comprensione del problema, ma sarà l’arte. Noi di Pop-Eye condividiamo fortemente la sua opinione, perché pensiamo che saranno la letteratura e l’arte a smuovere gli animi umani e a toccare la loro empatia.

L’arte ha sempre avuto la capacità di parlare all’anima delle persone, mentre dati accademici, numeri, conti alla rovescia, vengono visti dalla collettività come qualcosa di molto lontano e, spesso, incomprensibile. La climate fiction, invece, può fare la differenza. Nei due romanzi che oggi vi abbiamo raccontato, non si mette in evidenza il disastro ambientale che percuote il mondo, ma le emozioni provate dai protagonisti, i loro comportamenti e quelli della collettività. In questi ultimi giorni, dopo aver letto diverse opere del genere per la stesura di questo articolo, abbiamo preso più coscienza di ciò che potremmo fare per migliorare la situazione, nel nostro piccolo.

Opere come La strada di Cormac McCarthy e La parabola del seminatore di Octavia E. Butler ci pongono davanti al problema di che cosa diventerebbe l’umanità se il mondo finisse. Vogliono colpire i lettori, smuovere le loro coscienze: chi vorrebbe vivere in un mondo fatto di fiamme e cenere, dove non c’è spazio per speranza e salvezza? Varrebbe la pena sopravvivere? In che cosa crederemmo, in quel momento? Vogliamo davvero lasciare ai nostri discendenti un mondo in rovina?

I romanzi, per alcuni, hanno più peso di dibattiti e battibecchi politici e scientifici e sicuramente riescono ad arrivare meglio alle masse. È per questo che, ora più che mai, il mondo ha bisogno di opere di questo genere. E, ne siamo sicuri, queste non si faranno attendere: maggiore sarà l’emergenza, maggiore sarà il bisogno degli artisti di mettere in evidenza il pericolo e il bisogno di urlare al mondo di svegliarsi.

Il pianeta che conosciamo sta soffrendo a causa nostra, e noi non possiamo stare con le mani in mano ad attendere il prossimo disastro naturale, la prossima caldissima e torrida estate, la prossima fine del mondo. Noi vogliamo fare di meglio, e il primo passo è prendere coscienza dei problemi ai quali andremo incontro nel nostro prossimo futuro. E voi, che cosa aspettate?

RF