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Da Pecoranera a Tassofrasso: Harry Potter e le magie della traduzione

Da Pecoranera a Tassofrasso: Harry Potter e le magie della traduzione

  • Lara Dal Cappello

  • 30 gennaio 2023
  • nonleggere

Lumos! Sentite nell’aria un po’ di magia? È perché oggi torniamo a parlare del maghetto più amato dai lettori di tutto il mondo. Ma non preoccupatevi, non vogliamo ammorbarvi con l’ennesimo elogio alla saga di Harry Potter, né tantomeno azzardare l’ennesima teoria su tematiche e analogie presenti nel mondo creato da J. K. Rowling. Quello che faremo oggi è un viaggio attraverso le parole, le lingue e le culture. Ovvero, parleremo della traduzione – o meglio, delle traduzioni italiane della saga di Harry Potter, dei come e dei perché. Quindi sì, forse riusciremo finalmente ad avere le idee un po’ più chiare sul perché Tassorosso sia diventato Tassofrasso, l’originaria Pecoranera si sia poi trasformata in un corvo e chissà, magari riusciremo a farvi cambiare idea su quale possa essere (o meno) la miglior translation choice1.

Bacchette in posizione, si parte!

Harry Potter in Italia: traduzione e ritraduzione

Tradurre un romanzo fantasy non è mai semplice, data la spesso enorme quantità di neologismi e nomi parlanti. Tradurre una saga lo è ancora meno: e se più avanti venissero fuori dei dettagli che, a saperli prima, avemmo optato per tutt’altra strategia? Tradurre un bestseller e dover far fronte alla trepidazione di un pubblico spesso poco paziente, e alle conseguenti traduzioni amatoriali online che spuntano come funghi, mette addosso una pressione particolare.

E il caso di Harry Potter porta con sé tutte queste caratteristiche, più molte altre peculiarità che hanno condotto la casa editrice Salani, nel lontano 1998, a trovarsi di fronte a tempi ristretti e un testo complesso, due fattori che difficilmente vanno d’accordo, specie se dietro le quinte troviamo le costanti pressioni di un pubblico sempre più “affamato”.

(Quasi) tutte le edizioni italiane di Harry Potter.

Ecco allora che, tra un susseguirsi di scelte diverse e differenti traduttori, il risultato finale, per quanto nostalgicamente lo consideriamo spesso perfetto, non è carente di sviste ed errori.

Così, proprio quando ormai ci eravamo abituati ai Tassorosso e al Platano Picchiatore, nel 2011 Salani decise che era giunto il momento di riparare ai danni fatti, mettendosi all’opera per la ritraduzione di una delle saghe ormai più amate al mondo, e proprio per questo andando incontro a non pochi rischi: come avrebbero preso questa decisione i lettori ormai affezionati alla saga, così tanto da essere passati sopra anche agli errori più gravi? Sappiamo poi com’è andata: le critiche non sono mancate e molti fan sono tutt’oggi attivi nella polemica contro la ritraduzione della saga.

Dopo le dovute premesse, è giunto il momento di avventurarci nel testo e nella lingua del magico mondo di Hogwarts! Vediamo allora quali sono le peculiarità che hanno posto particolari difficoltà traduttive, dando origine a malintesi e ai conseguenti errori.

Nomi parlanti, tra serpenti e bastoni

Abbiamo già parlato dei nomi parlanti su Pop-Eye e, come ogni romanzo fantasy che si rispetti, la saga di Harry Potter ne è piena. Ma facciamo un breve ripasso: vengono definiti parlanti, in letteratura, quei nomi che descrivono o suggeriscono le caratteristiche, fisiche o caratteriali, di un personaggio. La loro funzione primaria è quindi quella di dare espressività al testo. Pensiamo a Sirius Black, Severus Snape, Draco Malfoy: anche se non avessimo mai letto i libri o visto i film, solo leggendo i loro nomi potremmo farci una certa idea del personaggio. Insomma, Severus e Draco non esprimono certo particolare gioia e serenità, così come Black non ci fa certo pensare alla luce.

Oliver Wood/Baston e Severus Snape/Piton: sono nomi parlanti.

Ma i nomi parlanti, in quale lingua parlano? Per capire cosa intendiamo, prendiamo un esempio specifico: quello di Oliver Wood, capitano della squadra di Quidditch di Grifondoro. Il termine inglese wood, traducibile in italiano come legno, fa ovviamente riferimento alle mazze usate nello sport dei maghi. Ecco allora che Oliver Wood diventa un nome parlante, e immediatamente associamo il personaggio allo sport che pratica.

Ma cosa accade quando un lettore non anglofono, magari un bambino che in inglese per ora sa solo i colori e qualche numero, legge questo nome? Succede che il significato di wood non è conosciuto, il nome proprio manca della sua connotazione di parlante e si viene a perdere in espressività. A volte, anche in comprensione. Motivo per cui, nella prima traduzione abbiamo letto Oliver Baston e Susan Bones è diventata Susan Hossas: si tratta di una scelta traduttiva chiamata domesticazione, che consiste nell’operare scelte linguistiche che avvicinino il testo alla cultura di arrivo. Nel nostro caso specifico, un nome inglese è stato sostituito con un nome che suonasse inglese, ma nascondesse una parola di facile comprensione (e associazione) per i lettori italiani.

La ritraduzione nel 2011 ha optato per la strategia opposta, quella di straniamento, volendo avvicinare il lettore alla cultura della lingua originale. Ecco allora che la maggior parte dei personaggi hanno riacquistato i propri nomi originali, quali Colin Crevey e Argus Filch, precedentemente tradotti come Colin Canon e Argus Gazza. Una scelta azzeccata per i lettori con un livello medio di inglese, o curiosi di andare a cercare significati in ogni dove, ma che forse perde un po’ di significato per una grande fetta di pubblico. Perché si sa, nel nostro paese ci sono ancora molti passi da fare in ambito di educazione linguistica2, e non possiamo dare per scontato che tutti, dai bambini agli anziani, possiedano una conoscenza base della lingua inglese, figuriamoci della relativa cultura.

Un altro tipo di scelta traduttiva adottata per alcuni nomi propri è quello della chiarificazione: nomi originariamente non parlanti sono stati resi parlanti, con l’intento di caratterizzare meglio determinati personaggi che, altrimenti, sarebbero forse rimasti un po’ troppo sullo sfondo. È il caso della professoressa Minerva McGonagall, tradotta in italiano come Minerva McGranitt fino alla ritraduzione, dove ha riacquistato il suo cognome originario.

Secondo la traduttrice Serena Daniele, la professoressa di Trasfigurazione nonché vicepreside di Hogwarts emana un’aria severa, una durezza che ricorda quella del granito, da cui appunto McGranitt. Il limite di questa scelta, si pensa, è quello di ingabbiare un personaggio dalle mille sfaccettature, e che evolverà nel corso della saga, alle caratteristiche di una “macchietta”.

Da Minerva McGonagall a McGranitt: un esempio di chiarificazione.

I nomi delle Case: da Pecoranera a Tassofrasso

Veniamo a una delle questioni più discusse: i nomi delle quattro case di Hogwarts, in lingua originale Gryffindor, Slytherin, Ravenclaw e Hufflepuff. Come risaputo, si tratta dei cognomi dei quattro fondatori delle case, a cui ogni studente di Hogwarts viene assegnato in base alle proprie caratteristiche e personalità. Anche qui, si tratta di nomi parlanti. In Slytherin finiscono quegli studenti in cui predominano astuzia e furbizia: il nome mette insieme il verbo to slither (strisciare, muoversi sinuosamente come un serpente) e l’aggettivo sly (astuto, furbo). Non solo: anche i direttori delle case possiedono nomi che ben si associano alle relative caratteristiche. Serpeverde è infatti diretta da Severus Snape, il cui cognome rimanda indubbiamente la parola snake (serpente), simbolo dello stemma di Serpeverde, oltre ad essere un nome fortemente allitterativo. La prima traduzione italiana ha infatti voluto esprimere al meglio questa sua natura “serprentina”, attraverso il cognome Piton.

Per quanto riguarda i nomi delle case, le due traduzioni italiane su una cosa sono d’accordo: non potevano essere lasciati in lingua originale, rischiando di perdere troppe connotazioni e legami. È stata quindi fatta una scelta domesticante, basata sul metro linguistico e sull’assonanza allo scopo di creare un ambito di fiabesco quotidiano, e con un curioso riferimento alle contrade senesi con i loro animali-simbolo. Ecco allora che sono nati Grifondoro, Serpeverde, Corvonero e Tassorosso.

Le quattro Case di Hogwarts e i relativi stemmi

In realtà, la casa più intelligente di Hogwarts è stata inizialmente tradotta – in modo piuttosto contraddittorio – come Pecoranera, il che rimanda a un significato opposto rispetto a quello voluto dall’autrice, o aggiunge una connotazione umoristica non necessaria e non voluta nel testo originale. A partire dalle ristampe del 2000, l’errore è stato corretto ed è stato dato alla casa il nome con cui noi tutti oggi la conosciamo, Corvonero.

Ma un’altra casa ha subito un cambio di nome con la ritraduzione del 2011, dando origine a una serie di discussioni (perlopiù in negativo) riguardo alla tale scelta: Tassorosso è diventato Tassofrasso. Viene così perso il tema cromatico (assente nell’opera originale) che aveva caratterizzato tutte le case nella prima traduzione, secondo Bartezzaghi non essenziale e soprattutto contraddittorio: solo Serpeverde rispetta effettivamente la connotazione nome-colore, ma Grifondoro è rosso e Corvonero è blu: di rosso in Tassorosso non c’è proprio nulla. Tuttavia, è opportuno chiedersi se il cambiamento fosse davvero necessario. Insomma, c’è tra noi qualcuno che chiama davvero la casa dei gentili e degli onesti Tassofrasso?

Stati di sangue e malintesi

Parliamo ora di un vero e proprio orrore di traduzione, ovvero di come la prima edizione italiana della saga abbia mischiato due termini relativi allo stato di sangue, creando non pochi problemi e malintesi. I maghi non sono tutti uguali: così come la società umana viene suddivisa in classi sociali, i maghi misurano la loro “importanza” nella società in base al proprio stato di sangue. Abbiamo quindi i cosiddetti Pureblood, discendenti di soli maghi e tra i cui antenati non figurano babbani; gli Half-Blood, con famiglie composte sia da maghi che da babbani (come il protagonista Harry, i cui parenti da parte di madre sono babbani) e i Muggleborn, nati da una famiglia di esseri umani, spesso discriminati e spregiativamente chiamati Mudblood, letteralmente “sangue di fango”.

Ecco, la prima traduzione chiama Half-Blood e Mudblood allo stesso modo: Mezzosangue, creando una confusione crescente man mano che la saga procede e i due termini acquisiscono sempre più importanza. L’errore è stato mantenuto anche nella trasposizione cinematografica, così che molti di noi sono rimasti allibiti nell’udire Severus Piton affermare orgogliosamente di essere il Principe Mezzosangue, quando nel terzo capitolo della saga il termine era chiaramente considerato un tabù, usato da Draco Malfoy contro Hermione al fine di disprezzare il suo “sangue sporco”.

Fortunatamente la ritraduzione di Bartezzaghi ripara al tremendo errore, con l’introduzione del termine Sanguemarcio, che ben rende l’idea di disprezzo e discriminazione proprie di chi lo usa.

Finalmente, come afferma Ilaria Katerinov,

Mudblood: inizialmente tradotto come Mezzosangue, per poi diventare Sanguemarcio

Sparita l’equivalenza errata tra “Mezzosangue” e “Nato Babbano”, ora anche il lettore italiano può cogliere appieno il gioco sottile e malinconico con cui la Rowling instaura un parallelismo tra il mondo per nulla idilliaco in cui vivono i suoi maghi e le pagine più tragiche della violenza razzista perpetrata nella storia di noi “Babbani”.

Lucchetti Babbani e Medaglioni Magici, pag. 201

Hagrid e il dialetto veneto

Affrontate le questioni più insidiose e più curiose relative ai nomi propri e alla loro traduzione, vogliamo infine addentrarci in un altro aspetto della lingua che pone non poche difficoltà a chi di mestiere traduce: quello dei dialetti e degli slang, di cui già abbiamo parlato altrove. Nello specifico, tratteremo il caso di Hagrid, custode delle chiavi e dei luoghi di Hogwarts. Prima di poter fare ciò, riteniamo però necessario accennare alle strategie traduttive tipicamente utilizzate di fronte a un dialetto, a un gergo o a uno slang.

Quella delle varietà linguistiche, nell’ambito dei Translation Studies, è una problematica specifica all’interno dei riferimenti culturali. Dai vari studi sul caso, possiamo ricavare quattro grandi scuole di pensiero o strategie statisticamente più utilizzate dai traduttori per far fronte al problema del dialetto:

  • Tradurre dialetto per dialetto: un approccio prettamente linguistico;
  • Standardizzare il dialetto: ovvero neutralizzare i dialettalismi e scegliere una lingua standard;
  • Tradurre il dialetto geografico per il dialetto sociale o lingua colloquiale: questo ha come obiettivo quello di sottolineare una certa differenza con la lingua standard, senza però rimandare ad un preciso contesto geografico. Si tratta di quella che viene comunemente definita opzione interdialettale, che nella pratica traduttrice è attualmente la più usata.
  • Creare una nuova lingua al fine di mantenere l’esoticità del testo, creando quindi un effetto di straniamento.

    Serena Daniele, curatrice dei romanzi della saga di Harry Potter per Salani, scrive nella nota anteposta al testo delle prime edizioni che

Per il personaggio di Rubeus Hagrid, custode delle Chiavi e dei Luoghi a Hogwarts, che nell’originale inglese parla in modo palesemente sgrammaticato, si è pensato di rendere questa sua caratterizzazione con un italiano altrettanto sgrammaticato.

Serena Daniele, nota alla traduzione italiana

Quello di Hagrid, nella lingua originale, non è in realtà un inglese propriamente sgrammaticato, quanto più quello che alcuni chiamerebbero English with an accent, ovvero marcato da un forte accento: quello di Bristol, proprio il luogo in cui è nata l’autrice della saga. L’accento viene reso graficamente tramite l’elisione di alcune consonanti, e a volte dell’intero soggetto, e una diversa ortografia rispetto a quella normativa per alcune parole.

You diventa quindi yeh, just perde la t e rimane solo jus’, così come didn’t/didn’. Questo per donare al personaggio un accento ruvido e una parlata aspra che, combinati al suo aspetto imponente e trasandato, non riescono infine a nascondere la profonda sensibilità e bontà d’animo di Hagrid.

Ok, ora immaginate Hagrid che parla in dialetto veneto.

Nella traduzione italiana, l’accento di Bristol si trasforma in un italiano standard ma, appunto, sgrammaticato, senza congiuntivi. Sicuramente non è la scelta peggiore: sentire Hagrid che parla in dialetto veneto o in napoletano sarebbe sicuramente stato molto più imbarazzante. Ma la scelta migliore sarebbe forse stata quella che più spesso si usa in traduzione: la negoziazione. Ovvero, lasciar perdere la questione dell’accento, ma imitare l’originale con il troncamento di qualche sillaba qua e là, e al massimo qualche parola un po’ storpiata.

E a te che sei rimasto con Harry fin proprio alla fine…3

Prima di concludere, siamo curiosi di porre una domanda ai fan della saga: avete rivalutato una o l’altra traduzione, dopo la lettura di questo articolo?

Abbiamo potuto vedere alcune delle peculiarità di un testo che è molto più complesso di quanto appaia, ma abbiamo solo toccato la punta dell’iceberg. Non abbiamo ad esempio accennato a tutta la questione delle frasi idiomatiche, dei doppi sensi e degli anagrammi, così come non abbiamo approfondito la questione dei neologismi, dei falsi amici, dell’ulteriore differenza tra edizione inglese ed edizione americana. L’universo creato da J. K. Rowling è ricco e complesso non solo nel suo worldbuilding, ma anche da un punto di vista linguistico. Potremmo stare ore a parlare del gioco di parole tra Uranus e your anus, quasi impossibile da rendere in italiano, o del fatto che i Deathly Hallows non siano tanto doni quanto reliquie.

Ma per ora ci fermiamo qui, lasciando ai nostri lettori il piacere, se lo desiderano, di approfondire ulteriormente le innumerevoli curiosità sulle magie della lingua che una delle saghe più amate di tutti i tempi ha da offrirci.

Nel frattempo, Nox!

LDC


NOTE:

1 La maggior parte delle informazioni presenti nell’articolo riguardanti la traduzione italiana della saga di Harry Potter sono state da noi ricavate e apprese grazie allo splendido lavoro di Ilaria Katerinov: Lucchetti Babbani e Medaglioni Magici – Harry Potter e le Sfide di una Traduzione (2012, Camelozampa).

2 Per un approfondimento sulla politica e l’educazione linguistica, in Italia e nel mondo, consigliamo la lettura di Santipolo M., 2022, Educazione e Politica Linguistica – Teoria e Pratica, Bulzoni Editore.

3 Dalla dedica iniziale in Rowling J. K., 2008, Harry Potter e i Doni della Morte, Salani Editore.


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La traduzione del fumetto tra sfide e compromessi

La traduzione del fumetto tra sfide e compromessi

  • Lara Dal Cappello

  • 11 aprile 2022
  • nonleggere

Senza la traduzione, sarei limitato tra i confini del mio paese. Il traduttore è il più importante alleato. È il traduttore che mi introduce al mondo.

Italo Calvino

La traduzione e il suo funzionamento vengono studiati sin dai tempi antichi: Cicerone e San Girolamo furono i primi a tentare di dare una definizione di traduzione e a spiegare come questa funzionasse. Tuttavia, è solo a partire dalla seconda metà del ventesimo secolo che si inizia a parlare di traduzione come disciplina accademica, grazie al linguista James S. Holmes che, nel 1972, coniò il termine translation studies.

Da quel momento, numerosissime teorie e altrettante relative critiche in merito alla traduzione e al suo funzionamento hanno iniziato a svilupparsi in tutto il mondo: dai primi tentativi di offrire una struttura generale della disciplina, ai nuovi concetti e termini, sino alle strategie che vengono tutt’oggi usate dai traduttori nel loro lavoro.

San Girolamo, patrono dei traduttori.

Di saggi e manuali sulla traduzione se ne trovano ormai un’infinità, dai più generici ai più specifici che ricoprono diversi ambiti e specializzazioni: traduzione editoriale e letteraria, giurata, tecnico-scientifica, commerciale; eppure ancora poco, anzi pochissimo, è stato scritto sulla traduzione del fumetto.

Lo status del fumetto nel corso della storia

Il fumetto non ha mai avuto vita facile: sin dagli albori della sua comparsa è stato considerato, in molti paesi del mondo, un mero prodotto di intrattenimento infantile. Insomma, roba per bambini. Per non parlare della campagna morale di censura avvenuta negli anni ’50, con l’obiettivo di proteggere la popolazione – e in particolare i giovani – dalla presunta cattiva influenza dei fumetti. Questa scarsa considerazione per la nona arte, purtroppo lo sappiamo bene, non è ancora del tutto scomparsa. Gli stereotipi sul nerd, avido lettore di fumetti che non vede mai la luce del sole, hanno rotto le andavano forte fino a pochi anni fa.

In questi ultimi anni stiamo vedendo una riaffermazione del fumetto. In particolare i manga, ma anche i graphic novel, stanno scalando le classifiche dei libri più letti e venduti in Italia. Ma qual è il motivo di questa svolta piuttosto improvvisa? Secondo alcune statistiche, il lockdown del 2020 ha portato a scoprire o a rinnovare la passione per la lettura, compresa quella per il fumetto. Ma anche i social hanno un grande ruolo in questo. Su Instagram e TikTok è nato negli ultimi anni il fenomeno dei book influencer: lettrici e lettori che, tramite post, storie e video, condividono consigli di lettura e book haul. Sono stati scritti articoli e addirittura pubblicati dei libri su questo fenomeno, che sembra star in qualche modo rivoluzionando il mondo editoriale e avendo un grosso impatto sulle vendite. E i fumetti, in questi contenuti, si vedono sempre di più.

Come lo status del fumetto influisce sulle scelte di traduzione

Ma in tutto ciò, cosa c’entra la traduzione? Beh, lo status sociale attribuito al fumetto influisce molto sul modo in cui questo viene tradotto e sull’importanza che si attribuisce alla sua traduzione. La maggior parte dei fumetti presenti sul mercato sono traduzioni, eppure gli studi e le pubblicazioni dedicate alla traduzione del fumetto sono ancora assai pochi. Anche i passaggi dedicati a essa nei volumi sulla traduzione letteraria coprono in media due o tre pagine, spesso solo poche righe, molto raramente un intero capitolo1. Molti studi, inoltre, citano il fumetto solo come esempio per discutere la traduzione di giochi di parole, onomatopee e altre caratteristiche linguistiche spesso presenti nel fumetto ma non specifiche del medium.

Il fumetto in relazione ai translation studies venne nominato per la prima volta dal linguista Roman Jakobson nel 1960. Egli fu il primo a riconoscere l’esistenza di diverse tipologie di traduzione, suddividendole in tre categorie: quella interlinguistica, quella intralinguistica e quella intersemiotica. Per farla un po’ più semplice, si può parlare rispettivamente di riformulazione, traduzione propriamente detta (quella a cui ci riferiamo solitamente, ovvero la classica traduzione di un testo da una lingua ad un’altra) e trasmutazione. Questa prima distinzione risulta fondamentale per i due principali approcci con cui è stata affrontata la traduzione del fumetto nel corso degli anni: quello linguistico e quello semiotico.

Mentre il primo approccio si focalizza esclusivamente sulla componente verbale, il secondo prende in considerazione la relazione – e soprattutto l’interazione – tra componenti verbali e visive, nel caso specifico del fumetto tra testo e immagini.

L’approccio linguistico è strettamente legato al concetto di traduzione vincolata, nato negli anni Ottanta per indicare una traduzione che, per ragioni pratiche o commerciali, è limitata nello spazio. Il dibattito sulla traduzione del fumetto, infatti, è stato spesso caratterizzato dalla visione della presenza dei balloon come un limite alla libertà del traduttore. Per questa sua visione limitata, l’approccio linguistico è stato via via lasciato da parte in favore di quello semiotico.

A volte si pensa che il testo scritto nei balloon o nelle didascalie sia l’unica componente dei fumetti che viene tradotta, ma non è così: anche le componenti visive possono essere tradotte, e spesso lo sono. Gli aspetti del fumetto che possono essere modificati durante il processo di traduzione possono essere divisi in tre categorie: i segni tipografici (tipo e grandezza del carattere, formato e layout), i segni illustrati (colori, vignette, linee d’azione) e i segni linguistici (titoli, didascalie, dialoghi, onomatopee e narrazione). Ognuno di questi aspetti può essere soggetto a strategie di cambiamento quali la sostituzione (l’opzione standard per i segni linguistici), l’eliminazione o l’aggiunta.

La traduzione vincolata considera i balloon come un limite.

Qualche parolone: i loci della traduzione, domesticazione e straniamento

Se il traduttore sceglie di adottare un approccio semiotico, nella prima fase di traduzione del fumetto il suo compito sarà quello di identificare quattro aree di messaggi verbali, chiamate tecnicamente loci della traduzione, e per ogni area capire se il messaggio verbale debba essere tradotto o meno. Queste aree sono:

  • I balloon: il luogo principale in cui si trova il messaggio verbale, che solitamente rappresenta la modalità parlata ed è scritto in prima persona, e deve quindi essere tradotto;
  • Le didascalie: il testo presente all’inizio o alla fine della vignetta, generalmente scritto in terza persona, dà alla narrazione una dimensione letteraria. Di norma contrassegna cambiamenti nel tempo e nello spazio, ma può anche contenere commenti connessi all’immagine e viene quasi sempre tradotto;
  • I titoli: una delle loro principali funzioni è quella di essere visivamente attraenti. Spesso vengono cambiati nel passaggio da una cultura all’altra, ma nel caso in cui venga mantenuto il titolo originale, la ragione potrebbe essere quella di voler dare un tocco esotico all’opera, solitamente accompagnata da una strategia traduttiva di straniamento (che vedremo tra poco);
  • Il paratesto linguistico: i segni verbali fuori dai balloon ma interni al disegno, come iscrizioni, segnali stradali, giornali, onomatopee e, a volte, alcuni dialoghi. Il paratesto può avere entrambe le funzioni, visiva e verbale: è il traduttore a dover scegliere a quale dare la priorità.

Il primo compito del traduttore è quindi quello di identificare i loci della traduzione e prestare attenzione ai diversi tipi di interazione tra le due risorse che creano il significato, il visivo e il verbale, per l’appunto. Molti errori di traduzione, infatti, provengono proprio dal fallimento del traduttore nell’identificare l’interconnessione tra testo e immagini. Un esempio può essere dato dal significato del messaggio verbale all’interno del balloon che viene completato dal messaggio visivo. Spesso lo scopo di questa interazione è quello di generare un effetto umoristico, creando giochi di parole che non avrebbero senso se non fossero accompagnati dall’immagine.

Il rebus: l’esempio più classico di interazione tra visivo e verbale.

Altro elemento fondamentale è costituito dai riferimenti culturali che, nel fumetto come in qualsiasi opera letteraria, stanno alla base di due strategie traduttive opposte: domesticazione e straniamento. La prima è una resa orientata al testo di partenza, mentre la seconda è orientata al pubblico d’arrivo. Nel primo caso la traduzione neutralizza il testo straniero rendendolo conforme alla lingua e alla cultura d’arrivo, rendendolo più familiare e facilmente comprensibile per il fruitore finale mediante alterazioni e sostituti culturali. Uno svantaggio di questa procedura può essere la perdita d’informazioni che si verifica in alcuni casi. Lo straniamento, diversamente, mantiene intatta l’alterità del testo di partenza anche a costo di mettere in difficoltà il pubblico di destinazione o infrangere le convenzioni della lingua d’arrivo.

Nel caso del fumetto, in certi casi spetta all’editore scegliere il modo in cui portare sul mercato del proprio paese una determinata opera, ad esempio conservandone o alterandone il formato. Tuttavia, sono i traduttori che per primi si trovano di fronte a segni visivi e verbali appartenenti a una determinata cultura, e che devono pertanto scegliere se adottare una strategia addomesticante o straniante. Nella maggior parte dei casi è possibile mantenere il messaggio visivo con tutte le sue connotazioni culturali, traducendo solo il messaggio verbale, senza rischiare di perdere o stravolgere il significato. Tuttavia, come abbiamo visto, visivo e verbale in questo medium sono strettamente connessi e interagiscono tra loro, e talvolta non sono scindibili – come nel caso di rebus e giochi di parole – creando alle volte un ostacolo e una vera e propria sfida per il traduttore.

In genere, per quanto possibile, si cerca di mantenere anche nella traduzione le caratteristiche culturali ed editoriali del fumetto originale, quali ad esempio la direzione di lettura e il formato. Questa strategia viene usata principalmente nei paesi in cui il pubblico ha raggiunto una consapevolezza dell’importanza artistica del fumetto, riconoscendo che adottare una strategia domesticante e quindi attuare drastiche alterazioni del lavoro originale non sarebbe la giusta soluzione.

La strategia di straniamento implica, al massimo, piccoli aggiustamenti nel formato, come un diverso numero di pagine o una variazione della periodicità della pubblicazione, e può a volte includere l’adattamento della grafica agli standard del paese di pubblicazione – ovvero onomatopee e titoli, traducendoli e adattandoli graficamente alla pagina. Tuttavia, alcune volte questi elementi testuali sono considerati parte integrante della grafica, e il pubblico fatica a tollerare la loro traduzione. In questi casi, una strategia adottata ad esempio da alcune case editrici italiane è quella di mantenere il titolo originale aggiungendone la traduzione a piè di pagina.

Le Petit Spirou (1987) viene adattato culturalmente:

cambia anche il messaggio visivo (i titoli sul dorso dei libri).

Un caso particolare riguarda la traduzione dei manga, in particolare della direzione di lettura che nel paese d’origine va da destra verso sinistra. Nei primi anni in cui i manga vennero importati nel mercato occidentale, traduttori ed editori adottarono una strategia domesticante, invertendo il senso di lettura affinché risultasse uguale a quello occidentale, ossia da sinistra verso destra. Tuttavia, alcuni autori giapponesi la considerarono un’alterazione intollerabile e finirono per rifiutare la garanzia dei diritti di traduzione per le loro opere. Effettivamente, l’inversione di lettura crea non pochi problemi, quali la creazione di personaggi mancini: conseguenza piuttosto grave, ad esempio, nelle storie che parlano di samurai. Questi ultimi, infatti, seguono un severo codice d’onore chiamato bushido, che li obbliga a non impugnare mai la spada con la mano sinistra. Oggi, la maggior parte dei manga pubblicati in Europa viene tradotta con una strategia straniante, mantenendo quindi il senso di lettura giapponese, anche sotto le spinte e le critiche del pubblico.

Attualmente, i manga pubblicati in Italia contengono indicazioni sul senso di lettura.

Zerocalcare in inglese tra daje e culisti

I fumetti di Zerocalcare sono stati tradotti in molte lingue straniere e la questione risulta particolarmente interessante sotto diversi punti di vista.

Innanzitutto, c’è la questione del linguaggio. Il caso di Zerocalcare è particolarmente complesso, in quanto, come l’autore stesso afferma, nelle sue opere il testo prevale sul disegno. Al contrario, quest’ultimo presenta un ruolo più espressivo che narrativo, e il ritmo della narrazione dipende fortemente dai dialoghi e dal testo. Al fine di rendere il linguaggio il più autentico possibile, l’autore utilizza diverse strategie, tra cui le principali sono i tratti dialettali e i turpiloqui, allo scopo di elevare ancora di più il livello di affinità con la lingua parlata e avere a disposizione un’altra fonte d’espressività. Tradurre un dialetto in un’altra lingua non è semplice ed esistono diverse possibilità e strategie per il traduttore che si trova di fronte a questa sfida.

Forget my name è stato pubblicato per la casa editrice digitale Europe Comics nel 2015.

Zerocalcare alterna inoltre diversi registri linguistici (dal volgare, informale o colloquiale al formale, ricercato, aulico o solenne). Ognuno di questi comunica un messaggio diverso rispetto agli altri e spesso caratterizza i diversi personaggi. Le opere dell’autore abbondano inoltre di anglicismi e francesismi: nel primo caso, ciò è dovuto soprattutto alla presenza dei numerosi riferimenti alla cultura pop, ma anche all’influenza di internet nel linguaggio parlato e giovanile; nel secondo caso, il motivo è l’origine francese dell’autore. Infine, Zerocalcare fa ampio uso di neologismi, generalmente al fine di creare un effetto umoristico.

Per la traduzione inglese di Dimentica il mio nome, Carla Roncalli di Montorio ha optato per la traduzione in un inglese standard ma colloquiale, evitando quindi la strategia dialetto-per-dialetto, ma adottando alcuni accorgimenti – principalmente nel lessico – che rendessero l’espressività di una lingua parlata e giovanile e che evidenziassero l’alternanza di registri linguistici.
La sfida più difficile è stata probabilmente la traduzione di espressioni tipicamente romane, ovviamente intraducibili letteralmente e di cui non esiste un equivalente inglese. Alcune espressioni sono state tradotte con quello che sarebbe l’equivalente inglese del termine in italiano standard, mentre, dove possibile, la traduttrice ha usato espressioni colloquiali, abbreviazioni e imprecazioni tipicamente britanniche (come bloody hell e blimey).

Ma so cosa tutti vi state chiedendo: daje è stato tradotto in diversi modi a seconda del contesto, ad esempio con le espressioni you go girl! o come on!. Non disperate, l’adattamento inglese della serie Strappare lungo i bordi ha fatto cose peggiori.

La questione si complica ulteriormente con la presenza di neologismi.
Vediamo due casi interessanti:

Alcuni neologismi sono facilmente traducibili.

In questa vignetta, il neologismo bambinese viene utilizzato in un flashback che riporta all’infanzia dell’autore e si riferisce al linguaggio utilizzato dai bambini che ancora non sanno parlare, con un chiaro effetto comico. La traduzione inglese adotta una strategia simile, creando un neologismo che identifichi questa nuova “lingua”, utilizzando la radice kid– (bambino), e mantenendo il suffisso –ese. È una buona soluzione, considerando che anche in inglese si tratta di un suffisso derivativo che indica origine e provenienza, come ad esempio in Portuguese e Japanese.

Altre necessitano di strategie più complesse…

…come la creazione di nuovi neologismi.

Il secondo caso è più complesso, in quanto mescola un gioco di parole e due neologismi che, combinati insieme, suscitano un effetto comico, legandosi inoltre a un elemento visivo. I due neologismi sono culista e schifusss. Nel primo caso si tratta di una modifica del nome di professione oculista mentre il secondo termine è un’alterazione della locuzione che schifo. Il neologismo culista gioca con la parola culo e svolge una funzione umiliante verso il ragazzo a cui è diretto (che porta gli occhiali, quindi: visivo che si lega al verbale). Perciò, i livelli sui quali opera questo neologismo sono principalmente tre: la parola che ridicolizza il nome di una professione, l’impiego di una voce volgare per raggiungere tale effetto, e l’interconnessione con l’immagine attraverso gli occhiali portati dal figlio dell’oculista. La strategia adottata nella traduzione inglese è simile all’originale per la prima parte della battuta: la professione del padre cambia in physician, così che il neologismo / gioco di parole risulti essere penecian, termine che gioca con la parola penis. Vengono così mantenuti l’effetto comico, il gioco di parole e la funzione umiliante, ma viene perso il rapporto tra testo e immagine. Il termine schifusss non viene invece tradotto con un altro neologismo, ma semplicemente con l’aggettivo disgusting.

E i riferimenti culturali? Le opere di Zerocalcare abbondano di riferimenti alla cultura pop che non riguardano solo film e serie tv conosciute a livello internazionale, ma spesso si tratta di prodotti che solo i lettori italiani potranno apprezzare con una lacrimuccia di nostalgia ad accompagnare la lettura. È il caso, ad esempio, delle caramelle Rossana e del Pisolone, che nell’edizione inglese vengono rispettivamente non tradotti e tradotti letteralmente, privando il lettore anglofono di un grande pezzo di cultura italiana. Diverso è il caso seguente:

La maggior parte dei lettori anglofoni probabilmente non ha idea di chi sia la Pimpa, e tradurre la battuta letteralmente o tentare di spiegarla con una lunghissima nota a piè pagina sarebbe stato controproducente. La traduttrice ha deciso allora di optare per la (tanto discussa nel mondo dei traduttori) negoziazione, adottando una strategia domesticante che, sostituendo il riferimento culturale con un più generico e comprensibile rampant leopard, mantenesse comunque un certo effetto umoristico in relazione alle macchie rosse presenti sulla faccia dell’autore quando lontano dal suo quartiere da troppo tempo.

In conclusione,

Possiamo affermare che – nonostante alcune similitudini nelle strategie utilizzate – la traduzione del fumetto richieda particolari accorgimenti rispetto alla traduzione letteraria e necessiti di molta più attenzione e considerazione di quella che le è stata data finora. Anche al fine di evitare tragici e orripilanti errori.
Siamo certi che San Girolamo ne sarebbe contento!

LDC


NOTE:

1 Tra i più completi e interessanti, Comics in Translation di Federico Zanettin, Nuvole Migranti e La marca dello straniero di Valerio Rota.


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