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La next-gen di Microsoft: una chiave di lettura per Xbox

L’annuncio dell’esistenza di Xbox Series S – versione entry level del nuovo catalogo Xbox – e la quasi contemporanea rilevazione che nei trend topic su twitter ci finiva invece Xbox One X, modello premium della scorsa generazione, è servito a ribadire un concetto molto diffuso in alcune community online, concetto secondo cui le scelte effettuate da Microsoft sarebbero confusionarie, contraddittorie e finanche dannose per il medium videoludico. 


In realtà, come qualsiasi piano industriale, anche quello della compagnia americana ha una
coerenza di fondo che è nata su un’analisi della realtà economica e dello stato di salute del settore; specularmente, è possibile evidenziare alcune criticità che lo contraddistinguono. Senza pretesa di totale esaustività e con un’operazione che consideriamo quasi del tutto interpretativa, abbiamo quindi deciso di addentrarci in una valutazione dell’offerta Xbox per i prossimi anni, partendo da una panoramica riguardo le condizioni che, con ogni probabilità, hanno costituito le basi teoriche su cui edificare l’intero castello.

Il nuovo logo di Xbox GamePass.

CONSIDERAZIONI PRELIMINARI: LE RAGIONI DI UN REVIREMENT CONCETTUALE.

 
Qualche tempo fa Shawn Layden, ex Presidente di Sony Interactive Entertainment Worldwide Studios, ha espresso alcune considerazioni che hanno fatto parecchio rumore nell’ambiente videoludico riguardo la sostenibilità del modello Tripla A, e cioè dei giochi blockbuster ad altissimo budget.
In realtà, le affermazioni di Layden hanno radici antiche e vertono su un substrato analitico conosciuto da tempo e che risulta riassumibile in una proposizione semplice ma che induce a tante riflessioni conseguenti: mentre il costo di sviluppo dei giochi cresce esponenzialmente, il mercato delle console home – cioè la base installata dove esercitare un profitto vendendo i giochi stessi – si evolve linearmente e a bassa velocità o addirittura è piatto.
Probabilmente la questione risulta più chiara con l’inserimento di un doppio contributo grafico, in cui è possibile verificare immediatamente lo scarto che esiste tra il numero di unità vendute attraverso le generazioni e l’evoluzione dei costi di sviluppo:

Progressione esponenziale dei costi.

A peggiorare la situazione interviene un ulteriore elemento: per comprenderlo, dobbiamo considerare il fattore esterno in cui agisce l’impresa e cioè il modello di mercato a cui è accostabile quello videoludico.

Unità vendute da Atari 2600 a oggi.
Per l’atomizzazione di domanda e offerta (esistenza di un numero enorme di consumatori e produttori), basso costo d’ingresso nel mercato (basti pensare ai videogiochi indie sviluppati anche da soggetti singoli), regime di trasparenza e omogeneità dei beni, il modello che si addice maggiormente a teorizzare la realtà videoludica è quello della concorrenza perfetta. In questo modello, le imprese si comportano come price-taker, non avendo la possibilità di determinare il prezzo ma solo di “estrarlo” dall’intersezione delle curve di domanda e offerta (cd. Forbici di Marshall): pertanto, per quello che a noi interessa in questa sede, è importante sottolineare la presenza di un vincolo “massimo” di prezzo, oltre il quale non ci sarebbe equilibrio o semplicemente si intercetterebbe un numero di consumatori troppo esiguo. Tale vincolo di prezzo, che viene spesso definito come “soglia psicologica” dei circa settanta euro a copia, agisce restringendo ulteriormente le maglie delle dinamiche commerciali.

Riassumendo, oggi una Software House (di qui in poi SH) si trova strozzata da vari cappi al collo: una quantità di consumatori che ristagna, dei costi di sviluppo che raddoppiano, un prezzo bloccato.

Prezzo in concorrenza perfetta.

Le conseguenze nel breve termine sono visibili a tutti, e comportano un affidamento a modelli creativi sdoganati/riciclati per intercettare il più alto numero di fruitori possibili nella base installata e la fidelizzazione dell’utenza, un dramma in termini creativi; lo spezzettamento del prodotto finale, con DLC e cut content per far “rientrare dalla finestra ciò che era uscito dalla porta”, non potendo effettuare degli aumenti rilevanti di prezzo; inondazione di edizioni speciali anche intermedie per lucrare sul collezionismo; una forte corsa al ribasso con sconti e deprezzamenti, attuando delle politiche di scostamento basate sull’elasticità della domanda, per intercettare una cifra di acquirenti che non avrebbero comprato il titolo a un prezzo più alto.

Per dirla in maniera alternativa e più semplice:
  1. Se il tripla A costasse – come accadeva qualche tempo fa – venti milioni di euro e si avesse un potenziale mercato di duecento milioni di console, si potrebbe aspettare che i consumatori appassionati acquistino il gioco a settanta euro, con il prezzo che rimarrebbe comunque bloccato a quel massimale per via delle dinamiche “price taker” della concorrenza perfetta: prima si andrebbe in break-even, poi in profitto.
    A quel punto scontare – che serve a intercettare una domanda diversa, composta da quelli che il bene lo acquisterebbero ma a un prezzo più basso – non sarebbe utile, perché l’elasticità della domanda è tale da non rendere razionale la diminuzione del prezzo per aumentare la quantità di venduto.
  2. Se il tripla A costasse – come accade oggi – duecento milioni di euro mentre il mercato fosse rimasto di duecento milioni di potenziali acquirenti risulterebbe quindi necessario essere aggressivi anche con i prezzi per convincere i consumatori che NON avrebbero acquistato il bene a settanta euro a comprarlo comunque, per andare in break even e in profitto, più altre strategie di contorno già elencate in precedenza.
A questo punto intervengono due soluzioni possibili:
La prima è quella di ridurre i costi di sviluppo e/o di aumentare i prezzi.
Mentre in quest’ultimo caso – che pare sia comunque valutato da certe SH all’alba della nuova generazione – la reazione del mercato sarebbe tutta da scoprire, nel caso si decidesse di ridurre i costi di sviluppo dovremmo abituarci a dei blockbuster meno densi e costosi: insomma, non avremmo altri Red Dead Redemption 2, o almeno non li avremmo con la cadenza a cui siamo tutt’ora abituati.
La seconda è di riconfigurare totalmente l’offerta, cercando di far crescere il mercato mediante i servizi in abbonamento, riducendo il costo di ingresso del consumatore e creando un gettito costante, con tutto il sistema di distribuzione e pagamento che si affianca all’uscita singola retail o in Digital Download anche per le terze parti.
E così arriviamo, finalmente, a Microsoft.

Series S e Series X

ABBATTERE LA BARRIERA DI INGRESSO.

La strategia commerciale di Microsoft è stata dunque totalmente imperniata su un singolo concetto: far crescere il mercato.
A questo scopo, dal punto di vista hardware, la casa di Redmond ha creato per la prossima generazione un ecosistema di dispositivi dalle differenti caratteristiche e adatti a venire incontro a una platea molto diversa di soggetti. Esiste pertanto la Xbox Series S, modello entry level; la Xbox Series X, ammiraglia con un target di risoluzione e framerate più alto; Project XCloud, servizio hardware-less per il gioco in streaming; la soluzione custom, rappresentata dal PC Gaming e con un budget totalmente definito dall’utente finale.

Guarda mamma, senza hardware!
Lo scopo è di abbattere il costo di ingresso che oggi un videogiocatore deve affrontare per poter giocare. Osservando anche le caratteristiche geografiche del mercato videoludico, è facile rilevare che sia totalmente limitato al primo mondo. Immaginiamo invece di poter offrire la possibilità di acquistare una console anche a cittadini di nazioni differenti, nazioni con un potere d’acquisto molto più compresso rispetto a quelle definite “occidentali”: l’opportunità è ghiotta. Alla luce del progressivo e inarrestabile allargamento della connessione Internet worldwide, Microsoft sembra concentrata sulla possibilità di offrire l’opportunità di giocare anche a chi non può permettersi nemmeno l’acquisto di Xbox Series S ma che, invece, potrebbe pagare una piccola quota mensile per il gioco in streaming.

Questa politica è rafforzata dal vero e proprio cuore dell’offerta Xbox: il GamePass.
Il GamePass è un servizio in abbonamento che cerca di riproporre nel mondo videoludico – in maniera peculiare, sia chiaro – la volata dei cataloghi cui abbiamo assistito sia nell’ambito musicale che in quello del cinema e delle serie TV, creando appunto un catalogo di videogiochi accessibile da una piattaforma dell’ecosistema in qualsiasi momento e a un prezzo basso. Il concetto è semplice: per essere profittevole, data la piccola cifra richiesta per abbonarsi e fruire di un numero elevato di titoli, il GamePass deve godere di un grosso bacino d’utenza a cui si rivolgersi.

Ricavi e profitti di Netflix, annuali

Il modello Netflix può essere l’esempio classico per fornire la dimensione dell’obiettivo Microsoft: centottanta milioni di abbonati per un fatturato di venti miliardi di dollari, grosso modo allineato alle revenue dell’intera divisione gaming di Sony. 
I costi deriverebbero non solo dal software esclusivo che dovrebbe trainare il GamePass – pensiamo ad
Halo, Forza, Fable, Avowed, Hellblade e gli altri titoli First Party Microsoft – ma anche dall’acquisizione a catalogo dei titoli terze parti. A tal proposito, il meccanismo con cui le SH concederebbero l’inserimento temporaneo dei loro giochi sul servizio Microsoft non sarebbe dissimile dalla proposizione di film e serie TV non originali Netflix o Prime Video su questi cataloghi; parliamo quindi di prodotti che hanno esaurito la loro spirale positiva di profitto “in sala” e che oltre a presentarsi spontaneamente in sconto vengono capitalizzati all’interno di un catalogo, arricchendone la lineup e la commerciabilità agli occhi dei potenziali abbonati.
Anche l’idea di Xbox All Access segue la politica del “giocare tutti, giocare a meno”: la console, in alcuni Paesi, viene rateizzata assieme al GamePass per un numero definito di mesi, in un’ottica di fidelizzazione dell’utenza invece dell’esborso una tantum.

XBOX SERIES S: UNA ZAVORRA PER LA NUOVA GENERAZIONE?

La presenza di Xbox Series S, modello come detto entry-level nella nuova famiglia Xbox, ha suscitato parecchie perplessità sia tra gli addetti ai lavori che tra i semplici appassionati. Il piccolo hardware economico sarebbe infatti colpevole di rallentare l’evoluzione tecnologica dell’intera generazione, rappresentando lo standard minimo su cui sviluppare e riducendo i modelli più performanti ad avere delle semplici versioni migliorate dei titoli disegnati su Series S, riproponendo dinamiche a cui abbiamo già assistito tra le versioni “standard” e “midgen” del periodo che ci lasciamo alle spalle.
Microsoft ha indirettamente risposto a queste obiezioni nel trailer di lancio, affermando che Developers will tipically optimize first for 4K Series X and then scale down the rendering resolution to 1440p for Series S.

Series S.

Per quanto sembri improbabile che la risoluzione sia il solo aspetto di diversità tra le versioni Series S e Series X dello stesso software, la statuizione di Microsoft potrebbe non essere lontana dalla realtà. L’esistenza in ambito videoludico della resolution war – alla stregua della loudness war dell’industria musicale, che ha prodotto volumi sempre più alti a discapito della dinamica del suono – ha indirizzato gli sviluppatori a realizzare come primo obiettivo quello di portare il gioco a un determinato “standard” di definizione, utilizzando a tale scopo la potenza computazionale della macchina costruendo solo poi il resto attorno: l’idea che il videogioco X possa essere un foglio bianco di grandezza A2 se venisse realizzato solo per l’hardware high-end, mentre l’hardware entry level lo costringerebbe a diventare un A4 ma abbellito è, oggi, discutibile.

Control passa da 40 frame al secondo in 4K RTX ON a 73 frame al secondo in FHD RTX OFF.

Il passaggio dalla generazione PS3/Xbox 360 – dove si utilizzavano risoluzioni circa uguali al 720p per giochi con un determinato standard tecnologico – alla generazione PS4/Xbox One, ha richiesto una capacità computazionale grosso modo nove volte superiore per portare in 1080p giochi tecnologicamente migliorati da ogni punto di vista (illuminazione, modelli, animazioni, draw distance, qualità delle textures ecc); tutto questo va tenuto in conto per comprendere quanto il raggiungimento dello standard di risoluzione pesi dal punto di vista dell’utilizzo delle risorse computazionali e nel determinare la fattibilità di una scalabilità verso il basso, che passa anche e soprattutto dalla struttura dei devkit.
Molto probabilmente, il nuovo standard del 4K, che addirittura comporta un raddoppio orizzontale e verticale dei pixel da muovere a schermo, richiede delle risorse impressionanti, soprattutto se combinate alla necessità di progredire sugli aspetti prima citati – illuminazione, modelli, animazioni, draw distance, qualità delle textures – che impattano ogni cambio generazionale.
Pertanto, già tagliare la risoluzione significa liberarsi di un peso notevole e rendere quel gioco appetibile a un hardware nominalmente inferiore; poi seguiranno sicuramente altri ritocchi (in quel processo che viene definito ottimizzazione) ed ecco che il gioco potrebbe risultare perfettamente fruibile sulla piccola Series S, pur essendo concettualmente “nato” su macchine più prestanti e non limitando queste ultime.
Ovviamente Xbox Series S non solo risulta possedere la medesima architettura di Series X, il che renderebbe più facile la scalabilità, ma è sotto ogni punto di vista (RAM, GPU RDNA2, SSD, CPU) una console totalmente next-gen rispetto anche alla precedente mid-gen One X.
Anche in termini di mero utilitarismo,
risulta poi labile il confine per cui un’operazione di sottrazione risulti di base più onerosa rispetto a una addizione al software destinato alla macchina più prestante in termini di risoluzione ed effettistica.

Teraflops e risoluzione: un binomio indissolubile.

A parziale conferma di questa contro-ipotesi è presentabile l’esistenza della softeca Switch (The Witcher 3, The Outer Worlds, Doom, Doom Eternal, Wolfenstein II e via dicendo), softeca che non ha in alcun modo costretto le più potenti console home a ridimensionare le loro aspettative ma che, al contrario, dimostra la possibilità di uno sviluppo up to bottom, dall’alto verso il basso.

Quello che però va sottolineato con vigore è di non circoscrivere necessariamente l’intera questione in un insieme vista tecnico/dogmatico bensì che valga la pena considerare anche gli aspetti commerciali del problema: una effettiva diffusione di un certo hardware comporterebbe in maniera immediata la concentrazione di molte risorse sullo stesso da parte delle SH, per evidenti ragioni commerciali (più base installata c’è, più possibilità di profitto esiste). Che poi è lo stesso motivo per cui un PC di fascia enthusiast riceverà mediamente meno attenzione rispetto a una console: il venduto effettivo fa la differenza e modifica i processi creativi e di sviluppo.
Inoltre, Series S è una macchina particolarmente interessante non solo per chi cerca un punto d’ingresso a basso prezzo nella nuova generazione, magari perché disinteressato alla risoluzione 4K, ma anche per chi desideri una GamePass-machine da affiancare a un modello diverso di console quale Switch o PS5, per godere dei multipiattaforma nel primo caso e dei giochi che altrimenti si sarebbero presi scontati nel secondo, abbracciando quindi una dinamica non propriamente concorrenziale ma di accompagnamento.

LUCI E OMBRE

L’ultima nota prima di concludere l’analisi riguarda gli aspetti negativi dell’attuale progetto Microsoft.
Il primo punto dolente della questione è riscontrabile nell’offerta ludica First Party: uno dei nei della scorsa generazione Xbox era rappresentato proprio dalla quantità e qualità dei titoli proprietari, nonché dalla diversità del portafoglio delle IP. Per quanto il processo di acquisizione degli ultimi tempi sia stato indubbiamente interessante – basti pensare a Obsidian e Ninja Theory – ad oggi siamo ancora nell’ambito delle buone intenzioni e poc’altro. Al netto di un Halo Infinite improponibile e soggetto a un tafazziano rinvio, l’evento di luglio ha mostrato tanti titoli ma a uno stadio ancora embrionale come Fable o lo stesso Avowed.
I giochi First Party – un tempo killer app – hanno indubbiamente un ruolo non da poco nell’indirizzare il consumatore verso un prodotto e Microsoft probabilmente avrebbe dovuto mostrare più muscoli nel breve periodo. Infatti, la scuderia guidata da Phil Spencer proviene da una generazione decisamente negativa sul piano delle vendite singole – Xbox One ha perso più di un terzo dell’installato di Xbox 360 – e gode sicuramente di meno fiducia, da questo punto di vista, da parte dei consumatori. Probabilmente maggiore concretezza su quest’aspetto avrebbero giovato allo stesso GamePass, diventato ormai la vera e propria killer app dell’ecosistema Microsoft e che trae nutrimento anche dalla proposizione di titoli esclusivi.

Xbox Game Studios.

Soffermandoci ulteriormente sul GamePass, è possibile individuare due criticità: la prima riguarda il rapporto con gli indie developers “di nicchia”, adesso entusiasti e rappresentati, che potrebbe deteriorarsi a loro sfavore nel prossimo futuro. Siamo sicuramente nell’ambito della speculazione, ma se la dinamica del servizio dovesse diventare predominante chi ne detiene il controllo agirebbe di fatto come monopolista rispetto al piccolo studio, con l’aggravante di aver diseducato il consumatore medio all’acquisto singolo, non più ritenuto ragionevole perché equivalente magari a un mese di sottoscrizione di un abbonamento ben più vasto.
La seconda criticità riguarda sempre un profilo di eventuale diseducazione del fruitore: mentre è inopinabile che il GamePass possa dirigere un videogiocatore a provare titoli che altrimenti non avrebbe acquistato in singolo, in molti casi potrebbe sovvertire i meccanismi comportamentali per cui ci si fa “trainare” dall’offerta presente sul catalogo e non ci si orienta del tutto consapevolmente. Insomma, basti pensare a quanto oggi sia utilizzato dai singoli il leit-motivvediamo che fa su Netflix o vediamo che mi consiglia Spotify rispetto a un indirizzo orientato sulla singola opera a cui si rivolge autonomo interesse.

Bisogna infine richiamare due ulteriori fattori, iscrivibili a Xbox Series S e alla comunicazione adottata da Microsoft.
Partendo da quest’ultima e rilevando l’indubbia distanza rispetto ai tempi totalmente disastrosi di Xbox One – è difficile dimenticare il suicidio commerciale compiuto sull’usato – è altrettanto palese che la già citata presentazione di Halo e relativo rinvio sia un errore da penna rossa. Allo stesso modo è considerabile anche la confusionaria questione della forward compatibility con la vecchia Xbox One, risoltasi poi in un quasi nulla di fatto e con una sempre più tacita estromissione di quest’ultima dall’ecosistema, con il solo modello One S destinato a mercati secondari utilizzando il Pass e il lettore Bluray UHD per invogliarne l’acquisto. Nemmeno è completamente chiaro perché Microsoft si sia fatta trascinare in una logorante guerra di trincea conclusa solo da un leak invece di puntare immediatamente sulle tre P (Pass, Price, Power), evidenziando le caratteristiche del Pass, il prezzo aggressivo di Series S e la maggiore potenza computazionale di Series X.
Per quanto riguarda Series S, invece, pur come detto esprimendo perplessità sul dogma dello sviluppo eseguito sempre e solo partendo dal basso, è facilmente immaginabile come la sua sola esistenza comporti oneri di ottimizzazione maggiori in contrasto con la politica di abbattimento dei costi che si vorrebbe perseguire anche mediante il sistema del GamePass.

AAS