La next-gen di Microsoft: una chiave di lettura per Xbox
L’annuncio dell’esistenza di Xbox Series S – versione entry level del nuovo catalogo Xbox – e la quasi contemporanea rilevazione che nei trend topic su twitter ci finiva invece Xbox One X, modello premium della scorsa generazione, è servito a ribadire un concetto molto diffuso in alcune community online, concetto secondo cui le scelte effettuate da Microsoft sarebbero confusionarie, contraddittorie e finanche dannose per il medium videoludico.
In realtà, come qualsiasi piano industriale, anche quello della compagnia americana ha una coerenza di fondo che è nata su un’analisi della realtà economica e dello stato di salute del settore; specularmente, è possibile evidenziare alcune criticità che lo contraddistinguono. Senza pretesa di totale esaustività e con un’operazione che consideriamo quasi del tutto interpretativa, abbiamo quindi deciso di addentrarci in una valutazione dell’offerta Xbox per i prossimi anni, partendo da una panoramica riguardo le condizioni che, con ogni probabilità, hanno costituito le basi teoriche su cui edificare l’intero castello.

CONSIDERAZIONI PRELIMINARI: LE RAGIONI DI UN REVIREMENT CONCETTUALE.

A peggiorare la situazione interviene un ulteriore elemento: per comprenderlo, dobbiamo considerare il fattore esterno in cui agisce l’impresa e cioè il modello di mercato a cui è accostabile quello videoludico.


Le conseguenze nel breve termine sono visibili a tutti, e comportano un affidamento a modelli creativi sdoganati/riciclati per intercettare il più alto numero di fruitori possibili nella base installata e la fidelizzazione dell’utenza, un dramma in termini creativi; lo spezzettamento del prodotto finale, con DLC e cut content per far “rientrare dalla finestra ciò che era uscito dalla porta”, non potendo effettuare degli aumenti rilevanti di prezzo; inondazione di edizioni speciali anche intermedie per lucrare sul collezionismo; una forte corsa al ribasso con sconti e deprezzamenti, attuando delle politiche di scostamento basate sull’elasticità della domanda, per intercettare una cifra di acquirenti che non avrebbero comprato il titolo a un prezzo più alto.
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Se il tripla A costasse – come accadeva qualche tempo fa – venti milioni di euro e si avesse un potenziale mercato di duecento milioni di console, si potrebbe aspettare che i consumatori appassionati acquistino il gioco a settanta euro, con il prezzo che rimarrebbe comunque bloccato a quel massimale per via delle dinamiche “price taker” della concorrenza perfetta: prima si andrebbe in break-even, poi in profitto.
A quel punto scontare – che serve a intercettare una domanda diversa, composta da quelli che il bene lo acquisterebbero ma a un prezzo più basso – non sarebbe utile, perché l’elasticità della domanda è tale da non rendere razionale la diminuzione del prezzo per aumentare la quantità di venduto. -
Se il tripla A costasse – come accade oggi – duecento milioni di euro mentre il mercato fosse rimasto di duecento milioni di potenziali acquirenti risulterebbe quindi necessario essere aggressivi anche con i prezzi per convincere i consumatori che NON avrebbero acquistato il bene a settanta euro a comprarlo comunque, per andare in break even e in profitto, più altre strategie di contorno già elencate in precedenza.

ABBATTERE LA BARRIERA DI INGRESSO.


Il modello Netflix può essere l’esempio classico per fornire la dimensione dell’obiettivo Microsoft: centottanta milioni di abbonati per un fatturato di venti miliardi di dollari, grosso modo allineato alle revenue dell’intera divisione gaming di Sony.
I costi deriverebbero non solo dal software esclusivo che dovrebbe trainare il GamePass – pensiamo ad Halo, Forza, Fable, Avowed, Hellblade e gli altri titoli First Party Microsoft – ma anche dall’acquisizione a catalogo dei titoli terze parti. A tal proposito, il meccanismo con cui le SH concederebbero l’inserimento temporaneo dei loro giochi sul servizio Microsoft non sarebbe dissimile dalla proposizione di film e serie TV non originali Netflix o Prime Video su questi cataloghi; parliamo quindi di prodotti che hanno esaurito la loro spirale positiva di profitto “in sala” e che oltre a presentarsi spontaneamente in sconto vengono capitalizzati all’interno di un catalogo, arricchendone la lineup e la commerciabilità agli occhi dei potenziali abbonati.
Anche l’idea di Xbox All Access segue la politica del “giocare tutti, giocare a meno”: la console, in alcuni Paesi, viene rateizzata assieme al GamePass per un numero definito di mesi, in un’ottica di fidelizzazione dell’utenza invece dell’esborso una tantum.
XBOX SERIES S: UNA ZAVORRA PER LA NUOVA GENERAZIONE?

Per quanto sembri improbabile che la risoluzione sia il solo aspetto di diversità tra le versioni Series S e Series X dello stesso software, la statuizione di Microsoft potrebbe non essere lontana dalla realtà. L’esistenza in ambito videoludico della resolution war – alla stregua della loudness war dell’industria musicale, che ha prodotto volumi sempre più alti a discapito della dinamica del suono – ha indirizzato gli sviluppatori a realizzare come primo obiettivo quello di portare il gioco a un determinato “standard” di definizione, utilizzando a tale scopo la potenza computazionale della macchina costruendo solo poi il resto attorno: l’idea che il videogioco X possa essere un foglio bianco di grandezza A2 se venisse realizzato solo per l’hardware high-end, mentre l’hardware entry level lo costringerebbe a diventare un A4 ma abbellito è, oggi, discutibile.

Il passaggio dalla generazione PS3/Xbox 360 – dove si utilizzavano risoluzioni circa uguali al 720p per giochi con un determinato standard tecnologico – alla generazione PS4/Xbox One, ha richiesto una capacità computazionale grosso modo nove volte superiore per portare in 1080p giochi tecnologicamente migliorati da ogni punto di vista (illuminazione, modelli, animazioni, draw distance, qualità delle textures ecc); tutto questo va tenuto in conto per comprendere quanto il raggiungimento dello standard di risoluzione pesi dal punto di vista dell’utilizzo delle risorse computazionali e nel determinare la fattibilità di una scalabilità verso il basso, che passa anche e soprattutto dalla struttura dei devkit.
Molto probabilmente, il nuovo standard del 4K, che addirittura comporta un raddoppio orizzontale e verticale dei pixel da muovere a schermo, richiede delle risorse impressionanti, soprattutto se combinate alla necessità di progredire sugli aspetti prima citati – illuminazione, modelli, animazioni, draw distance, qualità delle textures – che impattano ogni cambio generazionale.
Pertanto, già tagliare la risoluzione significa liberarsi di un peso notevole e rendere quel gioco appetibile a un hardware nominalmente inferiore; poi seguiranno sicuramente altri ritocchi (in quel processo che viene definito ottimizzazione) ed ecco che il gioco potrebbe risultare perfettamente fruibile sulla piccola Series S, pur essendo concettualmente “nato” su macchine più prestanti e non limitando queste ultime.
Ovviamente Xbox Series S non solo risulta possedere la medesima architettura di Series X, il che renderebbe più facile la scalabilità, ma è sotto ogni punto di vista (RAM, GPU RDNA2, SSD, CPU) una console totalmente next-gen rispetto anche alla precedente mid-gen One X.
Anche in termini di mero utilitarismo, risulta poi labile il confine per cui un’operazione di sottrazione risulti di base più onerosa rispetto a una addizione al software destinato alla macchina più prestante in termini di risoluzione ed effettistica.

A parziale conferma di questa contro-ipotesi è presentabile l’esistenza della softeca Switch (The Witcher 3, The Outer Worlds, Doom, Doom Eternal, Wolfenstein II e via dicendo), softeca che non ha in alcun modo costretto le più potenti console home a ridimensionare le loro aspettative ma che, al contrario, dimostra la possibilità di uno sviluppo up to bottom, dall’alto verso il basso.
LUCI E OMBRE

Soffermandoci ulteriormente sul GamePass, è possibile individuare due criticità: la prima riguarda il rapporto con gli indie developers “di nicchia”, adesso entusiasti e rappresentati, che potrebbe deteriorarsi a loro sfavore nel prossimo futuro. Siamo sicuramente nell’ambito della speculazione, ma se la dinamica del servizio dovesse diventare predominante chi ne detiene il controllo agirebbe di fatto come monopolista rispetto al piccolo studio, con l’aggravante di aver diseducato il consumatore medio all’acquisto singolo, non più ritenuto ragionevole perché equivalente magari a un mese di sottoscrizione di un abbonamento ben più vasto.
La seconda criticità riguarda sempre un profilo di eventuale diseducazione del fruitore: mentre è inopinabile che il GamePass possa dirigere un videogiocatore a provare titoli che altrimenti non avrebbe acquistato in singolo, in molti casi potrebbe sovvertire i meccanismi comportamentali per cui ci si fa “trainare” dall’offerta presente sul catalogo e non ci si orienta del tutto consapevolmente. Insomma, basti pensare a quanto oggi sia utilizzato dai singoli il leit-motiv “vediamo che fa su Netflix” o “vediamo che mi consiglia Spotify” rispetto a un indirizzo orientato sulla singola opera a cui si rivolge autonomo interesse.