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Memento: la depressione non è debolezza

Nonostante la (timida) sensibilizzazione degli ultimi anni e l’incremento di persone che ne soffrono, parlare di disturbi mentali risulta ancora un tabù. Inoltre, con il rischio di urtare la sensibilità di chi ne soffre, farlo risulta ancora più difficile. Fortunatamente, ci sono alcuni artisti che hanno il coraggio di affrontare di petto queste tematiche, raccontando storie che aiutano a sconfiggere lo stigma che le circonda. In questo modo, assolvono a due operazioni indispensabili: sensibilizzano il grande pubblico sui disturbi mentali e fanno sentire meno soli coloro che ne soffrono. Ne è un esempio Memento, fumetto di Arianna Calabretta edito da Jundo che ci ricorda che la depressione non è debolezza.

Depressione? Nah, sei solo troppo debole

A chi non è capitato di sentirsi un po’ giù o di avere delle giornate no? O di sentirsi incredibilmente tristi per un evento emotivamente difficile da affrontare, come il lutto. Ma, nella maggior parte dei casi, dopo un certo periodo si ritorna in carreggiata e si riacquista, gradualmente, la facoltà di trarre nuovamente piacere dalle cose belle della vita. Si tende, quindi, ad additare i depressi come persone deboli, che non sanno come rimboccarsi le maniche e riprendere la propria vita in mano. Ma la depressione non è sinonimo di debolezza. Si cade in questo tranello perché c’è ancora molta confusione nel distinguere quelli che sono momenti di tristezza fisiologica, dovuti ad eventi particolarmente dolorosi o stressanti, e i disturbi depressivi.

I disturbi depressivi, citando il Manuale MSD, sono caratterizzati da un tristezza tanto grave, o persistente, da interferire con il funzionamento e, frequentemente, da diminuzione d’interesse o di piacere nelle attività quotidiane. Spesso, inoltre, con il termine depressione si fa riferimento ad uno specifico disturbo: la depressione maggiore. Essa è caratterizzata da un umore profondamente depresso, tanto da non consentire nemmeno il pianto o di sperimentare in modo normale le comuni emozioni, percependo il mondo come acromatico e meno vivo. Tra i sintomi, rientra un umore depresso per la maggior parte del giorno, perdita di peso, insonnia o ipersonnia, debolezza, autosvalutazione, sensi di colpa ingiustificati e pensieri ricorrenti di morte o suicidio. Senza considerare che si possono verificare anche episodi psicotici, caratterizzati da deliri o allucinazioni. Tutto questo per periodi che vanno ben oltre una o due settimane, tanto da poter diventare anche una situazione persistente.

Gli orologi sono una costante nei castelli mentali di Emma. La paura che sia troppo tardi per diventare una ballerina è tra le più ricorrenti.
Gli orologi sono una costante nei castelli mentali di Emma. La paura che sia troppo tardi per diventare ciò che vuole essere è tra le più ricorrenti.

Quindi, risulta evidente come la tristezza fisiologica o un umore “nero” siano molto diversi dal soffrire di un disturbo depressivo, che può diventare una patologia completamente invalidante e portare anche alla morte. Inoltre, le cause precise che scatenano i disturbi depressivi non sono note ma influiscono sicuramente i fattori psicosociali, una componente ereditaria ed eventi emotivamente stressanti, come i traumi.

Traumi, dolori e solitudine

Ed Emma, la protagonista di Memento, di traumi ne ha subiti. Il primo è l’abuso sessuale subito da bambina. Questo evento ha compromesso per sempre la considerazione che ha di sé e del mondo che la circonda. Una volta cresciuta, infatti, le distorsioni causatele da quell’evento, diventano distruttive e disfunzionali. Inoltre, Emma vive un secondo trauma: il suicidio di sua sorella maggiore Sara, che era il porto sicuro di Emma. L’unica che la capiva e la supportava. L’unica a sapere della sua passione ardente per la danza. L’unica che non la faceva mai sentire sola. Proprio lei, anche lei, l’ha abbandonata.

Questi due eventi cruciali minano la vita di Emma in modo insanabile. Tutto ciò si somma a un contesto famigliare parecchio teso dalla morte della sorella. I genitori – ironicamente due medici – non vedono la spirale depressiva in cui è precipitata anche la loro figlia minore. O meglio, non vogliono vederla. Ed Emma, dal canto suo, ha sempre cercato di compiacerli e di non contrariarli. Anche seguendo le loro imposizioni sulla sua vita. Come quella di studiare medicina e abbandonare la danza. E, benché la ragazza sia una studentessa brillante, i risultati ottenuti la lasciano indifferente.

Anche Emma ha paura delle depressione
Anche Emma ha paura delle depressione

Queste tensioni lacerano Emma, la percuotono dall’interno fino a farle iniziare una lotta con sé stessa. Cade in preda alle allucinazioni, l’ansia la coglie nei momenti più impensabili e i traumi, anche quelli sotterrati nelle profondità del suo cuore, riaffiorano quando meno se l’aspetta. La ragazza si ritrova a lottare con una Emma cattiva e rancorosa. Questa versione di sé la spinge all’autolesionismo, la ingiuria e la minaccia di portarla alla morte, in modo da far soffrire i genitori oltre che sé stessa. Quello in cui cade la ragazza è un baratro dalle pareti scivolose. Emma si aggrappa ad ogni pezzetto di sé per rifuggire la sua controparte schizofrenica e non scivolare verso il punto di non ritorno. Saranno due gli appigli più resistenti in assoluto che aiuteranno la sua frenata: la danza e il ricordo si sua sorella Sara.

Quella che Calabretta descrive è la discesa lenta e inesorabile della protagonista negli abissi della depressione. Tocca molte delle difficoltà in cui una persona depressa si imbatte, come lo stigma della società e della famiglia e quanto quest’ultima sia importante per prevenire l’aggravarsi del disturbo depressivo. Inoltre, mette in luce la solitudine che pervade le persone che soffrono di depressione e quanto sia difficile guarire senza l’aiuto di specialisti e cure ad hoc.

Ma, soprattutto, l’autrice mostra chiaramente che la depressione non è sinonimo di debolezza. Lottare costantemente contro sé stessi cercando di non annegare nella propria disperazione patologica, spesso in completa solitudine, richiede un’incredibile forza, a prescindere dal finale.

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