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Raccontare le neurodivergenze: Jun e Atypical

Non è un termine che siamo così abituati a sentire, neurodivergenze. È molto più comune usare la parola disturbo, per riferirci ad esempio all’autismo o al cosiddetto ADHD (Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder). Insomma, lo dice la sigla stessa che si tratta di un disturbo, no?

Il termine neurodiversity è stato coniato nel 1999 da Judy Singer, sociologa australiana con tratti autistici, con lo scopo di offrire una contro-narrativa al modello medico e alla rappresentazione sociale delle persone autistiche. Si tratta, in effetti, di un termine relativamente giovane, e solo nell’ultimo paio d’anni è stato introdotto in Italia, principalmente grazie ad attivisti della salute mentale e tramite i social media.

Secondo la definizione di Singer, per neurodiversità s’intende:

un paradigma bio-politico interessato alla promozione dei diritti e alla prevenzione di discriminazione nei confronti di persone neurologicamente diverse dalla popolazione neurotipica (o non autistica)

Judy Singer in Disability Discourse (1999)

Secondo questa visione, quelli comunemente noti come disturbi del neurosviluppo rappresenterebbero piuttosto una normale variazione neurologica, e non una condizione da curare.

Judy Singer, sociologa autistica

Non siamo qui oggi per decidere chi – tra medici, sociologi e attivisti – abbia o meno ragione, o a dibattere se l’autismo sia o meno un disturbo. Quello che ci preme sottolineare è il potere delle parole, e la loro valenza politica. Ovvero, quanto la discussione su una parola abbia aumentato la consapevolezza, la ricerca e la rappresentazione di una condizione che è stata troppo a lungo stereotipata1. Stereotipi che, come vedremo tra poco, sono stati portati avanti anche dalla letteratura e dal cinema.

La rappresentazione autistica nei media

Proviamo a pensare ai classici, diciamo dall’antichità fino a circa metà del Novecento. Ci viene in mente un libro che contenga anche solo un accenno al termine autismo? Piuttosto improbabile. Questo perché la primissima menzione del termine risale al 1943, in un articolo intitolato Autistic Disturbances of Affective Contact dello psichiatra infantile Leo Kanner, pubblicato sulla rivista americana Nervous Child. Solo da quel momento l’autismo ha iniziato ad essere studiato e riconosciuto, e di lì in avanti ad essere rappresentato nei media.

Eppure, tornando con la mente ai classici inglesi di fine ‘800, risulta curioso notare la presenza di personaggi letterari dai chiari tratti autistici, quali il detective più famoso d’Inghilterra: Sherlock Holmes, creato dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle che lo descrive come un uomo dall’incredibile memoria, un sociopatico incapace di provare empatia, con una sorprendente capacità deduttiva e interessi estremamente specifici. Incredibile come Doyle abbia creato un personaggio del genere, inconsapevole di aver descritto alcuni dei segni più comuni di una condizione genetica scoperta decenni più tardi.

Sherlock Holmes: uno dei primi personaggi letterari autistici?

La rappresentazione autistica nei media è sempre più vasta e tenta di essere sempre più giusta nella sua rappresentazione2. Come accade con qualsiasi altro topic che possiamo raggruppare sotto alla definizione “salute mentale”, anche la rappresentazione autistica è stata a lungo intrisa di stereotipi che hanno alimentato la paura e sentimenti di compassione verso le persone neurodivergenti e ci hanno fatto pensare che l’autismo fosse di un solo tipo; che tutte le persone autistiche si comportassero allo stesso modo.

Qualche esempio? Gli stereotipi più classici vedono le persone neurodivergenti come individui che: stanno sempre da soli e parlano male, amano i cubi di Rubik e potrebbero avere una crisi isterica da un momento all’altro, non possono vivere da soli né tantomeno lavorare. Insomma, vengono quasi sempre rappresentati quei sintomi “estremi”, che aiutano ad abbinare un’etichetta a una persona, ma non a comprenderla davvero. Perché non è vero che “una persona autistica la riconosci subito”. Esistono caratteristiche più o meno evidenti, che influiscono più o meno sulla vita di una persona e sul suo relazionarsi con gli altri.
Ma no, una condizione genetica che accomuna più persone non basta a renderle uguali3.

Jun: un fumetto di amore e talento

Tra le più recenti opere fumettistiche che trattano storie di autismo, spicca Jun di Keum Suk Gendry-Kim, pubblicato in Italia da Bao Publishing nel 2021. L’autrice è conosciuta e apprezzata per trattare tematiche invisibili ma di grande importanza sociale, come aveva fatto nella sua precedente opera Le malerbe (2019): un fumetto che racconta il dramma delle comfort-women, donne coreane che durante la guerra negli anni Quaranta venivano vendute, rapite, costrette a lavorare come prostitute e violentate dai soldati giapponesi.

Jun è la vera storia di un bambino, poi ragazzo, e più tardi talentuoso musicista, nato autistico in Corea del Sud nel 1990. La storia è raccontata dal punto di vista di Yunseon, sorella minore di Jun, e percorre la storia famigliare dall’infanzia dei due bambini sino all’età di giovani adulti.

Jun: la vera storia di un ragazzo autistico e talentuoso musicista

La diagnosi di Jun non ha tardato molto ad arrivare: sin dai primi mesi di vita mostrava i segni di essere un bambino diverso, a trenta mesi ancora non parlava, mostrava diffidenza verso gli altri e non tollerava il contatto fisico: autismo di secondo livello, secondo i medici. A ogni pagina impariamo a conoscere meglio Jun e la sua famiglia, ed è sempre più palpabile l’immenso amore che i suoi genitori provano per lui, così come la paura di far crescere il figlio in un contesto sociale che non lo comprende. Tutti sembrano avere paura di Jun: le maestre a scuola, che temono la presenza del bambino interferisca con la possibilità di apprendimento della classe, e poi i compagni delle superiori, che si prendono gioco di lui approfittandosi della sua apparente ingenuità. E la Seul di fine secolo ha ancora molto da imparare da Jun.

La svolta, nella vita di Jun, arriva grazie alla musica, ed è grazie alla musica che noi possiamo leggere questa storia. Keum-Suk Gendry Kim, infatti, ha conosciuto Jun durante un corso di pansori (genere di narrazione musicale coreana) e lì ha deciso di raccontare la sua storia. Quando si esibisce, Jun diventa davvero sé stesso e il suo talento lascia tutti ad occhi sbarrati. Nessuno pensa di star ascoltando un ragazzo autistico, ma solo un musicista dall’incredibile talento.

Grazie al pansori Jun ha trovato sé stesso.

Atypical: la normalità è sopravvalutata

Spostandoci verso un altro medium, ovvero il cinema, non possiamo non associare la parola autismo ad Atypical, serie Netflix del 2017. Il protagonista di questa dramedy è Sam, diciottenne con la sindrome di Asperger e appassionato di pinguini, che vive coi genitori e la sorella Casey.

Il messaggio che vuole lanciare la serie è chiaro: la normalità è sopravvalutata. Every family is atypical, the journey to success is atypical, normal is overrated sono alcune delle frasi presenti sulle locandine della serie.

La normalità è sopravvalutata, lo dice la locandina

Non è quindi solo Sam ad essere atypical, ma il mondo intero: dalla sua famiglia ai suoi amici, così come la terapista e la fidanzata di Sam, nessuno rientra nel concetto socialmente accettato di normalità. Ognuno di loro ha qualche strana passione o una personalità bizzarra, tutti compiono degli sbagli e nessuno, alla fine, risulta perfetto. Ed è questa la realtà: non significa che siamo “tutti un po’ autistici”, ma sicuramente siamo tutti un po’ atipici, in qualche modo.

E infatti Sam è sì, il protagonista di cui seguiamo la quotidianità e le piccole grandi sfide da affrontare ogni giorno, ma non è solo su di lui – e soprattutto non è solo sulla sua condizione – che la serie si sofferma. Oltre alla tematica dell’autismo, l’opera porta avanti molti temi sociali e universali, quali la scoperta di sé e del proprio orientamento sessuale, la crescita personale e le relazioni interpersonali, oltre a molti riferimenti legati alla salute mentale.

Un trio piuttosto atipico

Stereotipi? No, grazie. La combinazione degli elementi di cui abbiamo appena parlato, riesce a rendere Atypical una serie che parla di autismo scardinando gli stereotipi generalmente associati a questa condizione e cercando di fare un po’ di chiarezza.

Sono strano. È quello che dicono tutti. A volte non capisco di cosa parlano le persone e questo mi fa sentire solo anche se c’è altra gente intorno a me.

Sam, in Atypical

Sono le prime parole pronunciate da Sam, che sin da subito mette in chiaro ciò che la società pensa sia l’autismo: una stranezza, un disturbo da curare, qualcosa di sconosciuto e quindi spaventoso. Esattamente ciò che la società coreana pensava di Jun.

Iniziamo così a vedere il mondo attraverso gli occhi di Sam, rendendoci sempre più conto di come la vita, i pensieri, i desideri di un ragazzo autistico non siano poi così diversi da quelli di una persona neurotipica. Quanto contano davvero una diversa sensibilità e qualche passione bizzarra di fronte al comune desiderio di dare e ricevere amore? Alla fine della terza stagione, possiamo esserne certi: molto poco.

Una condizione, più che un disturbo

È vero, all’inizio di questo articolo abbiamo affermato che non ci saremmo erti a giudici, decidendo quale sia la terminologia corretta per definire l’autismo. Tuttavia, dopo aver analizzato le due opere – Jun e Atypical – una cosa ci è parsa certa: la rappresentazione è importante, così come la discussione su determinati temi al fine di scardinare degli stereotipi radicati che possono risultare dannosi (come abbiano già sostenuto in altri luoghi), sia per chi certe condizioni le vive, sia per chi vorrebbe capirle meglio. E nel caso specifico dell’autismo, crediamo che il primo passo – che è già stato fatto dalle opere sopra citate – sia proprio quello di iniziare a considerarlo una condizione, più che una malattia da curare.

Ce l’hanno insegnato Jun e Sam, che diverso non significa sbagliato, e che nessuno di noi, in fin dei conti, può definirsi normale. Forse dovremmo ascoltarli. In generale, dovremmo ascoltare di più chi certe condizioni le vive in prima persona e comprendere, prima di giudicare.

LDC


NOTE:

1 Autismo e Tik Tok: possiamo imparare anche dai social, se prima impariamo ad ascoltare.

2 Nel caso foste interessati ad approfondire il tema delle neurodivergenze tramite libri, film o fumetti, qui trovate una lista piuttosto esaustiva di titoli con personaggi autistici.

3 Per un approfondimento inclusivo sullo spettro autistico.