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Eternal Darkness non è un gioco lovecraftiano

27 febbraio 2023

Eternal Darkness: Sanity’s Requiem (Silicon Knights, Nintendo, 2002) è un titolo che, come le maledizioni più persistenti e potenti, si manifesta puntuale allo scoccare della mezzanotte fra i discorsi degli appassionati dei videogiochi survival horror. Oppure, immancabilmente, quando si rivangano le memorie della “softeca” del GameCube. Il titolo, caratterizzato da uno sviluppo travagliato che puntava inizialmente a una pubblicazione su Nintendo 64, è ancora conservato calorosamente nella memoria di molti di coloro  che hanno avuto il modo e il piacere di affrontarlo. Sia allora, come magari chi in questo momento sta dedicando la propria cortese attenzione a questo articolo, che molto dopo (come chi scrive, su un Nintendo Wii retrocompatibile).

Se avete giocato a Eternal Darkness, probabilmente guardando questa immagine siete già un po’ in preda ai ricordi.

A scanso di equivoci, è doveroso cominciare con una precisazione: questo articolo non si pone l’obiettivo di demolire o sminuire in nessun modo l’opera sviluppata dai Silicon Knights attraverso mille peripezie tecniche, dovute sicuramente anche al cambio di piattaforma in corsa. E se in questo momento stanno riaffiorando in voi dei ricordi positivi della vostra fruizione, vi possiamo garantire che in questa sede sono in ottima compagnia.

Il punto del pezzo è invece un altro. Anzi, duplice. Il primo obiettivo è quello di ridimensionare il termine “lovecraftiano”, spesso attribuito a diversi videogiochi un po’, è il caso di dirlo, a casaccio. Eternal Darkness, probabilmente, è l’esempio perfetto di questa confusione, che ha tra l’altro delle origini e coordinate letterarie ben precise che andremo ad affrontare. Qual è, quindi, la poetica dello scrittore americano Howard Phillips Lovecraft (1890-1937) e a quale, invece, è più ricollegabile quella che si delinea in Eternal Darkness? Questo è, infatti, il nostro secondo obiettivo in questa sede.

Cercheremo di affrontare il discorso in maniera ordinata richiamando in causa il gioco abbastanza spesso onde evitare di perdere il filo, citando anche qualche estratto dalle numerosissime lettere di colui che è stato spesso soprannominato (come vedremo, a torto) “il solitario di Providence” in alcune antologie.

Ma di cosa tratta Eternal Darkness? Ci pare giusto spendere qualche parola riguardo la vicenda, in modo da permettere anche a chi non l’abbia affrontato di seguire il filo del discorso al meglio ma senza per questo anticipare nulla di importante.

Gli spazi ampi di villa Roivas e una buona gestione della telecamera dinamica rendono le stanze suggestive.

Tutto inizia con un omicidio sanguinoso ed efferato, ovvero quello di Edward Roivas. La nipote Alexandra Roivas, unica parente rimasta, viene quindi contattata dalla polizia nel cuore della notte. Alex salta quindi sul primo volo per recarsi alla villa dove abitava suo nonno, un luogo pieno di oggetti curiosi, libri misteriosi e quadri di famiglia che provocano puntualmente inquietudine nella protagonista. Dopo 2 settimane senza risultati da parte della polizia, Alex si rifiuterà di lasciare la villa senza aver prima svelato il mistero dietro la morte del nonno. Sarà proprio questa magione il teatro centrale del titolo, in cui Alex cercherà di fare luce sul passato della sua famiglia mentre scoprirà, piano piano, contro cosa hanno dovuto combattere di generazione in generazione per salvaguardare l’umanità da minacce oscure ai più. Uno dei punti di forza di Eternal Darkness, probabilmente, è come offre al giocatore la possibilità di controllare non solo personaggi differenti distribuiti nei vari capitoli, ma anche di visitare luoghi ed epoche diverse della Storia. Di più non diremo, perché chi ha giocato sa; chi non ha giocato, invece, è giusto che possa scoprire a tempo debito.

Tornando a Lovecraft, prima di proseguire, vediamo di fare un po’ di ordine nella percezione di HPL nell’immaginario dei lettori. Che tipo di persona era veramente?1

Yrs in Tsathoggua’s name, Tomeron the Decayed2

[ATTENZIONE:questo articolo contiene diverse citazioni in lingua originale inglese non tradotte, in quanto riteniamo che una traduzione non ufficiale imposta da chi scrive potrebbe essere intesa come di parte o faziosa alla luce dello scopo che si pone questo articolo. Si è preferito quindi non manipolare i testi richiamati in questo senso. Buona lettura!]

Quella che avete appena letto è una formula di congedo amichevole di una delle numerosissime lettere scritte da Lovecraft nel corso degli anni in cui mantenne una corrispondenza epistolare attiva (ovvero dal 1912 fino al 1937). Queste missive, scritte fittamente, con molto garbo, affetto e premurosità, erano conservate gelosamente dai suoi amici. Un’abitudine che Lovecraft, una volta scoperta, accolse lusingato con un misto di sorpresa, piacere e, considerando la sua enorme modestia, probabilmente con un sorriso imbarazzato. Come si evince chiaramente dai dati seguenti, Lovecraft non badava a spese pur di mantenere i contatti:

Lovecraft variously gave his daily output of letters at anywhere between 5 and 15; if we assume a middle ground of 8 or 10, we reach some 3500 letters a year; over a twenty-five year period (1912 – 1937) we already reach 87,500 at what is probably a conservative estimate. Of these, it is my belief that no more of 10,000 now survive.

Joshi, T. S., Primal Sources: Essays on H. P. Lovecraft, Hippocampus Press, New York, 2003, p. 30

Queste foto ritraggono HPL in compagnia di vari amici tra cui Rheinhart Kleiner, William J. Dowell, George Julian Houtain, Charles W. Heins e altri. È anche presente la moglie Sonia Greene (scattata probabilmente il giorno del matrimonio) e una sua foto da bambino.

Insomma, dati alla mano è evidente come il cosiddetto “solitario” sostenesse invece una fittissima e ricca corrispondenza, non solo per motivi lavorativi, ma anche squisitamente affettivi. Forse non molti sanno che lo scrittore Robert Bloch (noto soprattutto per il romanzo Psycho, 1959) fu un suo grande amico di penna e, de facto, un suo “allievo” in quanto ricevette da lui, per usare le parole dello stesso autore, “invaluable assistance and advice from the elder writer [Lovecraft] in the craft of weird fiction3, con tanto di revisioni minuziose e mai dietro compenso.

Per quanto Lovecraft non si fosse mai considerato neppure lontanamente un autore di talento, era sempre pronto a prestare la propria passione per aiutare gli amici. Robert Bloch, che seppe della sua morte solo molto dopo, scrisse che se avesse saputo del suo ricovero si sarebbe trascinato fino a Providence sulle ginocchia, tanto era affezionato a lui. Fu la distanza geografica tra i due, divenuta enorme dopo il trasferimento di Bloch in California, a non farli incontrare mai di persona.

La socialità di Lovecraft non si limitava tuttavia alla sola parola scritta, e in seguito alla morte della madre iperprotettiva, Sarah Susan Phillips, HPL moltiplicò i suoi viaggi (partecipando anche a conferenze) fino all’anno del suo ricovero e dipartita improvvisi il 15 marzo del 1937. Adorava fare lunghe passeggiate nella sua amata Providence, non disdegnava assolutamente la compagnia di affetti e amici e non mancava mai di coccolare e giocare con qualsiasi gatto incrociasse. Tra gli ultimi viaggi probabilmente troviamo quelli che lo portarono a DeLand, in Florida, per mesi interi in compagnia dell’amico Robert Hayward Horlow, con cui scrisse il suo ultimo racconto The Night Ocean (1936).

L’avreste mai detto che l’autore del romanzo “Psycho” aveva preso lezioni da Lovecraft? Ora lo sapete! Nell’immagine, un assorto Anthony Perkins nei panni di Norman Bates, nel film iconico di Alfred Hitchcock (1960).

Ci sarebbe molto altro da dire e citare al riguardo, ma devieremmo troppo dall’intento di questo articolo. Concludiamo quindi questa parentesi di rivalutazione, nonché di scoperta, del carattere di HPL (o Grandpa Theobald, uno dei suoi tanti nomignoli scherzosi che si affibbiava) con un paio di citazioni. La prima dal maggiore studioso di HPL, ovvero Sunand Tryambak Joshi, riguardo le sue lettere:

[…] their extraordinary candor; their abundance of wit, humor, satire and persiflage; and their exhaustive and penetrating discussions of a wide range of topics […] and social trends of the nation and the world. His letters are, in this regard, far more interesting and perspicacious than many of his essays on the same subjects.

Joshi, T. S. & Shultz, D. E., An H. P. Lovecraft Encyclopedia, Hippocampus Press, New York, 2004, p. 154

E infine, scacciamo definitivamente l’immagine di una figura reclusa, grigia e insofferente con questo estratto meraviglioso riguardo il suo, seppur breve, matrimonio con Sonia Greene:

Theobald è finalmente un capo famiglia e (tieni i sali a portata di mano) un fedele compagno della più ispirata, congeniale, intelligente, educata, premurosa e devota fra i mortali e i collaboratori, S.H.G., alla quale si è unito nella venerabile e veramente classica istituzione del Santo Matrimonio!

(PAUSA PER RIPRESA DEI SENSI)

Sì, figlia mia, infine il vecchio signore ti ha dato una nuova mamma!

Lovecraft, H. P., Lettere dall’Altrove: Epistolario 1915-1937, A cura di G. Lippi, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1993, p. 86

Definire il “lovecraftiano”

Ora che abbiamo dato una piccola panoramica più intima di Lovecraft, è giunto il momento di parlare della sua vena creativa per quanto riguarda il gotico e il cosiddettocosmic horror. Il punto fondamentale e che distanzia la poetica di HPL dalla messa in scena di Eternal Darkness è molto semplice. Nel videogioco, infatti, le entità soprannaturali antiche quanto l’universo e che dovrebbero restare sullo sfondo, come minaccia invisibile ma palpabile nonché totalmente disinteressate e indifferenti alla specie umana, si trovano invece in veste di protagonisti della vicenda a tutti gli effetti. Non solo, ma all’inizio della storia arrivano a rivolgersi direttamente a un umano “prescelto” in quella che si può interpretare quasi come una richiesta di aiuto, collocandoli quindi in un uno schema quasi manicheo che si completa una volta aggiunto anche il ruolo dei Roivas, riconducibile quasi a “il bene contro il male”4.

Pious Augustus viene richiamato direttamente dalle entità cosmiche in modo da poterle liberare. Non leggerete mai nulla di simile in un racconto di HPL.

La primissima entità scelta dal giocatore nei panni del centurione Pious Augustus a inizio gioco va a definire, infatti, l’entità malvagia di turno, desiderosa di raggiungere nuovamente la nostra dimensione per trascinarla nel caos. E per combattere questa minaccia in maniera efficace, il giocatore si troverà spesso a sfruttare i poteri ricollegabili all’entità che si trova in una posizione di forza rispetto a quella animata da cattive intenzioni (ci torneremo tra poco). Inutile dire, comunque, come qualsiasi forma di contatto diretto volontario (e quindi figuriamoci patti e dialoghi ulteriori) di questo genere sia un tabù assoluto nella poetica lovecraftiana. Lovecraft stesso si esprime così in una lettera datata 5 luglio 1927, indirizzata al curatore della rivista Weird Tales,  in cui accetta di inviare di nuovo il suo racconto The Call of Cthulhu:

To me there is nothing but puerility in a tale in which the human form-and the local human passions and conditions and standards-are depicted as native to other worlds [sic] or other universes. To achieve the essence of real externality, […] one must forget that such things as organic life, good and evil, love and hate, and all such local attributes of a negligible and temporary race called mankind, have any existence at all.

Lovecraft, H. P., Selected Letters: 1925-1929, A cura di Derleth A. & Wandrei D., Arkham House, Wisconsin, 1968, p. 150

La rivista Weird Tales, avviata nel 1922, fu il trampolino di diversi scrittori del genere fantastico e non solo. Su queste copertine campeggiano i nomi di Lovecraft, August Derleth e Robert Bloch.

Eternal Darkness, inoltre, inquadra questi esseri cosmici presenti in gioco sotto certi equilibri di forza e debolezza reciproci. Questa dinamica è innegabilmente legata alle mire squisitamente videoludiche dell’opera e non rappresenta di per sé, chiaramente, un difetto del titolo. Tuttavia, al tempo stesso, non si può negare come questo approccio li renda attori in primo piano di un sistema rigido che potrebbe richiamare quasi la morra cinese. Questo li pone sotto una lente ben diversa rispetto alla poetica lovecraftiana, in cui le entità cosmiche non hanno nulla  da spartire con qualsivoglia preconcetto antropocentrico, tanto meno al punto da finire incastrate in uno schema pronto per essere impiegato quasi in un gioco da tavolo (torneremo anche su questo). E infatti, “Lovecraft’s ability to depict the insignificance of the entire population of a planet ushers us into the presence of the cosmic horror” e, grazie a questo escamotage, “he could most powerfully convey the atheistic message that we are in fact insignificant atoms lost in the vortices of a boundless cosmos5. La fonte dell’orrore quindi è l’alterità più pura e abissale, senza compromessi.

Una poetica, questa, ben lontana dai potenti incantesimi magici lanciati dai vari personaggi (nonché grazie alle rune delle entità cosmiche stesse) per sconfiggere i servitori del “cattivo” in Eternal Darkness. E, al tempo stesso, molto più vicina a giochi come Call of Cthulhu: Dark Corners of the Earth (Headfirst Productions, 2005-2006), in cui i concetti di minaccia incombente e di impotenza del giocatore sono resi in modo efficace e, proprio per questo, il tutto si pone più vicino alla filosofia originale di Lovecraft.

Che poi, pensandoci, Call of Cthulhu: DCotE è proprio diverso anche nel tono in generale. Per quanto Eternal Darkness abbia alcune scene che si potrebbero definire truculente, non arriva mai a certi livelli di cupezza. Complice, forse, uno stile grafico e una fotografia dai colori accesi.

Se poco fa abbiamo parlato della morra cinese, ecco che le dinamiche ludiche vengono anche richiamate in questo passaggio dallo stesso studioso S. T. Joshi. Qui fa la prima apparizione anche il nome di August Derleth, uno scrittore ed editore che, anticipiamo, rappresenta probabilmente la vera poetica di Eternal Darkness:

[…] neither Lovecraft nor Smith6 nor Howard7 actually wrote about the various elements [le entità] they borrowed from each other; they employed them merely as “background-material”. It was only Derleth who wrote about these elements, making them the focal point of the story and having no broader aesthetic or philosophical purpose than to expound the Mythos and set up a scenario whereby the Mythos “gods” and other entities go through a series of plausible or implausible actions whose significance do not extend beyond the surface events.

In this sense, the great majority of subsequent writers of the Mythos have unwittingly followed Derleth rather than Lovecraft […] using the Mythos elements as if they were mechanical pieces on a board game.

Joshi, T. S., The Rise and Fall of the Cthulhu Mythos (…), pp. 21-22, sottolineature del redattore

Gli alti e bassi di August Derleth

August Derleth (1909-1971) è una figura a dir poco ambivalente per quanto riguarda la figura e le opere di Howard Phillips Lovecraft. È a Derleth e a Donald Albert Wandrei (1908-1987, anch’egli scrittore, poeta ed editore) che si deve, di fatto, la diffusione postuma in forma di antologie dedicate delle opere e delle lettere dell’autore di Providence tramite la casa editrice creata da loro stessi per l’occasione, ovvero la Arkham House (Wisconsin, 1939). La fondazione di questa realtà fu una scelta dettata dalle circostanze, in quanto gli editori già esistenti dimostrarono di non essere assolutamente interessati al progetto.

I racconti di HPL, infatti, erano fino a quel momento disponibili nelle riviste cosiddette pulp, vendute a basso prezzo e a tiratura economica. Impossibile non chiamare in causa la già citata Weird Tales, in quanto fu l’allora curatore della rivista Farnsworth Wright a inviare a Derleth l’indirizzo di HPL dietro richiesta. E August non si fece pregare, scrivendo a Lovecraft la sua prima lettera nell’estate del 1926. Da allora si avviò un’amicizia scandita da scambi epistolari8 in cui Lovecraft non mancava anche di confidare all’amico i suoi sentimenti nei momenti difficili dovuti ai rifiuti di pubblicazione sulle riviste, fonte di tensioni e di stress. Il 4 marzo 1932, HPL gli scrive che “There are times when the experience of repeated rejections would mean little to me, but other times when the symbolism of the process grated harshly -and now is one of those times.9

August Derleth, seduto alla sua scrivania tutta particolare.

È interessante a questo punto notare e sottolineare le profondissime differenze che contraddistinguono questi due autori. Innanzitutto, Lovecraft non credeva assolutamente in qualsiasi forma di occulto o fenomeno paranormale, oltre a essere un ateo inamovibile. August Derleth, al contrario, era di fede cattolica, appassionato dell’occulto e sosteneva spesso la plausibilità di qualsivoglia fenomeno paranormale. Non è quindi un’esagerazione definirli agli antipodi, ma ciò non impediva a Derleth di provare comunque una grande ammirazione per Lovecraft (che aveva 19 anni in più sulle spalle), né di scalfire la loro amicizia e contatti.

HPL, a questo riguardo, indirizzò una lettera proprio a Derleth il 10 dicembre 1931, in cui procede a sezionare la questione del paranormale in maniera certosina ed efficace in due punti cardine: (1) l’impossibilità materiale del verificarsi dei fenomeni paranormali e (2) i motivi per cui alcune persone possano sostenere di avervi assistito. Si tratta di un’epistola lunga diverse pagine ed estremamente interessante a più livelli (si accenna anche alla collaborazione tra Lovecraft e Harry Houdini). Trattarla per intero sarebbe purtroppo però controproducente, e ne affidiamo quindi la lettura alla vostra eventuale curiosità. Per dovere di cronaca, riporteremo però l’incipit di questa trattazione:

There are far fewer difficulties in accounting for reported “occult” phenomena than accepting the absurdities involved in belief in human personality apart from the living cellular organism. Thus the question resolves itself into two phases:

I : The utter and abysmal improbability of a non-corporeal human existence.

II : The causes of the perplexing illusions which lead certain persons to believe the extravagant and untenable doctrine of noncorporeal existence.

Lovecraft, H. P., Selected Letters: 1929-1931, A cura di Derleth A. & Wandrei D., Arkham House, Wisconsin, 1971, p. 442

Nella stessa missiva, Lovecraft chiama in causa anche il contatto con la religione in età sensibile come fattore determinante nell’accettazione della plausibilità del paranormale.9

Il gioco mostra più volte il modo in cui le entità sono poste l’una rispetto all’altra in maniera rigida e “ludica”. Questo quadretto è posto nella villa dei Roivas, per esempio.

Tornando alle differenze tra i due autori, esse si ripercuotevano anche nel loro rapporto con la scrittura: Derleth, per usare le parole dello studioso S. T. Joshi, era più spregiudicato e tendeva più alla quantità piuttosto che alla qualità, cercando di pubblicare il più possibile e attraverso canali diversi. Lovecraft, al contrario, era più riflessivo, auto-critico e mite nel carattere. Lo studioso definisce Derleth usando aggettivi quali aggressive, modern, overly self-confident, slipshod (riguardo la sua scrittura “goffa”, poco curata) mentre riserva a HPL il ritratto di un “archaic, gentlemanly, diffident, self-conscioulsy ‘amateur’ writer”.10

Queste divergenze, tuttavia, ebbero delle conseguenze tangibili in seguito alla morte di Lovecraft. Come già discusso, Derleth creò la Arkham House e fece pubblicare i racconti e le lettere rinvenute dell’amico scomparso e, in seguito, iniziò quella che si potrebbe definire un’operazione alquanto discutibile. Da una parte, mise in atto un’interpretazione errata volontaria della visione di Lovecraft per produrre altri racconti e libri al fine di lucrare sopra quegli elementi di orrore cosmico che HPL aveva sviluppato negli anni.

Tutto ciò, di per sé, non sarebbe particolarmente condannabile, in quanto si tratterebbe di una interpretazione personale di un materiale di partenza. Tuttavia, ciò diventa imperdonabile in maniera inoppugnabile nel momento in cui Derleth arrivò ad attribuire certi stravolgimenti a Lovecraft stesso, incapace di controbattere per ovvie ragioni, pur di legittimarli. A questo scopo, Derleth non mancò neppure di inventare confidenze ricevute da Lovecraft per sostenere le proprie tesi, oltre a pubblicare 16 cosiddette posthumous collaborations, apparentemente frutto di uno sforzo condiviso tra i due che, però, non si era veramente verificato. Insomma, nient’altro che una speculazione commerciale ai danni della qualità, della visione e della sensibilità del suo amico scomparso (il cui nome, guarda caso, era sempre messo prima di quello di Derleth quasi a difesa preventiva). Persino il curatore della rivista Weird Tales Wright arrivò ad accusare Derleth di plagio a diversi livelli ai danni di Lovecraft in una lettera di rifiuto per uno dei suoi racconti.11

Pious e un’entità malvagia dimostrano i vantaggi dello smartworking. Battute a parte, inutile dire come questo genere di contatti e alleanze siano tutto fuorché lovecraftiani.

A dimostrazione della malafede di August Derleth, troviamo addirittura una sovrapposizione dell’immaginario dell’orrore cosmico di Lovecraft con le dinamiche legate al cristianesimo, come se egli in vita sua non avesse mai ricevuto chiarimenti al riguardo per iscritto dal diretto interessato. S. T. Joshi manifesta infatti così la sua sorpresa mista a disappunto:

There is no way that anyone could have believed that the Lovecraft Mythos was “basically similar” to the Christian mythos-in other words, that it embodied the battle between “good” and “evil”, with the ultimate triumph of the former”-except by the interposition of the Elder Gods, which were entirely Derleth’s invention and which he introduced as a countervailing force of “good” against the “evil” Old Ones

Joshi, T. S., The Rise and Fall of the Cthulhu Mythos (…), p. 180

Questa citazione è perfetta per avviare la prossima sezione di questo articolo, in cui le inclusioni e variazioni di August Derleth andranno a sovrapporsi puntualmente sugli eventi e il contesto narrativo di Eternal Darkness. Teniamo a precisare come ogni ulteriore puntualizzazione in questo senso non abbia lo scopo di svilire le opere o la figura di Derleth, ma sarà riportata per tracciare i paralleli tra la sua poetica e l’opera dei Silicon Knights. Come chiarito prima da Joshi stesso, molti presero per buone queste deviazioni, rifacendosi quindi inevitabilmente ad August Derleth piuttosto che a Lovecraft (lo stesso concetto di “Mythos” è già fuori dalla giurisdizione letteraria di HPL). Ora che abbiamo le idee un po’ più chiare, torniamo quindi finalmente su Eternal Darkness. Perché è più corretto definire questo survival horror/action-adventure come…

Un gioco “derlethiano”?

Qualche paragrafo fa abbiamo accennato allo schema in cui le entità vengono inquadrate nel titolo, con tanto di rapporti di forza e debolezza reciproci. Oltre alle tre entità presenti in questo cerchio (Chattur’gha, Xel’lotath e Ulyaoth) ne è presente una quarta (Mantorok), con un ruolo a sé stante e posta al centro di esse a livello grafico in una sezione del menu delle rune. In ogni caso, questo equilibrio sottintende dei conflitti tra di esse e in cui la razza umana, evidentemente, gioca un ruolo importante (è pur sempre stato Pious a scatenare il tutto a inizio gioco).

Nel gioco stesso, ogni tanto saremo testimoni di schermaglie tra creature legate a entità diverse, riconoscibili per il colore. Un elemento grafico che ricorda quasi i giochi da tavolo.

Eternal Darkness, inoltre, aggiunge anche una componente quasi elementale (o di affinità) a ciascuna di queste entità. Questo fattore è di natura squisitamente derlethiana. Lo scrittore del Wisconsin, infatti, nel pieno della ristrutturazione in malafede dell’immaginario dell’amico scomparso prematuramente, decise di introdurre forzatamente una dinamica di questo tipo in alcune entità create da Lovecraft e, non contento, ne inventò un’altra legata al fuoco per far tornare i conti. È doveroso segnalare come questa aggiunta sia una pura invenzione di Derleth, spacciata però come lovecraftiana dallo stesso a suo tempo:

One of Derleth’s other conceptions in regard to the Old Ones-that they are elementals-should be addressed. […]

“Nyarlathotep corresponds to an earth-elemental, Cthulhu to a water-elemental, Hastur to an air-elemental, and Shub-Niggurath is the Lovecraftian conception of the god of fertility.” In the introduction to The Dunwich Horror and Others (1963) […] Derleth adds that “I myself added Cthugha, corresponding to the fire elemental Lovecraft failed to provide.” […]

And if, as Derleth repeatedly maintained, Lovecraft was systematically working on the Cthulhu Mythos or the last decade of his life, how could he have been so foolish as to neglect to invent a fire-elemental, forcing Derleth to come to the rescue with Cthugha?

Joshi, T. S., The Rise and Fall of the Cthulhu Mythos (…), p. 183

Oltre al danno la beffa, insomma.  In ogni caso, questa immagine di gioco presenta in maniera inequivocabile questo tipo di inquadramento sistemico e rigido in Eternal Darkness.

All’inizio dell’avventura, Pious dovrà raccogliere alcuni artefatti da collocare sotto la runa corrispondente. Il motivo per cui questi elementi vengono ritrovati tanto facilmente potrebbe essere duplice: da un lato, dettato dalla volontà delle entità di facilitargli il compito; dall’altro, forse dovuto alle iterazioni continue fino a progetto inoltrato da parte dei Silicon Knights riguardo il prologo di Eternal Darkness.

Un altro fattore che avvicina Eternal Darkness ulteriormente alla poetica di Derleth è il concetto dello scopo che queste entità in esilio si pongono. All’inizio, Pious Augustus viene richiamato, si presume, da tutte e 3 quelle presenti nella trama, in quanto i loro artefatti (prossimo argomento, tra l’altro) si trovano nella stessa stanza circolare, a brevissima distanza uno dall’altro. Ma cosa anima esattamente queste entità nel voler tornare nella nostra dimensione da cui erano state esiliate? Nulla in particolare, a parte il fatto di voler annientare la razza umana grazie ai loro immensi poteri.

E tuttavia, il desiderio di annientare la nostra specie non può essere concepito senza che ci sia, al tempo stesso, una profonda considerazione, un riconoscimento ufficiale della nostra importanza nell’equazione dei loro piani. Questa dinamica è confermata dall’alleanza di queste entità con Pious (cioè il villain a tutti gli effetti di Eternal Darkness), apparentemente indispensabile per mettere in moto i loro piani.

Tutto ciò, come è facile dedurre, è ben lontano dalla poetica e dall’idea di “entità cosmica” del gentiluomo di Providence, in cui gli sventurati che entrano in contatto con certe verità, incarnate da creature di fantasia, si ritrovano in queste circostanze per casualità o, più spesso, per desiderio degli sventurati stessi. Non esiste, infatti, un solo racconto di HPL in cui figuri un piano malvagio messo in essere dagli “antichi” di qualsivoglia natura. Lo stesso non si può dire, invece, di August Derleth.

Anche una controparte del Necronomicon fa la sua apparizione in veste del Tome of Darkness, anche se in Eternal Darkness ha uno scopo diverso e pare diventare, a tratti, quasi un album di famiglia dei Roivas.

Il concetto di evil viene chiamato in causa da Derleth stesso nel suo racconto The Horror from the Depths, scritto nel 1931 ma rifiutato dalla rivista Weird Tales (probabilmente sempre per motivi di plagio) e apparso solo nel 1940 sulla rivista Strange Stories. In questo racconto, il protagonista ritrova un artefatto/fossile sul fondo del lago Michigan, che poi sarà fonte di guai. Nel racconto, egli scrive:

It was then that he had his first vague knowledge of the Elder Gods, the Ancient Ones, and of those others, mad genii of evil who inhabited outer space before the world was born. It was they who descended to ravage Earth and were vanquished by the Elder Gods, and banished to the bottom of the sea. […]

Professor Holmes finally drew a consecutive and logical story of the age-long struggle between the forces of cosmic evil and the Elder Gods-the final defeat of the Evil Ones, and their ultimate banishment into the far corners of the earth.

The Horror from the Depths, August Derleth

Riguardo questa scelta ben precisa di parole, Joshi interviene sottolineando come “To speak of ‘evil’ without defining how, exactly, the entities in questions are evil (as Derleth never does), aside from their putative harm to the human race, is to set-up a kind of cowboys-and-Indians kind of story” (ibidem). Lo stesso Clark Ashton Smith, grande amico di HPL nonché autore di racconti fantastici che vi consigliamo caldamente, scrisse a Derleth al riguardo invano: “I shouldn’t class any of the Old Ones as evil: they are plainly beyond all limitary human conceptions of either ill or good”12.

Anche le lotte intestine citate nell’estratto del racconto sono degne di interesse, in quanto pure nel videogioco per GameCube è presente la figura della “divinità” (termine usato nel gioco stesso) Mantorok, in grado di contrastare l’entità malvagia di turno. Chissà, forse è proprio Mantorok a essere responsabile dell’esilio dei 3 esseri cosmici citati poco fa (e quindi accomunabile per certi gradi a un elder god). In ogni caso, è evidente come questo intreccio vada a formare uno scenario profondamente derlethiano piuttosto e non lovecraftiano.

Il livello ambientato ad Amiens (Francia) è molto suggestivo e cangiante nel corso del gioco. Al tempo stesso, tuttavia, gli eventi che vi si verificano confermano un’influenza continua tra le entità cosmiche e la nostra Storia, in controtendenza netta con la poetica lovecraftiana.

Non è un caso che, in effetti, risulti piuttosto impegnativo cercare di offrire letture di Eternal Darkness che vadano oltre la mera successione degli eventi mostrata a schermo. Per citare lo stesso Lovecraft, “un racconto fantastico non può & non deve essere un racconto “d’azione” o di “personaggi”. […] Gli avvenimenti non devono essere troppo serrati né i personaggi assumere eccessiva importanza. I veri protagonisti della narrativa fantastica non sono persone ma fenomeni”13.

Tuttavia, come precisato in apertura, ciò non toglie che l’opera dei Silicon Knights rimanga assolutamente godibile e valida sotto altri aspetti (come per molti è stato, noi compresi).

In ultima istanza, vediamo di affrontare la questione degli artefatti già accennata. All’inizio di Eternal Darkness, infatti, il personaggio Pious Augustus si trova a dover sceglierne uno tra 3, ciascuno collegato a un’entità desiderosa di uscire dall’esilio. Una volta compiuta questa scelta, parte del potere elementale (o sarebbe meglio dire di affinità) viene trasferito a Pious stesso, che lo userà per gli scopi malvagi dettati dall’essere di turno.

Il concetto della presenza di artefatti collegati alle entità cosmiche in maniera così intima e diretta (tanto da provocarne il ritorno o l’esilio) è anch’esso legato a doppio filo con la poetica di August Derleth. Lo studioso Joshi suggerisce come ispirazione di questo elemento il tentativo di romanzo di Lovecraft At the Mountains of Madness (1931), e probabilmente non è un caso che l’anno di stesura e pubblicazione sia lo stesso del racconto già citato The Horror from the Depths di Derleth. Nell’opera di HPL, alcuni membri di una spedizione scientifica in Antartide, mentre esplorano alcune rovine sotterranee di una civiltà sconosciuta, a un certo punto ritrovano degli artefatti a 5 punte dall’aspetto curioso. Il seguente estratto dell’opera sottolinea, inoltre, la volontà di inserire, a tratti, un registro asciutto e scientifico per la descrizione dei reperti ritrovati:

Have found peculiar soapstone fragment about six inches across and an inch and a half thick, wholly unlike any visible local formation. Greenish, but no evidences to place its period. Has curious smoothness and regularity. Shaped like five-pointed star with tips broken off, and signs of other cleavage at inward angles and in centre of surface.

At the Mountains of Madness, H. P. Lovecraft

Questi reperti, tuttavia, nella poetica di HPL non nascondono alcuna proprietà magica o scatenante che ritroviamo, invece, nelle opere di August Derleth e nello stesso Eternal Darkness. Per lo scrittore del Wisconsin, infatti, si tratta di un elemento ricorrente grazie al quale gli Old Ones, imprigionati dalle entità buone Elder Gods, riescono puntualmente a tornare a minacciare l’umanità. Ed è proprio questa la causa scatenante che avvia tutte le peripezie presenti nell’opera dei Silicon Knights: l’esistenza di artefatti legati a divinità malevole, in esilio, in attesa di essere riscoperti dal caso o da qualcuno animato da cattive intenzioni.

Questo elemento di congiunzione rappresenta l’ennesimo punto in comune tra quell’ottimo gioco (teniamo con tutto il cuore a ribadirlo) che è Eternal Darkness e la poetica di August Derleth.

Se siete arrivati fin qui con la lettura vi meritate un premio. Per questo motivo, la prossima e ultima sezione sarà dedicata ai motivi che rendono questo gioco degno di essere provato.

L’orrore attraverso le epoche

Uno degli elementi sicuramente ricorrenti della poetica di Lovecraft, e ancora non trattato, è quello dello scotto che spesso si trovano a pagare i protagonisti dei racconti di HPL quando entrano in contatto con qualcosa che annienta le loro certezze, che ridimensiona improvvisamente il loro ruolo percepito nell’insieme delle cose. In Eternal Darkness, infatti, ogni volta che il nostro avatar si troverà davanti un nemico soprannaturale subirà una diminuzione di una barra speciale14. Sotto una certa soglia, cominceranno a verificarsi conseguenze quali allucinazioni visive o uditive.

Questa dinamica non brilla sempre per originalità, in quanto non disdegna di ricorrere a veri e propri stereotipi del genere horror, ma al tempo stesso i Silicon Knights hanno avuto l’intuizione brillante di coinvolgere il giocatore in modo diretto con un paio di trovate (a voi scoprirle). Degno di menzione, tuttavia, è il fatto che questa barra sarà più o meno capiente a seconda del personaggio e che il criterio, apparentemente, pare sia la propensione o meno a credere ai fenomeni paranormali caso per caso.

Durante i combattimenti, è possibile mirare a parti del corpo precise in maniera molto intuitiva in tempo reale (notare il braccio destro marcato in bianco del nemico) al fine di renderli inermi e più “gestibili”. Probabilmente questo fu uno degli aspetti più impattanti di questo gioco del 2002.

E tuttavia, come accennato già, l’elemento che probabilmente rende Eternal Darkness particolarmente affascinante sono i viaggi nella Storia, nel mettersi nei panni di personaggi diversi ma, alla fine, tutti uniti più o meno consapevolmente nella stessa lotta. A causa dei tempi di sviluppo, alcuni luoghi sono stati riutilizzati, ma puntualmente arricchiti con nuovi luoghi e obiettivi da svolgere; con un po’ di immedesimazione, in questo senso, il giocatore potrebbe fare un piccolo sforzo e cercare di rivivere quelle ambientazioni tramite la percezione nuova dei vari personaggi di volta in volta. L’ambientazione più affascinante, probabilmente, è quella della cattedrale di Amiens in Francia (realmente esistente).

Come ultimissima cosa, non si può non menzionare la gestione degli incantesimi. Tramite un menu apposito, sarà infatti possibile combinare le varie rune per crearne sia di nuovi che versioni più potenti di quelli già scoperti nel corso dell’avventura, con tanto di possibilità di assegnarne fino a 4 in slot “rapidi” in modo da poter essere lanciati semplicemente con la pressione di un tasto.

Insomma, se non avete mai provato Eternal Darkness prima e credete che le sue atmosfere, trapelate dalle immagini usate finora, possano coinvolgervi, vi consigliamo caldamente di dare a questo gioco “derlethiano” una possibilità.

Nessuno può scrivere senza un’autentica spinta emotiva, e io la provo solo nel caso in cui entrino in scena violazioni dell’ordine naturale… […] Niente mi appare veramente drammatico se non un’improvvisa, anormale violazione di ciò che è inevitabile per l’eternità […]. Di qui i racconti che cerco di scrivere. Ovviamente, sono consapevole che questo costituisce un campo molto specifico e limitato agli occhi delle masse: ma credo […] che il genere, nonostante la sua natura minore, abbia una propria autenticità. […] non c’è ragione perché i suoi praticanti se ne debbano vergognare.

Lovecraft, H. P., Lettere dall’Altrove: Epistolario 1915-1937 (…), p. 304

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LR


NOTE:

1 Nella sezione che segue si è cercato di restituire un’idea meno stereotipata dell’autore statunitense. Gli argomenti più spinosi e controversi quali il razzismo e un certo antisemitismo (che tuttavia non gli impedì di coltivare certe amicizie e né di sposare Sonia Greene) non saranno affrontati, in quanto complessi da snocciolare e contestualizzare in un articolo che già sfiderà (o avrà sfidato) la vostra pazienza. Inoltre, queste forme di discriminazione sono da intendersi come di matrice squisitamente culturale e non razziale. Con l’eccezione, a onor del vero, di quella verso la popolazione afroamericana. In ogni caso, tutto ciò non si tradusse mai in manifestazioni di qualsivoglia violenza nella sua vita: Lovecraft era un uomo mite e cordiale.

La manifestazione di queste tendenze si concentrava invece in un sentimento che potremmo forse identificare come un forte disagio. Ciò che lo turbava era la contaminazione fra le culture, credendo che da questo scontro e incontro ci fosse tutto da perdere per tutte le parti coinvolte. A riprova di questo, in una lettera del 12 giugno 1933 scritta a James F. Morton, tra le molte considerazioni al riguardo (talvolta amare per quanto interessanti a leggersi oggi, non vi è un dubbio), spicca il suo profondo dispiacere per la contaminazione della noble and ancient culture of Japan*. Si pensi, inoltre, al suo amico ebreo di lunga data Samuel Loveman, che rimase all’oscuro di questo lato antisemita di HPL fino al 1947 (ovvero dieci anni dopo la sua morte), nonostante avesse ricevuto da lui circa 400 lettere. Tutte finite, tra l’altro, tra le fiamme, tanto fu amara la sua sorpresa.
*Lovecraft, H. P., Selected Letters: 1932-1934, A cura di Derleth A. & Turner J., Arkham House, Wisconsin, 1976, p. 206

Per ulteriori approfondimenti in questo senso consigliamo la lettura delle lettere stesse, reperibili anche su archive.org nei volumi delle Selected Letters o anche nel volume in italiano Lettere dall’altrove. Entrambe queste fonti sono citate puntualmente in questo articolo.

2 Lovecraft, H. P., Selected Letters: 1929-1931, A cura di Derleth A. & Wandrei D., Arkham House, Wisconsin, 1971, p. 117

3 Joshi, T. S., The Rise and Fall of the Cthulhu Mythos, Mythos Books LLC, Poplar Bluff (Missouri), 2008, p. 140

4 È degno di menzione un finale segreto di Eternal Darkness in cui si svela una dinamica in più rispetto a quelle percepite dal giocatore fino a quel momento. Tuttavia, ciò non toglie che di fatto nell’opera dei Silicon Knights si assista a uno scontro tra “divinità” coadiuvato dall’intervento di alcuni prescelti umani.

5 Joshi, T. S., The Rise and Fall of the Cthulhu Mythos […], p. 19

6 Clark Ashton Smith (1893, 1961).

7 Robert Ervin Howard (1906-1936).

8 A questo proposito, dobbiamo segnalare come siano reperibili alcune fotografie che ritraggono Lovecraft in compagnia di Donald Wandrei, ma nessuna scattata accanto a August Derleth (che invece figura in un’istantanea accanto a Robert Bloch, entrambi del Wisconsin). Stando al volume An H.P. LOVECRAFT Encyclopedia (S. T. Joshi, David E. Shultz, ), tuttavia, fu lo stesso Lovecraft a presentare Wandrei a Derleth. Forse sempre per via epistolare? A scanso di imprecisioni, preferiamo lasciare questa parentesi aperta.

9 “Our minds are crippled – biased and predisposed toward the acceptance of supernaturalism as a matter of course – by the religious instruction we receive at the most impressionable period of early childhood.” (Lovecraft, H. P., Selected Letters: 1932-1934 […], pp. 26-27).

10 Lovecraft, H. P., Selected Letters: 1929-1931 (…), p. 444

11 “But a more serious objection to this story is the fact that you have lifted whole phrases from Lovecraft’s works […]. Also, you have taken the legends of Cthulhu and the Ancient Ones directly out of Lovecraft. This is unfair to Lovecraft. […] My admiration for Lovecraft’s writing amounts almost to idolatry, and I cannot allow such imitation in Weird Tales. […] your usage oversteps the bounds of property”. (Joshi, T. S., The Rise and Fall of the Cthulhu Mythos […], p. 187)

12 Joshi, T. S., The Rise and Fall of the Cthulhu Mythos […], p. 191

13 Lovecraft, H. P., Lettere dall’Altrove: Epistolario 1915-1937, A cura di G. Lippi, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1993, p. 310

14 La barra speciale è in realtà chiamata “barra della sanità mentale”, un terminologia obiettivamente poco rispettosa e insensibile verso tutti coloro che soffrono di qualsivoglia patologia psichica. Col senno di poi, e considerando quanto possono essere transitori i suoi effetti, si sarebbe potuta chiamare in qualsiasi altro modo (per esempio, “barra della tensione”). Non è un caso che il gioco di ruolo Lovecraftesque (Black Armada Games) abbia dedicato un intero capitolo al ridimensionamento del tema della “follia”, dando anche qualche linea guida su come evitare tutti quegli stereotipi a essa legati a cavallo tra il 19° e il 20° secolo.

15 Lovecraft, H. P., Selected Letters: 1929-1931 (…), p. 216


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