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Hitman: l’evoluzione di un capolavoro sandbox

Hitman: l’evoluzione di un capolavoro sandbox

  • Vito Carluccio

  • 24 settembre 2021
  • noninteragire

Il vestito nero, la cravatta rossa, il codice a barre sulla nuca, la garrota e la pistola silenziata non possono che far pensare al killer su commissione più famoso della storia dei videogiochi: l’agente 47.
Intorno a questi elementi, la serie creata da Io Interactive è riuscita a costruire una IP identificabile anche solo con un sguardo: Hitman.

L’outfit dell’agente 47 è ormai iconico.

Questa forte riconoscibilità estetica va di pari passo con l’obiettivo e l’esperienza che la serie ha (quasi) sempre voluto restituire: farci interpretare un sicario nel modo più libero possibile.
Nelle prossime righe ripercorreremo quanto accaduto, e i grossi passi in avanti che ci sono stati, dal 2000 fino ad oggi. Certamente non senza qualche scivolone, il processo avviato due decenni prima ha portato verso una piena maturità, raggiunta con l’ultima trilogia.

Origini inaspettate

Forse non tutti sanno che il concept iniziale di Hitman: Codename47 prevedeva un gioco action, ispirato ai film di John Woo. L’agente 47 sarebbe stato lanciato nei luoghi più disparati a far incetta di cadaveri tra salti, pallottole e capriole. Un po’ come il poco fortunato Stranglehold (2007). La collaborazione tra Jonas Eneroth (produttore esecutivo) e Jacob Andersen (lead designer) fece spostare il progetto verso sponde più stealth, trovando fonti di ispirazione in Thief e Deus Ex.

Al netto di alcuni grossi problemi di IA e di una gestione dei salvataggi estremamente punitiva, ancora oggi è possibile giocare al primo capitolo datato 2000 e riconoscere l’embrione di una formula perfezionata in 20 anni di sperimentazione.

Sostanzialmente dal primo capitolo in poi, tutti gli Hitman hanno cercato di costruire mappe molto grandi in cui il giocatore veniva lasciato libero di muoversi alla ricerca dell’obiettivo da eliminare. L’approccio e le modalità con cui compiere la missione sono lasciate al giocatore, perlomeno entro i limiti dati dalla tecnologia e dal game design.

Nel concept iniziale Hitman avrebbe dovuto restituire un feeling simile ai film di John Woo.

Pochi script, tanti sistemi

Un’ambizione simile poteva essere raggiunta solo e soltanto attraverso la costruzione di sistemi unici, dettagliati e molto reattivi, senza dimenticare lo sviluppo di una IA complessa e stratificata. I risultati non sono sempre stati eccellenti; nel primo capitolo, ad esempio, l’IA può compiere azioni assurde e rovinare un intero piano orchestrato alla perfezione per via di uno spot attraverso il muro. Oppure, il ragdoll di Blood Mooney potrebbe far volare via la vittima spazzando via l’intera copertura.

Avanzando nei vari capitoli, però, Io interactive ha sempre più affinato questi sistemi e ampliato la varietà degli strumenti di morte e delle meccaniche di gioco. La formula sandbox del titolo si è arricchita esponenzialmente di capitolo in capitolo: non solo garrota, fucile e pistola silenziata, ma anche veleni, mine, esplosivi radiocomandati, lame e siringhe. A partire da Hitman 2: Silent Assassin, la possibilità di camuffarsi cambiando i vestiti (altro marchio di fabbrica) viene affiancata via via da altre possibilità: accucciarsi, nascondersi negli armadi, arrampicarsi sui tetti, appendersi dalle sporgenze, nascondersi nei cespugli e mimetizzarsi tra la folla.

Hitman 2: Silent Assassin introdusse diverse novità tra cui la visuale in soggettiva, la possibilità di abbassarsi e gli anestetici.

La complessità della serie ha raggiunto una certa maturità con Hitman: Blood Money (2006). L’IA era in grado di compiere azioni molto complesse, come perquisizioni, ricerca e sondaggio dei luoghi, sentire rumori, intimare al giocatore di uscire da aree off limits (senza sparare all’impazzata non appena si metteva un piede dentro la cucina di un ristorante). Ma non solo questo, le mappe avevano tantissime vie, ingressi laterali, passaggi sotterranei e postazioni sopra elevate. La moltitudine di sistemi comunicanti tra loro rendeva il gioco altamente interpretabile e a volte problematico e poco pulito. In effetti tutti questi sistemi assieme potevano creare situazioni paradossali, o semplicemente glitch e bug. Niente di realmente tragico ma il controllo dell’agente 47 in questo mondo pieno di variabili poteva risultare un po’ impreciso.

Il fallimento e l’importanza di Hitman Absolution

Dopo il successo di Blood Money subito si pensò a portare Hitman su nuova generazione, con il più alto budget mai avuto e con l’intenzione di proiettare la serie nel mercato di massa AAA.

Nacque quindi il nuovo Hitman Absolution, senza dubbio il capitolo più controverso della serie. Nelle intenzioni iniziale del team c’era l’idea di mantenere alcune meccaniche tipiche della serie ma spingendo molto anche sul versante narrativo ed action. Si attinse da Max Payne e Gears of War, ci si concentrò tantissimo sulle scene di intermezzo e su delle ambientazioni più ristrette e lineari, cosi da favorire lo sviluppo di una storia più coesa e di un’avventura più scriptata, meno sandbox.
Una direzione, insomma, quasi opposto a quella vista in Blood Money.

Hitman Blood Money ha delle mappe molto grandi e affollate. Molto più piccole di quelle che poi vedremo in HITMAN 2016.

Nel corso dei 7 lunghi anni di sviluppo però, il team non era più tanto convinto che cambiare cosi tanto la struttura fosse l’idea giusta, e quindi si cercò di tornare sulla strada iniziale. In pieno crunch, lo studio di sviluppo provò ad adattare il lavoro già svolto su Absolution virando di nuovo verso alcune vecchie formule. Il risultato è, come potete intuire, molto altalenante: il mix di elementi sandbox adattati a un prodotto originariamente pensato per essere più lineare ha portato a un risultato incerto. Soprattutto se si considera che i fan certamente non si aspettavano una esperienza cosi lineare.

Sebbene Absolution non sia stato accolto molto bene, all’atto pratico l’alto livello produttivo ha permesso di affinare l’IA degli NPC, i comportamenti della folla, le animazioni e le interazioni di 47.
Hitman non era mai stato così fluido: muoversi, sparare, tirare gli oggetti o eseguire takedown sono azioni molto bene strutturate e collegate bene all’IA, tutto è estremamente pulito e preciso.

Ma non solo. L’elemento più importante ai fini di questa disamina risiede nella modalità Contracts: una sorta di online in cui i giocatori potevano designare come bersaglio qualsiasi NPC presente nella mappa, ponendo delle condizioni specifiche per rilasciare dei contratti pieni di sfide. Dopo 4 anni dall’uscita, questa modalità aveva ancora cinquanta mila giocatori attivi al giorno. Giocare e rigiocare la stessa mappa ma con obiettivi diversi e strade diverse da percorrere, apriva un ventaglio sterminato di possibilità e questo fu il presupposto  per la creazione del miglior Hitman di sempre.

Controllare 47 in Hitman Absolution è una vera goduria, ci sono moltissime animazioni fluide e responsive.

HITMAN 2016 – Sandbox o morte

Siamo quasi giunti al termine di questo viaggio al fianco dell’agente 47 e ora metteremo da parte le vicissitudini commerciali che hanno portato all’accordo tra Io interactive e Square Enix (finito male dopo il primo capitolo) per analizzare la struttura incredibilmente complessa di questa nuova iterazione. Raccontare la storia produttiva e creativa di Hitman ci è servito per capire come si è arrivati alla creazione di quello che a conti fatti si può definire un vero e proprio simulatore di assassino.

La lezione imparata dal fallimento di Absolution e dal successo della modalità Contracts ha portato gli sviluppatori a pensare ad una sorta di soft reboot.
Ogni livello, ogni mappa è un vero e proprio gioco a se stante, con le proprie storie interne, con la propria conclusione e costruzione dei personaggi. Tutto avviene in una singola sessione di gioco ma non tutto è direttamente fruibile in una partita. Le mappe sono pensate e disegnate per essere rigiocate più volte, ogni elemento di gioco punta verso questa idea di game design, dagli spezzoni narrativi sparsi nella mappa e fruibili solamente i determinate situazioni, alle modalità con cui preferiamo eliminare i nostri obiettivi.

la quantità e la varietà di gadget in HITMAN ci permette di dare grande sfogo alla creatività.

C’è un sistema di ricompense incoerente con la trama, ma funzionale al game design: ogni qual volta completeremo una missione, in base al nostro punteggio, sbloccheremo nuovi gadget, nuovi punti di accesso e nuove armi. Capite bene che giocare una missione con o senza grimaldello può cambiare totalmente l’approccio, o cominciare la missione travestiti da tecnico audio cambia la prospettiva che abbiamo dello spazio. In una certa misura, la scelta di non fornire tutti i gadget alla prima run può essere considerata una limitazione al concetto di sandbox; però, d’altro lato, riesce a creare una progressione all’interno della stessa mappa. Ovviamente non saremo mai obbligati a rigiocare la mappa, ma sbloccare un nuovo gadget ci potrebbe invogliare a riprovare la stessa mappa.

L’unlock di queste ricompense è funzionale all’esperienza: gli sviluppatori vogliono mettere alla prova la nostra creatività e per farlo hanno deciso di dare qualche linea guida.

In quest’ottica rientrano anche le nuovissime “storie della missione”, una serie di passaggi che il gioco consiglia di fare per creare una sorta di linea narrativa che ti porta più vicino all’eliminazione dell’obiettivo. Anche in questo caso però la scelta del giocatore è sacra, queste storie non sono scriptate ma anche esse sono interpretabili ed inseribili nel flusso della nostra personale partita. Per esempio, una storia della missione ci potrà spingere a travestirci da dottore perché il nostro obiettivo ha fissato una visita medica, ma noi potremmo decidere di usare il vestito da medico per accedere alla vila senza però compiere la visita. Le storie della missione sono malleabili e soggette al nostro utilizzo. Nelle impostazioni poi è possibile disattivare le icone di aiuto e queste piccole situazioni previste dai game designer diventano molto più difficili da trovare e attuare, dovremmo affidarci al nostro udito e al nostro intuito.

Sebbene il sistema di sfide e di valutazione ci aiuti a capire le possibilità che abbiamo e assegni un punteggio al nostro agire, tutte le mappe sono interpretabili al 100% senza nessuna restrizione obbligatoria.
Il concetto di sandbox è alla base di tutto il game design, dai gadget dai multipli utilizzi alle armi, dai numerosi vestiti ai vari ingressi e passaggi.

Mumbai è una delle mappe più grandi e sorprendenti. Un intero spezzone d città ricco di edifici esplorabili e sistema fognario annesso.

Gli approcci consentiti sono diversi e soprattutto fluidi, senza soluzione di continuità. Possiamo entrare in una villa in stealth, travestirci da cameriere e mimetizzarci tre lo staff, imbracciare un mitra ripulire una stanza e scappare via tornando in stealth o cambiando vestito e sfruttando una storia della missione per scappare in auto.

Questa totale libertà di approccio è incredibilmente sorretta da una IA molto complessa: se le guardie dovessero scoprire un cadavere o un esplosivo durante una festa, farebbero evacuare gli invitati in modo ordinato; se dovessero capire che c’è un assassino nei paraggi manderebbero il loro protetto in una stanza sicura, a volte blindata, e inizierebbero la ricerca del giocatore per tutta la mappa.
Persino le morti accidentali vengono gestite in modo diverso: le guardie non si metteranno a cercare un eventuale assassino ma recupereranno il corpo del malcapitato, che verrà portato via dai luoghi pubblici.

C’è un sistema che gestisce il comportamento della folla, le reazioni agli spari, le interazioni con le guardie che magari cercano di farli evacuare in modo ordinata o il completo caos dato da una fuga disperata in pieno centro città.

A questo si affianca la gestione delle IA designate come guardia del corpo dei VIP che hanno dei comportamenti precisi. Come controllare le stanze prima che vi entri il proprio capo o delegare una guardia alla raccolta e messa in sicurezza di un arma incustodita, cosi da evitare di lasciare da solo il proprio protetto. In ultimo troviamo il sistema di evacuazione VIP: le guardie circondano l’obiettivo e lo scortano in modo attento verso una stanza sicura.

I sistemi sono complessi e comunicano tra loro prevedendo l’intervento del giocatore: tutto ciò è sorprendente e merita la giusta attenzione.

Le guardie hanno sentito uno sparo, si dispongono a diamante e si preparano a scortare via il VIP.
(Video credit AI and Games)

World of Assassination

Nel momento in cui scriviamo è disponibile sul mercato HITMAN III. Il capitolo finale di questa nuova trilogia iniziata nel 2016. HITMAN è diventato a tutti gli effetti una sorta di piattaforma chiamata World of Assassination e l’offerta è ricchissima. Acquistando l’ultimo capitolo sarà possibile integrare anche i due predecessori che in automatico riceveranno gli upgrade più recenti, sia grafici che di features.

Ben 21 livelli, con mappe complesse e variegate, dettagliate e ricche di opzioni. Inoltre la piattaforma offre sfide giornaliere, obiettivi elusivi a tempo e una campagna secondaria chiamata patient zero.

Tutte le mappe ci permetteranno di essere l’assassino che desideriamo. Veloce e spietato come John Wick, silenzioso e invisibile come Sam Fisher, impetuoso e aggressivo come Mad Max e perché no, un mix dei tre. La scelta è nostra.

Giocare con i sistemi può portare a situazioni davvero uniche.

Ad oggi non troviamo nessun motivo per non dare una possibilità a questa trilogia. Un vero e proprio parco giochi, l’esperienza sandbox più completa che abbiamo avuto modo di provare negli ultimi anni, grazie a un’offerta ricca e a un supporto costante..

Io Interactive è riuscita a rinascere dalle ceneri di Absolution ed ha confezionato un videogioco che non ha paura di essere un videogioco.
HITMAN è il sandbox degli ultimi 10 anni.

VC


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