Kingdom Hearts: una retrospettiva tra Luce ed Oscurità
Kingdom Hearts si può ormai considerare una serie di videogiochi storica. Nata nel 2001 dalle volontà congiunte della fu Square Soft (ora Square Enix) e della Disney, come cross-over tra Final Fantasy e i personaggi Disney, la serie ha preso poi una direzione completamente diversa, approdando su praticamente ogni piattaforma da gioco esistente ed arrivando a vendere oltre 30 milioni di copie. Con i suoi dieci (a breve dodici) capitoli attuali e una serie tv in arrivo, Kingdom Hearts ha saputo entrare, è il caso di dirlo, nel cuore di una grossa fetta di pubblico, viaggiando tra amore e odio, successi e critica, luce ed oscurità.
L’inizio e il successo
Il “caso” Chain of Memories
Quello che sarebbe avvenuto dopo sembrava prevedibile; come scopriremo presto, però, con Kingdom Hearts non si è mai certi di niente, sia dentro che fuori dal gioco. Mentre gli appena nati fan chiedevano a gran voce un seguito, Square Enix e Disney decisero di creare uno spin-off sull’allora console portatile di casa Nintendo, il GameBoy Advance, muovendosi di gran lena verso un evento che sarebbe divenuto cruciale per la serie.
Kingdom Hearts: Chain of Memories fece la sua comparsa nel mondo dei portatili nel 2004. Il gioco sfruttava una pixel art maestosa e un sistema di gameplay peculiare basato su delle carte; ma la malvagia mente di Nomura aveva architettato qualcosa di terribile. Chain of Memories infatti, era tutt’altro che un semplice spin-off.
Sebbene, tramite un escamotage narrativo il gioco facesse rigiocare i mondi Disney già visitati precedentemente, di fatto la storia riprendeva esattamente dopo il finale del primo capitolo. Nel corso del gioco venivano svelate nuove ambientazioni, nuovi personaggi e nuovi villain. Chain of Memories era un vero e proprio sequel, senza che quasi nessuno lo sapesse. Nomura aveva iniziato a forgiare la sua saga, la sua visione di Kingdom Hearts, ciò che l’avrebbe resa in un certo modo unica, seppure in modo criticabile (e criticato).
L’anno successivo, il 2005, Kingdom Hearts 2 vide la luce su Playstation 2. Già dalle prime ore di gioco, i fan che in fremente attesa lo aspettavano da quattro anni, notarono qualcosa di strano. La trama di Kingdom Hearts 2 non ripartiva dal primo capitolo, ma dal finale di Chain of Memories, il capitolo su portatile spesso poco considerato per la sua nomea di spin-off non necessario. Non solo: Kingdom Hearts 2 prendeva una piega ben diversa dal primo capitolo. Mentre il gameplay si faceva più action e i mondi più lineari, la trama cominciava ad ingarbugliarsi intorno a strani misteri e colpi di scena quantomeno peculiari. Lo stile si faceva più stravagante e caratteristico, ormai totalmente distintivo rispetto ai canoni Disney e quelli di Final Fantasy. Il successo, però, venne nuovamente ribadito da vendite e giudizi positivi.
Ogni capitolo è principale
Square Enix non si fece attendere e, dopo un veloce remake di Chain of Memories per PS2, altri “spin-off” vennero messi in produzione. Nel 2008 uscì Coded per cellulari; nel 2009 358/2 Days per Nintendo DS, nel 2010 Birth by Sleep per Playstation Portable; nel 2012 Dream Drop Distance per Nintendo 3DS. L’intento di Square Enix era quello di colonizzare ogni console possibile; al contrario, a risultare singolare era il lavoro narrativo che Nomura stava imbastendo, dato che ogni singolo gioco di Kingdom Hearts era principale per la trama. Ogni capitolo conteneva scene, dialoghi, avvenimenti, che non potevano essere compresi del tutto senza il quadro generale dato da tutta la serie. Kingdom Hearts era diventata una saga enormemente stratificata, che viaggiava su piattaforme multiple e che funzionava narrativamente come un puzzle, anche a costo di forzare avvenimenti, creare retcon – cioè aggiustamenti di trama a posteriori – o lasciare cose in sospeso per capitoli e capitoli, rompendo ogni regola di narrazione. Una trama complicata per il gusto di esserlo, così da spezzettarla in più capitoli possibili, adornata da quello stile ormai così peculiare e da un gameplay comunque vario e con vari livelli di consapevolezza. Nonostante le evidenti criticità di questa scelte, molti fan le abbracciarono e ancora oggi discussioni sugli incastri corretti di ogni avvenimento di ogni capitolo sono all’ordine del giorno. Senza mai perdere quel feeling adolescenziale che lo contraddistingueva, la serie spaziò anche a livello di game design. Ogni capitolo portatile sfruttava varie meccaniche, alcune riuscite altre meno, così che avessero direzioni diverse e particolari, ma senza staccarsi troppo dai canoni dell’action-JRPG. Questa è la saga di Kingdom Hearts come l’ha voluta Nomura. Di fatto una serie complicata da seguire, più che da capire. Amata e odiata per questa scelta, ma senza dubbio particolare.
La “pausa” e le critiche
