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Matrix Resurrections: il ritorno nella tana del bianconiglio

Nel 1999 le sorelle Wachowski, Lana e Lilly, danno vita a Matrix e invitano tutti a un mega party nella tana del Bianconiglio.

Chiedersi ora, a distanza di più di venti anni, se il mondo del millennium bug fosse pronto a un evento del genere è un’inutile follia. Quello che sappiamo è che la storia si è trasformata in fenomeno di massa e che da quel giorno niente è stato più lo stesso.

Il film, perfettamente inserito nel genere fantascientifico, è costruito su un ordito narrativo a più strati che trasporta il fruitore, spesso senza grazia alcuna, nei meandri della filosofia e dei massimi quesiti dell’umanità. La storia di Neo funge da linea guida per accompagnare lo spettatore nei piani più intimi della narrazione, dove si intreccia a doppio filo con il vissuto degli autori, diventa cappio di fronte alla claustrofobica incognita del futuro e ancora di salvezza nel finale, quando la speranza del “risveglio” regala un mezzo sorriso e un sospiro di sollievo.

Per quattro anni, l’umanità ha pensato che la storia dell’Eletto fosse finita così, con un volo verso l’infinito e una canzone dei Rage Against The Machine. E invece no, la premiata ditta Wachowski decide che ci sono ancora verità da rivelare e nel 2003 fa uscire gli altri due capitoli che comporranno la saga di Matrix fino ad oggi: Matrix Reloaded e Matrix Revolution.

La bolla di perfezione che aveva protetto la seconda nascita di Neo era scoppiata e, ora, il mondo della fantascienza si divideva in due fazioni. Quelli che, seppur con l’ascia di guerra nascosta dietro la schiena, hanno accolto l’arrivo dei seguiti con una sana curiosità e chi invece ha semplicemente gridato allo scandalo cinematografico e si è astenuto dalla visione.

Fa tanto pillola rossa o pillola blu, non vi pare?
E allora perché siamo qui oggi?

Oggi siamo qui perché l’anno corrente è il 2022: da qualche giorno è uscito il nuovo capitolo della saga di Matrix e il mondo si sta di nuovo dividendo, non senza spargimenti di sangue in formato jpeg, tra chi ha deciso di tornare nella tana del bianconiglio e chi sta vomitando il proprio disgusto in rete.

Matrix Resurrections

E no, non è un deja-vu. È Matrix Resurrections.

[DISCLAIMER: seguono spoiler di Matrix Resurrections]

Dalla genesi alla realizzazione

La decisione di riprendere in mano un capolavoro è un’operazione che non lascia spazio a mezze interpretazioni. Da una parte c’è il terrore reverenziale di andare a “disturbare” una storia chiusa e di innescare una potenziale catastrofe mediatica; dall’altra, invece, c’è l’imponenza dei colossi dell’intrattenimento che cerca, dove può e come può, di arraffare idee milionarie.

La prima parte di Matrix Resurrections è una chiara denuncia al mondo cinico del business cinematografico.

Neo è la capsula vuota di quelle che prima erano la sua consapevolezza e la sua forza mentale. L’immagine di sé che gli restituisce lo specchio della sua mente non coincide con l’immagine riflessa negli occhi di chi lo guarda. Si aggira come una sorta di fantasma in luoghi troppo colorati e troppo rumorosi, passa i suoi giorni di fronte a mille computer, a far rivivere ancora e ancora i personaggi della sua vita trasformati in videogioco. È lontana l’ansia del primo Matrix, quando negli occhi di Thomas Anderson si vedeva tutta la paura e le domande che lo attanagliavano. Per Neo, ora, eletto è solo una parola. Un codice da inserire nel suo modale.

Lo scontro tra la remissività del protagonista e lo spietato cinismo dei suoi colleghi è piena di rimandi meta cinematografici per il mondo dello spettatore, fagocitato e inglobato nei meccanismi diabolici dei sequel e dei reboot.

Questo espediente narrativo abbatte completamente la quarta parete portando il fruitore esattamente dove l’autrice voleva che si ritrovasse, sul punto di fare una scelta importante, proprio come il nostro eroe destabilizzato. Pillola rossa o Pillola blu?

Pillola rossa

Tutti gli eventi narrativi che compongono la seconda parte del film sono costruiti sulla volontà di essere sfrontati fino a sfiorare il sacrilego.

Dopo aver preso la pillola rossa Neo si trova in un mondo diverso da quello che ricordava. E come poteva essere altrimenti? Lui è cambiato, Matrix è cambiata e, con lei, anche il mondo reale. Tra i bulloni e i fili dell’astronave Mnemosyne, il nostro protagonista inizia a riprendersi pezzi di se stesso grazie al racconto di come il suo operato abbia cambiato le sorti delle generazioni future.

Sebbene le soluzioni narrative utilizzate possano generare perplessità nello spettatore, è innegabile che questa visione del mondo ben si sposi con quello attuale; e dimostra ancora una volta come Lana Wachowski abbia deciso di riportare in vita Neo solo perché poteva farlo alle sue condizioni. Rispettando, senza snaturare, quella creatura complessa e intrinsecamente legata alla sua.

La silouette di Morpheus è un altro chiaro manifesto del modus operandi dell’autrice.
La figura granitica di Laurence Fishbourne cede il posto all’immagine decisamente più glam di Yahya Abul-Mateen II e alla sua versione computerizzata. Questa soluzione, dall’innegabile rinculo emotivo da parte dello spettatore, non è solo un altro sfoggio dell’irriverenza della nostra Lana, ma pone anche un forte accento sull’immobilità del personaggio interpretato da Keanu Reeves rispetto alle innumerevoli rivoluzioni operate sugli altri protagonisti.

Anche la figura dell’agente Smith, che ha visto Jonathan Drew Groff prendere il posto dell’iconico Hugo Weaving, è un ulteriore esempio di questa linea narrativa.

L’agente Smith non è più solo il freddo calcolatore, ligio dipendente di Matrix: diviene consapevole della sua forza che non la usa più solo per distruggere il bene. Determinazione, freschezza e un paio di occhi azzurri in perfetto stile blu steel cozzano completamente con la barba incolta e il capello unto di un “fu” eletto che ancora si chiede se stia succedendo davvero o se è solo un pazzo, come sostiene il suo dottore.

Vogliamo parlare dell’analista che prende il posto dell’architetto? Quale diavoleria cinematografica sarebbe questa? Ma vogliamo scherzare?

Matrix Reurrections: L’analista al lavoro.

Nessuno scherzo, anzi. In un mondo in cui uomini e macchine cooperano in perfetta armonia non si può più parlare di sole costruzioni e numeri. C’è bisogno di una figura che conosca il linguaggio dell’animo umano e il potere delle emozioni. Ecco allora che la figura di Neil Patrick Harris ripone nell’armadio i completi di Barney Stinson che lo hanno reso celebre, e veste quelli di uno spietato ed efferato Analista, che ha scoperto il complesso mondo delle emozioni e le usa per provocare dolore.

Did you know hope and despair are nearly identical in code?

Matrix Resurrections – L’Analista.
Nuove consapevolezze e nuovi eletti

Nel primo capitolo della saga, assistiamo al percorso di consapevolezza che ha portato Neo a convincersi di essere l’eletto. Nel corso dei capitoli successivi, poi, vediamo come questa consapevolezza prenda sempre più corpo dentro di lui fino a fargli compiere gesta che non credeva possibili. Che nessuno credeva possibili.

In Matrix Resurrections questo monolite narrativo viene completamente distrutto e basta una sola frase. Neo ammette di non aver mai creduto di essere l’eletto e che era Trinity a crederci.

I never believed I was The One. But She did. She believed in me. It’s my turn to believe in her.

Matrix Resurrections – Neo

La convinzione che sia la sola consapevolezza del proprio io a definire il percorso verso il raggiungimento totale del proprio potenziale viene totalmente spazzata via dall’amore. Il sapere non è niente di fronte al potere che scaturisce da due persone che si amano.

Il ricongiungimento tra Neo e Trinity ha due scopi narrativi egualmente fondamentali ai fini della storia e del suo finale. Nelle mani che si stringono non c’è, infatti, solo il simbolismo dell’amore puro: è proprio il contatto a innescare quella forza in grado di bucare i confini dello spazio ed entrare ovunque voglia.

Trinity è il nuovo eletto perché ha capito che i sentimenti sono il motore della consapevolezza e della conoscenza del proprio Io.

Matrix Resurrections: Trinity e Neo in una scena del film

Questo avvicendamento porta con sé tutto il desiderio, da parte dell’autrice, di voler raccontare la propria storia alle proprie condizioni: torna ad essere un grido di rivolta contro al mondo dei tradizionalisti campioni di etichetta e dei mostri senza cuore del mercato dell’intrattenimento.

Sovvertire l’ordine dall’interno

Quando la lotta contro il cattivo di turno sembra essersi conclusa con una ola e spettacolo pirotecnico offerto dai protagonisti, ecco che la nostra Lana sovverte di nuovo l’ordine costituito.

Miss e Mister Eletto fanno la loro entrata trionfale a casa dell’analista e illustrano pacificamente la loro agenda programmatica. Non ci sarà una nuova guerra con cadaveri che volano come coriandoli e non ci saranno turbini di pallottole. Ci saranno cambiamenti, quelli sì, ma non così tanti.

Ma come? Vent’anni di attesa e hype portato allo stremo per una cooperativa tra buoni e cattivi?

Niente di più sbagliato. Oramai la guerra ha ampiamente dimostrato di essere inutile e il ronzio che produce nelle orecchie buca i pensieri e impedisce di respirare. L’unico modo per combattere il sistema è entrarci e sovvertirlo dall’interno. A piccoli passi, senza clamore. Un codice alla volta.

Pillola blu

Prendere la pillola blu significa semplicemente chiudere gli occhi di fronte a tutto questo e negare che il cambiamento sia motore di qualsiasi arte e di qualsiasi pensiero. Prendere la pillola blu significa desiderare che Keanu Reeves avesse trascorso più ore in sala trucco per piallare tutte quelle rughe o che i buchi sulla Nabucodonosor fossero stati tappati con lo scotch.

Prendere la pillola blu significa rimanere blindati in un’idea di perfezione immutabile, crederla frutto di soli numeri e strategie e non la creatura figlia dell’anima di una persona vera, con le sue complessità e il suo vissuto.

Scegliere la pillola blu significa, prendere ogni singolo strato narrativo che compone l’intera opera, stracciarlo e vedere solo l’involucro.

E l’involucro è confuso, a tratti ridicolo e con qualche sfumatura di grottesco.

La domanda

Dopo tutte queste parole rimane solo una domanda farsi. Che non riguarda l’intento di Lana, se fosse quello di puntare sulla complessità del messaggio inserendolo in un ambiente ostile o se invece non sia riuscita a dominare l’imponenza dell‘impianto allegorico e abbia ceduto a soluzioni narrative disperate.

La vera e sola domanda da farsi è se l’intero film sia riuscito a comunicarci qualcosa per quello che è nella sua essenza. Cercando di dimenticare, almeno per un paio d’ore, che è il quarto capitolo di una saga che ha fatto storia, che il suo arrivo nelle sale è stato accompagnato da una fanfara di putridume mediatico e l’improbabile vestitino giallo di Morpheus.

SL