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Camminando dal tavolo al gamepad, di nuovo

Torniamo a parlare di trasposizioni, come abbiamo già fatto in un nostro precedente articolo: ancora una volta, fantasticheremo su tre bellissimi boardgame che hanno tutto ciò che serve per diventare bellissimi videogiochi. E nuovamente ci lanceremo in congetture su chi e come potrebbe realizzarli.
Valgono le stesse regole passate: non verranno considerati giochi da tavolo che sono loro stessi trasposizioni di libri, film o videogiochi (Dune o Civilization), o che si ispirano pesantemente a qualche altra opera (come il recente Sanctum). Dunque solo originali; saranno esclusi, ovviamente, anche i boardgame che, magari non ufficialmente, hanno già ricevuto, o stanno ricevendo, una trasposizione (Scythe).
Se non siete interessati ai giochi da tavolo, continuate comunque a leggere: si parla anche e soprattutto di videogiochi.

ROOT: a Game of Woodland Might and Right

ROOT: a Game of Woodland Might and Right
Come descrivere Root? Potremmo dire che che è un gioco sul controllo del territorio molto atipico, per la sua totale asimmetricità: questo significa che ogni giocatore ha regole diverse in base a quale fazione controlli. Ma il punto forte del gioco è come questa asimmetria sia legata all’ambientazione.
Root, infatti, utilizza una ambientazione originale e peculiare: le fazioni sono composte da animali antropomorfi e il capo di battaglia è un enorme foresta. I gatti e gli uccelli sono i due popoli che principalmente si contendono il dominio della Woodland. Volpi, conigli e topi, invece, sono i cittadini del bosco, che compongono anche l’alleanza ribelle contro gli altri. Infine c’è il vagabondo, un animale solitario che principalmente si fa i fatti suoi.
Come detto, ogni fazione si gioca in maniera specifica e ha regole e obiettivi diversi. Il vagabondo è la fazione (personaggio?) più particolare. Non deve controllare territori, ma risolvere quest per vincere. Deve esplorare la mappa e le rovine presenti. Ha una scala di relazione con le altre fazioni in base a come interagisce con loro. Infine ha un inventario personale e può craftare oggetti utili per i propri viaggi.
Come trasporre tutto questo in un videogioco?
Root è perfetto per creare un action RPG con visuale in terza persona. Ha tutto ciò che gli serve: fazioni, mondo di gioco, possibilità per ruolare, quest, ecc.
Il vagabondo erra per la Woodland
Il giocatore avrebbe il controllo del vagabondo, ovviamente. Dopo la canonica scelta della classe – cosa presente anche nel boardgame – si avventurerebbe nella foresta. La main quest sarebbe molto personale, magari alla ricerca di qualcosa che, pur involontariamente, porrà il personaggio nella battaglia in corso.
Vagabondando tra villaggi, boschi, fiumi e rovine, interagirebbe con i gatti, gli uccelli e i ribelli: le sue scelte e relazioni con le tre potenze modificherebbero le sorti della Woodland. Immancabile il sistema di negozianti, senza moneta di gioco però, solo baratto in conformità al boardgame.
Delle meccaniche leggere di survival e crafting potrebbero accompagnare un combat system action, principalmente all’arma bianca e fortemente basato sulle caratteristiche e lo skill-tree (è pur sempre un RPG).
Invece dell’open world, sarebbe più ideale una mappa per gli spostamenti tra luoghi, simile a quanto visto in Pillars of Eternity o Dragon Age: Origins.
Magari usando il tabellone del gioco originale.
Chi potrebbe realizzarlo?
L’avete pensato anche voi, dai. I CD Projekt balzano subito in mente. Lo studio polacco sa dove mettere la mani quando parliamo di action RPG in terza persona, come nella saga di The Witcher. Come alternativa altrettanto valida, gli Obsidian sono versatili e bravissimi creatori di GDR. Per ultimi gli inXile. Per certi versi simili agli Obsidian, sanno quel che fanno su questo genere di giochi.

The 7th Continent

The 7th Continent
In un misterioso nuovo continente degli avventurieri sventurati, affetti da una maledizione, intraprendono una disperata ricerca per salvare le proprie vite. Ma il Settimo Continente non è posto per umani, è un luogo di pericolo e disperazione.
Lo scopo di The 7th Continent è rompere la maledizione che pende sui personaggi. Per farlo sarà necessario esplorare in lungo ed in largo questa enorme isola. The 7th Continent fa infatti dell’esplorazione e della sopravvivenza le sue componenti principali, oltre ad un alone di mistero totale.
I giocatori otterranno risorse preziose mentre vagano affrontando le temibili creature e le pericolose ambientazioni che li circondano.
Il crafting sarà quasi fondamentale, così come una cooperazione ben studiata. La componente survival è preponderante e perfino i movimenti sono limitati e devono essere ben ponderati.
Il gioco è pensato per essere una lunga avventura narrativa divisa in sessioni: ha infatti una durata dichiarata di oltre 100 minuti, oltre ad un particolare sistema di salvataggio. Particolare per un gioco da tavolo, ovviamente, nell’ambiente videoludico è ormai la norma.
Come trasporre tutto questo in un videogioco?
Balza subito in mente che un action-adventure open-map in terza persona sarebbe l’ideale.
L’isola sarebbe una enorme location divisa in macroaree connesse tra loro; ogni area conterebbe nemici, segreti ed eventi, oltre che oggetti. Quest’ultimi sarebbero importantissimi, poiché non ci sarebbero skill o livelli, solo l’equipaggiamento rafforzerebbe i nostri personaggi. Inoltre, proprio come nel gioco originale, smontare oggetti per costruirne di più utili sarebbe fondamentale.

Il Settimo Continente è un luogo misterioso e pericoloso
Per giovare alla narrazione, all’atmosfera e alla trama – la maledizione da spezzare, ricordate? – sarebbe interessante avere un party e scegliere quale personaggio utilizzare mentre si esplora.
Magari un sistema di fatica limiterebbe il riutilizzo dello stesso personaggio ad oltranza. La rotazione dei personaggi renderebbe l’aspetto
survival anche più interessante, dato che bisognerebbe pensare al gruppo, non solo al singolo.
La componente survival, appunto, non si limiterebbe al semplice mangiare e bere, ma anche al trasporto delle risorse, al crafting, alle meccaniche di utilizzo delle armi e degli oggetti, che dovrebbero dare quell’idea di rozzo, di utensile fatto con materiali di recupero.
La trama sarebbe presente come una linea guida per proseguire ed esplorare. Principalmente il Settimo Continente, con il suo alone di mistero e la pericolosità di ogni suo anfratto, sarebbe il piatto principale.
Chi potrebbe realizzarlo?
Servono esperti di open-map. I più recenti sono i ragazzi di Santa Monica Studio, autori della saga di God of War. Con l’ultimo capitolo hanno realizzato un gioco a macroaree da manuale. Andando verso software house più rodate, Capcom ha da sempre utilizzato questa struttura la sua serie Monster Hunter, ma anche per altre. Inoltre sarebbe interessante vedere un approccio giapponese. Infine, citerei anche Rockstar Games. Si, il gioco non è open world, ma open-map. Tuttavia, con il loro Red Dead Redemption 2, hanno mostrato come si può creare un gameplay simil survival-realistico in un contesto più narrativo, cosa che fa al caso nostro.
E poi
Rockstar non ha realizzato solamente giochi a mondo aperto nei suoi lunghi anni di attività.

Sulle tracce di Marco Polo

Sulle tracce di Marco Polo
Una cosa su cui i boardgame non lesinano sono le ambientazioni particolari. In Marco Polo i giocatori saranno alla guida di una spedizione che li porterà da Venezia a Pechino, seguendo le tracce di Marco Polo, appunto.
Il gioco spinge l’acceleratore sulla componente commerciale, ma non fra giocatori. Sarà infatti necessario comprare e vedere risorse dalle città che si visiteranno durante i pellegrinaggi per l’Asia. Senza dimenticare i cammelli per il viaggio.
Girando per l’Oriente, il vero vincitore non è chi primo arriva a Pechino, ma chi riuscirà a concludere più affari con gli abitanti, il che era poi il vero scopo di Marco Polo. Il viaggio è quindi un meccanismo tematico che fa il suo dovere, rendendo il tutto più convincente e immersivo.
La particolarità del gioco da tavolo è un atipico uso dei dadi, che purtroppo – o per fortuna – è totalmente non replicabile nel medium videoludico.
Come trasporre tutto questo in un videogioco?
Tralasciando quindi i dadi, rimangono due cose: l’Asia del XIII Secolo e l’idea del viaggio commerciale. Entrambe le cose sono talmente poco sfruttate nel mondo dei videogiochi che sembra quasi uno spreco.
Di giochi sui viaggi ne abbiamo avuti, da The Oregon Trail, a The Banner Saga fino al recentissimo Death Stranding. Un gioco su Marco Polo dovrebbe seguire questa scia. Un gioco che sappia mescolare bene gestionale, avventura e maestose ambientazioni come quelle dell’Asia.
La gestione della carovana sarebbe fondamentale, così come le varie scelte sulla modalità del viaggio, quali risorse vendere o comprare, come gestire gli imprevisti durante il viaggio, ad esempio un terreno accidentato o condizioni ambientali avverse. Infine la contrattazione con le città che si incontrerebbero durante il viaggio, per aprire nuove vie commerciali, seguendo le tracce del mercante veneziano. Un plus non da poco sarebbe l’ambientazione quasi mai utilizzata: sarebbe infatti veramente intrigante vedere l’Oriente del 1200 e respirare quelle atmosfere mentre lo si attraversa.
Un meccanismo online per commerciare con altri giocatori durante il viaggio, simile alle meccaniche di condivisione del già citato Death Stranding, sarebbe davvero interessante.
Chi potrebbe realizzarlo?
Visto che l’abbiamo citata ben due volte, Kojima Production potrebbe essere una scelta, anche se, in effetti, Hideo Kojima non è tipo da creare giochi su idea di qualcun’altro. Un’altra possibile software house è la Blu Byte, molto esperti di gestionali di stampo più classico, come la serie Anno. C’è da considerare che loro sono interni ad Ubisoft, che di ricostruzioni storiche se ne intende. Sarebbe interessante vedere una sinergia per realizzare un progetto simile. Ci starebbero bene anche gli Stoic Studio, creatori di The Banner Saga. Potrebbero realizzare un titolo più incentrato sulla carovana, ma con lo stesso stile di gameplay, combattimenti a parte.
Finisce qui il nostro viaggio di sogni e speranze. Di nuovo. Abbiamo dato un’occhiata ai commenti del sito e purtroppo nessuna software ci house ha scritto per dirci che sarebbe una bella idea realizzare questi giochi. Magari stavolta avremo più fortuna ed entro un paio d’anni gusteremo uno di questi videogiochi, così come già ne godiamo sui nostri tavoli.
No, probabilmente non succederà.
 
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