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Tutto chiede salvezza: una trasposizione

Prima di diventare l’omonima Serie Tv prodotta da Netflix, Tutto chiede salvezza è stato un romanzo, scritto da Daniele Mencarelli, il quale ha partecipato anche al riadattamento per il pubblico televisivo.

La serie, articolata in sette episodi, racconta la settimana che il protagonista ha trascorso nel reparto psichiatrico di un ospedale in regime di T.S.O (trattamento sanitario obbligatorio) a seguito di un’esplosione di rabbia molto violenta, acutizzata dall’uso massiccio di droga e alcool. L’arte trae spesso ispirazione dal mondo sommerso dell’animo umano, ma quando termini come “depresso” o “bipolare” si svestono della loro accezione di semplice aggettivo, barbaramente abusato nel linguaggio colloquiale, per diventare vere e proprie patologie, la rappresentazione assume anche una valenza sociale oltre a quelle connaturate al concetto stesso di opera d’arte.

Daniele Mencarelli, autore di Tutto chiede salvezza

Nel caso di Tutto chiede salvezza, alla responsabilità del portare sullo schermo una storia di profondo disagio, si aggiunge l’ispirazione autobiografica dell’opera prima che mette non pochi paletti narrativi nella fase di stesura. La soluzione adottata dagli sceneggiatori è stata quella di affidarsi a una libera interpretazione: così facendo, è stato possibile garantirsi un maggiore spazio di manovra senza però rischiare di snaturare il racconto originario e adattarlo quanto basta alle papille gustative dell’algoritmo.

Nel corso di questo articolo, quindi, non ci limiteremo a fare la spola tra mondo letterario e linguaggio televisivo per capire la validità dell’adattamento di Tutto chiede salvezza, ma cercheremo di capire come e se questa produzione sia riuscita a raccontare la follia che affila le penne dei poeti e che striscia, fetida, tra le corsie di un ospedale.

[DISCLAIMER: seguono SPOILER di Tutto chiede salvezza]

La nave dei pazzi

Se quello di Gregor Samsa ne La metamorfosi di Franz Kafka non è stato proprio un bel risveglio, quello di Daniele è forse ancora più spaventoso. Lo spettatore, infatti, trova il protagonista ammanettato a un letto di ospedale, con un tizio che cerca di dare fuoco alle lenzuola mentre piange dicendo di aver perduto l’anima e un infermiere che spegne le fiamme mentre fa gli onori di casa. Sarà solamente durante il primo colloquio con il medico che Daniele scoprirà di essere ospite di una struttura psichiatrica e, soprattutto, che non gli è concesso scegliere se rimanere oppure no.

La narrazione, in questa prima fase, è tutta incentrata sulla reazione di Daniele e sul suo difficoltoso adattamento alla nuova situazione. Lui si sente diverso dagli altri pazienti che riempiono i letti della stanza e li osserva come si fa con gli animali allo zoo: con un misto di curiosità, paura e commiserazione. Qualcosa cambia nel momento in cui arriva la rassegnazione: Daniele dovrà passare una settimana in quel luogo.

È nella coralità, che permea l’opera, che questi giorni di reclusione vengono raccontati, per poi tornare, nel finale, a Daniele e ai suoi mostri rasserenati. Forse.
Attraverso gli sguardi, quello sofferente di Mario, quello terrorizzato di Madonnina e quello affamato di Gianluca, Daniele scopre che in qualche assurdo modo le persone che soffrono si somigliano tutte. Dietro parole spaventose come Depressione Maggiore o Bipolarismo ci sono storie di persone come lui, di figli, di fame d’amore e di un dolore che non trova parole per essere raccontato.

Il diavolo veste Prada, il dolore veste flanella.

Tutto chiede salvezza, pur non essendo una serie medical drama, presenta alcune caratteristiche tipiche del genere. La più importante è naturalmente quella di trasformare l’ospedale in un microcosmo articolato, seguita dalla rappresentazione soggettiva della patologia e dall’incastro emotivo tra medico e paziente.
Nel corso della narrazione i confini tracciati da queste somiglianze vengono schiacciati dal peso emotivo delle vicende narrate e il lato prettamente clinico diventa accessorio. Ed è proprio in questo cambio di passo che la serie si stacca dallo spauracchio dell’ennesimo medical drama e trova la sua connotazione in un genere diverso.

Questa operazione di individualizzazione, unita alla presenza di soluzioni narrative decisamente catchy, come quella di alternare continuamente momenti drammatici a episodi di una leggerezza ad alto contenuto di banalità, non solo permette allo spettatore di creare una connessione con i personaggi, favorendo la riflessione personale, ma allarga esponenzialmente la platea dei potenziali utenti, stratificando la comprensione dell’opera.

È tutta una questione di quando

Si parlava di valenza sociale del messaggio, giusto? Ebbene, tra i numerosi cambiamenti adottati in fase di trasposizione televisiva, la produzione ha deciso di ambientare le vicende ai giorni nostri. Nella versione letteraria di Tutto chiede salvezza, invece, la storia si svolge durante l’estate dei Mondiali di Calcio del 1994. Si, esatto, quando Baggio ha sbagliato il rigore.

Ora, è vero che la reinterpretazione in fase di “trasloco” sia scontata (se non necessaria), ma questo non vuol dire che non presenti delle criticità. Nonostante, infatti, sia assolutamente vero (come ha detto qui il nostro Agostino), che da relativamente poco tempo si parla di disagio psichico, è altrettanto vero che siamo bombardati da informazioni spesso errate, che rimbalzano di social in social per finire nei reel di uno zelante guru con i capelli piastrati.

La scelta di adattare le storie nel presente attuale risulta essere la modifica più sostanziale e sicuramente fa parte del make-over per il grande pubblico ma, di contro, disinnesca totalmente la valenza sociale del messaggio originario. Mettere, infatti, nero su bianco, la storia di un ragazzo bipolare e omosessuale, o quella di un insegnante che attenta alla vita di sua moglie e di sua figlia, nel 1994 generava un rumore incredibile. Oggi, invece, è quasi materiale da becero talk show.

Anche  Miloš Forman deve aver passato un brutto quarto d’ora quando, nella seconda metà degli anni Settanta, ha deciso di mettere su pellicola il lavoro di Ken Kesey “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, e grazie a un riadattamento più misurato è riuscito non solo a rispettare la potenza del messaggio originario, ma anche a farlo risuonare nel mondo con tutta la sua ferocia.

Qualcuno volò sul nido del cuculo – foto di famiglia.

Dopo riflessioni e confronti possiamo dire che sì, in Tutto chiede salvezza ci sono sicuramente volontà e coraggio nel raccontare storie “scomode” ma, spogliato dell’innegabile impatto emotivo, rimane la sensazione che il vero senso si sia perso per strada, tra un riadattamento e l’altro.

Sal-véz-za

Dall’alto, dalla punta estrema dell’universo, passando per il cranio e giù fino ai talloni, alla velocità della luce, e oltre, attraverso ogni atomo di materia. Tutto mi chiede salvezza. Per i vivi e i morti, salvezza.

Da “Tutto chiede salvezza”, Episodio 7.

Alla fine dei sette giorni, non c’è solo la mamma ad aspettare Daniele fuori dall’ospedale, ma anche il funerale di Mario. È proprio in questo momento, con un colpo di coda da lacrimoni e grandi riflessioni, che la storia recitata rende finalmente giustizia al tema che tratta.

Le parole pronunciate da Daniele, interpretato da Federico Cesari, raccontano come il dolore, al pari dell’acqua, prenda tutto lo spazio disponibile: per questo tipo di dolore non c’è bisogno solamente delle cure o delle medicine, ma di salvezza. Non si fa riferimento al significato nascosto del termine ma suona come una sorta di dichiarazione di intenti per il protagonista, e alla libera interpretazione del pubblico.

Nel corso di questa riflessione abbiamo visto come ancora oggi ci sia bisogno di raccontare storie del genere, ma anche come, in fase di rielaborazione, la rappresentazione influisca sul peso specifico del messaggio. Quello che rimane è uno spiraglio aperto su un mondo complesso, pieno di domande per chi ci sbircia dentro e forse pure di materiale per una seconda stagione.

SL