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Birra e videogiochi, figli di un dio minore?

Quando, nel 1986, Teo Musso, a soli 22 anni, aprì nel suo paesino nel cuneese la birreria Le Baladin1, stava essenzialmente compiendo un gesto di estrema ribellione. Provenendo da una famiglia di viticoltori, come da tradizione delle Langhe, il suo darsi alla birra era l’ennesimo atto di un ragazzo inquieto e “difficile” che, prima di trovare questa strada così perfetta per abbinare sogno e rivolta, era addirittura fuggito con un circo francese itinerante.

Musso non si accontenterà della follia di aprire una cattedrale della birra nella terra santa del vino. La passione che lo muove è autentica e travalica il solo desiderio di rivalsa sociale: partito per il Belgio per impararne la secolare arte brassicola, al suo ritorno nel 1996 trasforma la birreria in un brewpub2 e, col tempo, in un birrificio a tutto tondo, finendo per diventare insieme a pochissimi altri un vero e proprio pioniere dell’artigianalità della birra in Italia, campo prima dominato unicamente dai grandi produttori industriali.

Teo mentre mostra le sue creazioni. Nato come piccolo birrificio locale, oggi il Baladin ha una gamma piuttosto vasta

La storia di Teo Musso3, ricchissima di dettagli surreali scaturiti dalla sua personalità più che istrionica, ha un parallelo con il mondo dei videogiochi piuttosto evidente, perlomeno in relazione a come birra e videogiochi vengono concepiti in Italia (e forse non solo). La battaglia per l’emancipazione della birra dal vino, per la legittimazione di un prodotto che, nonostante le sue profonde sfaccettature e la sua ricchezza comunicativa, viene aprioristicamente definito come inferiore, ricorda da vicino quella quotidianità ben conosciuta dagli appassionati di videogiochi, che spesso vedono sminuito il medium, il più delle volte identificato come una infantile deviazione dalla più rispettabile arte cinematografica.

Il “tempio Baladin”: una enorme scatola di cartone

Ma è davvero così? Birra e videogiochi sono davvero figli di un dio minore, fratellastri di vino e cinema? Ci permettiamo di rispondere no, naturalmente no. E se è vero che la birra ha già fatto grandi passi nel suo percorso di riconoscimento pubblico, restiamo nell’attesa che un “Teo Musso dei videogiochi” apra la strada ad una rivoluzione culturale anche in quest’ambito, nel nostro Paese.

Nel mentre, ci permettiamo di raccontare i legami fra birra e videogiochi con qualche esempio concreto, per mettere in luce la ricchezza di entrambi e vincere i dubbi sulla loro rilevanza culturale.

Malanima, Birrificio Retorto, Barley Wine– Immortality, Sam Barlow

Il piccolo birrificio emiliano Retorto produce la Malanima prendendo un altro suo Barley Wine, la Malalingua, e affinandola per 12 mesi ulteriori in botti precedentemente utilizzate per l’invecchiamento del Vin Santo. Il Barley Wine (letteralmente “vino d’orzo”) è già di per sé una birra atipica, caratterizzata da una gradazione alcolica molto elevata e, tipicamente, da un lungo periodo di invecchiamento molto raro nel mondo brassicolo; caratteristiche che tendono ad accomunarlo per certi versi ad un vino. La Malanima rafforza queste somiglianze prendendo in prestito le caratteristiche del Vin Santo, aggiungendo quindi al corpo fortemente maltato e ai dolci aromi di caramello, biscotto e frutta secca anche sentori più propriamente vinosi, di passito, legno, ciliegia.

Una birra estremamente complessa, da meditazione, che i meno attenti potrebbero addirittura rifiutare di catalogare come birra. È qui dunque il legame con Immortality: l’ultimo titolo di Sam Barlow è la più platealmente cinematografica delle sue opere, in un catalogo di titoli che già molti potrebbero non riconoscere come videogiochi. Prendendo in prestito le strutture e le categorie del cinema, Immortality crea un ponte fra i due mondi, richiama il “fratello maggiore”, nella forma e nel contenuto, pur mantenendo la sua indipendenza creativa. Il cinema è il Vin Santo che invade Immortality, e addirittura i temi soprannaturali (in parte luciferini) del videogioco non fanno che specchiarsi nel nome della birra.

Un potente Barley Wine stempererà l’inquietudine che ogni fotogramma di Immortality mira a trasmettere

Due esperienze meditative, potenti, corpose, da prendere a piccoli sorsi e che resteranno a lungo nella mente, nel cuore e nel palato. Su Pop-Eye ve ne abbiamo parlato estensivamente in questo articolo.

Oyster Stout, Porterhouse, Oyster Stout – Dishonored, Arkane Studios

La Porter, ancor più nota con il nome di Stout4, nasce a Londra nel XVIII secolo, e le sue origini così lontane sono probabilmente almeno in parte leggendarie5. Il racconto più comune e intrigante ci parla di un mastro birraio che decise di realizzare, direttamente nel suo birrificio, un blend di tre birre differenti6. Ognuna delle tre diverse Ale aveva un diverso invecchiamento, creando una mistura che riscosse immediatamente enorme successo. Il gusto forte e deciso, insieme al profilo energetico, fecero diffondere la Porter nelle fasce più umili della popolazione, come gli uomini di fatica. Facchini, scaricatori, e altri lavoratori che frequentavano pub attendendo di essere assunti alla giornata: proprio quei porters da cui la birra prese il nome.7

Col tempo, Porter e Stout si sono radicalmente trasformate. Oggi, avendo cessato di essere blend di birre diverse, sono tutte Ale dal colore molto scuro, dato dai malti fortemente tostati che garantiscono i classici aromi di caffè, cioccolato e liquirizia. Nonostante i connotati piuttosto netti della categoria, il cui esempio più noto è certamente la famosissima Guinness, il numero di varietà di Porter/Stout è molto consistente, e tutte lavorano su questa base di gusti torrefatti per costruire esperienze gustative sensibilmente diverse.

Dry Stout irlandesi, Chocolate e Coffee Stout con aggiunta di cioccolato/caffè in fase di fermentazione, Oatmeal Stout con fiocchi d’avena, Milk Stout addolcite con aggiunta di lattosio, Russian Imperial Stout di gradazione più elevata, e infine la vera perla, la Oyster Stout, con aggiunta di vere ostriche8, che donano una punta di sapidità e di mineralità straordinaria e ricorda uno degli abbinamenti più antichi (e forse sorprendenti) di tutte le isole britanniche: quello di ostriche e Stout, particolarmente diffuso fra gli scaricatori dei pescherecci delle coste irlandesi.

Al Temple Bar Pub di Dublino l’accoppiata ostriche/Guinnes viene celebrata già in vetrina

I legami con Dishonored dovrebbero essere facili da individuare, per gli appassionati del capolavoro Arkane. Da un lato il setting: una Dunwall che, pur divorata da un morbo pestilenziale, è evidentemente modellata sulla Londra vittoriana. Nei vicoli oscuri, nelle zone portuali, nelle periferie lontane dalle feste dei nobili, i veri alleati e gli unici a rimanere fedeli al protagonista fino alla fine saranno proprio i porters, i duri e semplici lavoratori che, non per caso, hanno proprio un pub, lo splendido Hound Pits, come loro base operativa. Un’atmosfera strabordante fatica e sofferenza delle classi disagiate, dura come l’acqua necessaria alla produzione della Porter.9

Il secondo punto di contatto con il mondo delle Stout ha a che fare con la vasta differenziazione di approcci che Arkane ha pensato per il suo titolo. La veste di action in prima persona di Dishonored potrà essere declinata dal giocatore secondo una molteplicità di possibilità, dettate sia dalla volontà del giocatore, il quale è nella posizione di alternare approcci più silenziosi, stealth, ad altri più feroci e letali, che dalla varietà dei poteri sbloccabili, capaci di assecondare la strategia dei giocatori, trasformandoli in ombre impossibili da percepire o in spaventosi devastatori.

Il parallelo con le Porter/Stout diventa quindi chiaro: la base di malti molto tostati, comune a tutte le birre dello stile, può assumere significative variazioni garantendo una sorprendente profondità al genere, con una ampissima estensione di sapori che va dal dolce delle Milk fino all’amaro delle Coffee, passando per la punta di sapidità delle Oyster. L’abbinamento consigliato è proprio con la Oyster Stout del birrificio Porterhouse, che produce il più noto esemplare della categoria10, un vero e proprio unicum per la loro rarità e il loro gusto indimenticabile, che in Dishonored si specchia in un livello qualitativo eccelso, la cui punta di sapidità sta nel magistrale level design. Una vera perla.11

All’Hound Pits Pub si pianificano assassinii davanti ad una bella pinta di Ale. Non sarà una Stout, ma ci basta.

Lime Josè, Gose, Pühaste Brewery – Disco Elysium, ZA/UM

La Gose è un’antica birra tedesca dalla ricchissima tradizione e dal gusto atipico. Nata probabilmente durante il XIII secolo nella piccola città mineraria di Goslar, da cui prende il nome, riscosse particolare successo a Lipsia, nei cui birrifici venne prodotta per secoli. Quasi scomparsa durante il Novecento, tornò in auge grazie alla sua riscoperta da parte di una manciata di birrerie della stessa Lipsia, prima di essere ripresa con ardore, proprio per la sua particolarità, dai birrifici artigianali di tutto il mondo negli ultimi anni. Leggermente acida per via dell’aggiunta del lactobacillus, prodotta con una percentuale consistente di malto di frumento,12 oltre che d’orzo, e soprattutto arricchita da coriandolo e sale, di certo non è la più tipica13 delle birre che potreste bere, ma è quasi certamente più antica e (forse) autentica.

Per Disco Elysium, la specifica Gose scelta per l’abbinamento è la “Lime Josè”, prodotta da un birrificio, l’Estone Pühaste, emerso repentinamente e sorprendentemente sulla scena della birra artigianale. I gusti tipici della Gose sono tutti amabilmente presenti, ed è in più arricchita da peperoncino e lime. Acidità più spiccata che nelle altre del genere, è introdotta sia al naso che in bocca da del freschissimo lime, prima dell’arrivo in coda del peperoncino, pungente ma nient’affatto fastidioso, che insieme ai leggerissimi toni amari e alla percepibile salinità quasi obbliga ad un nuovo sorso immediato. La bassa gradazione supporta generose bevute, e anche se la complessa combinazione di acido, sapido e peperoncino la rendono una birra complicata e non adatta ai palati di tutti, se avrete la pazienza di comprenderla vi regalerà copiose soddisfazioni.

Non potrebbe esserci birra più adatta per Disco Elysium che questa Lime Josè. Un primissimo punto di contatto lo abbiamo già nella patria delle due creazioni, la piccola e misconosciuta Estonia, dalle cui terre è piuttosto raro ci giungano prodotti tipici. È difficile dire se un particolare spirito estone condiviso sia alla base tanto della Lime Josè quanto di Disco Elysium; quello che invece possiamo osservare è un certo numero di altri paralleli. Come la Lime José rispetto alla Gose, Disco Elysium muove i suoi passi a partire da un genere, quello dell’RPG, dalle origini estremamente antiche nel contesto videoludico. Di fatto, il gioco di ruolo preesiste il medium stesso, che se ne è semplicemente fatto casa, adattandolo alle proprie peculiarità.14

L’alcohol ha un ruolo fondamentale lungo tutto Disco Elysium. Una sana birra vi garantirà un bel +1 agli attributi fisici, ma danneggerà il morale.

I tratti tipici dell’RPG sono tutti presenti, in Disco Elysum, e sono stati edificati con finezza insospettabile, soprattutto considerando che parliamo di un titolo la cui messa in opera è avvenuta grazie a dei perfetti sconosciuti all’industria, se non addirittura estranei alla stessa15. Dice roll e skill check sono l’architrave del titolo, sorretto, ça va sans dire, dalla maestosa narrazione. Gli elementi classici sono, insomma, realizzati ad arte, perfettamente innestati negli standard del genere, tanto da essere amati in primo luogo dai puristi.

Eppure Disco Elysium non si accontenta: alla sapidità perfettamente bilanciata dell’RPG aggiunge l’impensato: ingredienti lontani, difficili, insospettabili. Mai gioco è stato così politico, innanzitutto. È questo il peperoncino, l’inatteso. Addirittura, il ruolismo si declina in ampia misura nella identificazione con ideologie politiche, che plasmeranno il nostro personaggio, le sue “abilità speciali”, le sue opzioni di dialogo.

Se la politica è il peperoncino, Disco Elysium aggiunge anche un freschissimo lime: sono gli interlocutori del protagonista. Non si tratta (solo) di NPC ma anche e soprattutto di voci interiori, la personificazione introiettata delle skill del protagonista, come la retorica, la resistenza, l’autorità ed uno svariato numero di altre caratteristiche più complesse da descrivere in breve. Ecco, ognuna delle skill parlerà ripetutamente con il giocatore, e tutte mostreranno il proprio punto di vista sempre orchestrate da una scrittura di qualità surreale. La scrittura, l’arma segreta di Disco Elysium che vi costringerà, dopo un sorso, a prenderne subito un altro.

È impossibile racchiudere in un pezzo come questo tutta la clamorosità del gioco; abbiamo già provato a raccontarlo qui e qui. Se non lo avete ancora approcciato, o se voleste riprenderlo, il suggerimento è quello di dotarvi di ingenti quantità di Lime Josè. Viste le abitudini di Harrier du Bois (il protagonista, vostro alter ego digitale), non farete altro che aumentare l’immersione nel titolo.

American Magut, Birrificio Lambrate, West Coast Pilsner – Super Mario Odyssey, Nintendo

Il Birrificio Lambrate è, come il Baladin citato in apertura, un altro dei pionieri della birra artigianale italiana. Fondato nel 1996 nell’omonimo quartiere milanese, ha sempre cercato di trasmettere le proprie radici meneghine nella produzione delle sue birre, che tutt’oggi rappresentano un importante punto di riferimento nello scenario nazionale. La produzione di birra, rispetto al vino, è ontologicamente meno legata al territorio16; il Lambrate allora esplicita il richiamo alla città di Milano soprattutto concettualmente, nel pensiero sottostante alle scelte di produzione.  

Gianpaolo Sangiorgi, uno dei fondatori del Lambrate, insieme alle sue spine. Con Teo Musso, hanno messo l’Italia sulle cartine della birra artigianale

È questo il caso della American Magut, una originalissima Pilsner ibridata dalla luppolatura tipica della west coast degli USA. La Pilsner è uno degli stili birrai più noti, se non il più noto in assoluto. Nato a Plzeň, nell’odierna Repubblica Ceca, fu creata nel 1842 da un mastro birraio tedesco che utilizzò le native ricette bavaresi17 unitamente a ingredienti locali, come i dolci malti moravi poco tostati, il nobile luppolo Saaz e l’acqua della zona, fra le più morbide18 del mondo, che rende la Pilsner una birra di facilissima beva.

La Pilsner, con il suo amaro perfettamente bilanciato, la facilità di bevuta e la piacevole luppolatura, ebbe una immediata diffusione continentale prima e globale in seguito, fino a diventare la pietra di paragone, il mattoncino di base del mondo brassicolo anche a livello industriale. È soprattutto alle Pilsner boeme che si ispirano, almeno a livello ideale, la stragrande maggioranza delle bionde da scaffale, prodotte dai grandi marchi commerciali.

Tutt’oggi, il primo birrificio a produrre una Pilsner continua la produzione con il famosissimo nome di Pilsner Urquell (letteralmente “Pilsner originale”, in ceco). Sfortunatamente sono però di proprietà giapponese

È questo il richiamo al magut [pronunciato magùt] presente nel nome della birra. Il magut, infatti, in milanese identifica il carpentiere, il muratore, l’operaio di base. Il termine, come la Pilsner, dovrebbe però avere un’origine nobile, e derivare addirittura dai registri della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano. Per registrare le maestranze al lavoro sulla Cattedrale, infatti, tutti i carpentieri successivi al primo dell’elenco (indicato come magister carpentarius) venivano indicati come “mag.ut”, dove “ut” assumeva il significato di “come sopra”.19

Se quindi il magut rappresenta l’universalità della Pilsner, l’abbondante luppolatura di ispirazione americana, sia in bollitura che in dry hopping20, aggiunge forti aromi tropicali e agrumati inaspettati, tipici delle Indian Pale Ale statunitensi, e valgono l’altra metà del nome.

L’accostamento di questa birra a Super Mario Odyssey, ma fondamentalmente a qualsiasi Super Mario, ha più di una ragione. La prima è che lui, Super Mario, è davvero un “american magut”, un operaio21 italo-americano22 di fama mondiale. Oltre questo livello superficiale, però, Super Mario davvero porta con sé il gioco di contrasti alla base della birra del Lambrate.

Mario, in tenuta da magut, mentre “vuò fa’ l’americano” in giro per una città palesemente ispirata a New York.

Della Pilsner ha in primo luogo l’universalità e l’importanza storica. Super Mario è con ogni probabilità il personaggio videoludico più noto di ogni tempo, e nelle sue molte vite è stato costantemente una pietra di paragone per gli altri titoli, settando gli standard tanto del gaming 2D prima quanto di quello 3D poi e, col suo successo, lastricando la strada alla diffusione delle console casalinghe. È difficile pensare al mondo videoludico odierno prescindendo dal contributo della mascotte Nintendo, esattamente come è impensabile dimenticarsi delle Pilsner ragionando sul mercato mondiale della birra.

Mario non è però solo Pilsner: anche oggi, coi suoi titoli più recenti, Super Mario non smette di rinvigorirsi e stupire. Sopra un saldissimo corpo tradizionale, Super Mario Odyssey mette in campo tratti distintivi imprevedibili, come già i Galaxy prima di esso. È questa la luppolatura sorprendente, che va a costruire sulle fondamenta del platform puro. Il level design è la prima fonte di meraviglia, capace di mischiare ambientazioni e stili diversi senza soluzione di continuità, nascondendo segreti e ricompense in ogni angolo. La pulizia dei controlli, le variazioni sul tema del platforming, regalate dall’alternanza delle trasformazioni possibili nel gioco, sono gli ultimi regali aggiunti in dry hopping.

Così, oggi come ormai più di quarant’anni fa, Super Mario riesce ad essere giovane, frizzante, beverino. Super Mario diverte, una parola di cui non ci si può vergognare, in questo costante portare a nuovo una storia di cui tutti sono debitori.

Westvleteren 12, Birrificio Westvleteren, Strong Dark Ale – Elden Ring, FromSoftware

Fra gli appassionati, il mondo dei birrifici trappisti gode di estrema popolarità e connotati ai limiti del leggendario. L’ordine trappista nacque alla fine del XVII secolo per separazione dall’ordine cistercense, nel tentativo di riformarne la regola che aveva subito un processo di rilassamento ritenuto inopportuno dall’abate Armand Jean Le Bouthillier de Rancé.23

La produzione di birra da parte di monasteri cattolici ha radici molto antiche, che precedono l’esistenza stessa dell’ordine trappista. Come più in generale per tutta la cultura europea, i monaci ebbero un ruolo fondamentale nella conservazione, studio ed evoluzione della birra, tanto che ad una monaca, Santa Ildegarda di Bingen24 si deve il primo vero studio sull’impiego del luppolo nella sua produzione.

Santa Ildegarda di Bingen, ritratta in questa miniatura intenta a descrivere le proprietà naturali di una serie di piante, fra cui il luppolo.

Quello che però distingue le birre trappiste dalle altre birre d’abbazia tutt’ora prodotte è che si sono dotate di un organismo di controllo, l’International Trappist Association, che certifica univocamente l’intero processo produttivo delle birre che portano il loro marchio. Non basta quindi che un prodotto venga realizzato da monaci, ma è necessario che rispettino tre regole fondamentali: tutti i prodotti devono essere realizzati nelle immediate vicinanze dell’abbazia; la produzione deve avvenire sotto la supervisione dei monaci o delle monache; i profitti devono essere destinati ai bisogni della comunità monastica, a scopi di solidarietà all’interno dell’Ordine Trappista, o a progetti di sviluppo e opere di carità.

Le tredici abbazie che possono oggi esporre il prestigioso marchio25 (fra cui la più famosa è probabilmente l’Abbazia di Scourmont, che produce la Chimay) hanno quindi un processo produttivo completamente integrato nella loro vita monastica, a differenza delle altre birre d’abbazia che, spesso, sono state assorbite dal mondo industriale.

La cosa è particolarmente vera per le birre Westvleteren, che fra tutte le trappiste è quella che detiene in assoluto la miglior fama. Il piccolo birrificio all’interno dell’Abbazia di San Sisto, in Belgio, mantiene regole produttive estremamente rigide finalizzate a mantenere intatta la quotidianità dei monaci, fatta di lavoro e preghiera26. Questo si traduce anche nella assoluta difficoltà di approvvigionamento. Fino a gennaio 2022 per poter acquistare delle casse di birra era necessario prenotare con mesi di anticipo, inviando copia della propria identità e il numero di targa con cui ci si sarebbe recati a ritirare quanto prenotato. In seguito, sarebbe stato vietato acquistare altre casse per mesi. Il processo è stato oggi leggermente snellito, ma presenta ancora molte limitazioni.

Il birrificio produce tre sole tipologie di birra, e la più pregiata è la Westvleteren 1227, una corposa Strong Dark Ale da 10% che rappresenta al meglio il mondo brassicolo belga.28 Una birra scura, torrefatta, complessa, con importanti note di caramello e cioccolato all’assaggio splendidamente accompagnate da aromi di prugna e frutta secca. Nell’insieme, una birra dal gusto pieno e molto persistente dopo la bevuta. Una Ale davvero eccezionale, che campeggia da sempre in cima alle liste delle birre con la più alta valutazione sui portali specializzati.

Ma è davvero la migliore birra del mondo? Per quanto sia già di per sé impossibile trovare un’unica birra superiore a tutte le altre, una volta depurata dalle sue caratteristiche mitologiche, alimentate anche dalla difficoltà da superare per acquistarla, la 12 risulta indubitabilmente una birra straordinaria ma non superiore ad altre trappiste, come la molto simile Rochefort 10. Eppure, fra i birrofili amatoriali, la Westvleteren 12 mantiene un’aurea mistica di superiorità, e rappresenta una sorta di mostro sacro da affrontare necessariamente per risultare credibili agli occhi della community.

Quali sono dunque i paralleli con Elden Ring? Un primissimo punto di contatto sono le atmosfere del titolo, che si rifanno al tardo medioevo gotico e che ben si sposano con il periodo di maggior rilevanza degli ordini monastici europei. L’oscuro e derelitto setting si specchia poi nella scura torbidità della birra, data dalla forte tostatura dei malti. I paralleli continuano anche al gusto: la Westvleteren 12 è, come detto, una birra eccezionale, estremamente complessa e strutturata, ricchissima e con una forte componente alcolica. Niente di meglio per accompagnare Elden Ring, un gioco altrettanto ricco e complesso, con le stesse caratteristiche assuefacenti.

Il monastero trappista di Orval non avrebbe forse sfigurato, all’interno delle architetture di Elden Ring

Se avete seguito il discorso, avrete già capito dove stiamo andando a parare con il prossimo punto di contatto. Senza negare le immense qualità di Elden Ring, intorno al gioco (e intorno a tutta la produzione FromSoftware) gravitano attenzioni che ricordano le più deteriori concezioni assolutistiche sulla qualità della Westvleteren 12. Il mito di Elden Ring è anch’esso alimentato spropositatamente dalla sua difficoltà, dall’ossessione malsana per il “gitgud”, e attorno al titolo è finita per crearsi una patina di intoccabilità che trascende i pur immensi meriti del soulslike open world. Non diversamente che per la 12, Elden Ring viene tacciato di essere perfetto e rivoluzionario29, tanto che non è così semplice trovare traccia di legittime critiche ad alcuni problemi tradizionali delle produzioni FromSoftware che di nuovo si ripresentano in esso, non fosse altro che per i terribili menù di gioco.

Sottolineare questi aspetti dovrebbe essere legittima operazione di critica, e non costituire ragione sufficiente ad essere estromessi dal consesso civile. Eppure, provate a dare tre stelle alla Westvleteren 12 su Beeradvocate.

Sapevate che i lieviti, necessari alla fermentazione della birra, sono effettivamente funghi? Ora lo sapete.

In conclusione

Nel parlare di birra e videogiochi, l’obiettivo è stato semplicemente uno. Esiste tanta storia, tanta creatività e tantissima capacità espressiva che circonda due mondi spesso bistrattati, messi in un angolo, denigrati. Inoltre, in un contesto sociale in cui la digitalizzazione continua nella sua strisciante opera di sostituzione della realtà30, realizzare un trait d’union fra due categorie che ben rappresentano questi estremi sembra certamente un’opera meritevole.

Naturalmente non vogliamo avere la pretesa che i paralleli qui tracciati vengano presi letteralmente, quanto piuttosto sottolineare come è facile trovare affinità fra opere di reale ingegno e valore culturale.
Sempre nell’attesa che qualche pioniere apra la strada per una rivoluzione nell’ambito videoludico, come Teo Musso ha iniziato a fare in quello brassicolo.

FSF


1 “Il saltimbanco” o “il cantastorie”, in francese arcaico.

2 Un brewpub è un pub che abbina la produzione di birra in proprio al solo servizio di birre esterne.

3 Per approfondimenti sulla storia di Teo Musso e il suo impatto sul mondo birra, si consiglia “Baladin: La birra artigianale è tutta colpa di Teo”, di M.Drago e T.Musso.

4 In origine Porter e Stout indicavano effettivamente due birre separate, ma ad oggi non presentano sostanziali differenze, se non una gradazione media leggermente più alta nelle Stout.

5 Come, peraltro, quasi tutte le pittoresche origin story del mondo dell’alimentazione.

6 La novità non sta tanto nel mix di birre differenti, quanto nel fatto che questo venisse fatto direttamente in birrificio. Mischiare birre da diverse botti era pratica comune nei pub britannici, tanto per venire incontro ai gusti dei diversi clienti quando per non sprecare il contenuto di botti di birre troppo invecchiate.

7 Per approfondimenti ulteriori sulla storia della Porter, si consiglia di consultare The Oxford Companion to Beer.

8 A volte con ostriche intere, altre volte con estratti, concentrati, gusci o anche solo alghe.

9 La “durezza” dell’acqua dipende dal suo contenuto di sali. Le Porter/Stout richiedono un’acqua molto dura, in modo particolare per il livello di bicarbonati che impediscono al ph di scendere sotto il livello minimo, spinto dai malti molto tostati. Per approfondire, si consiglia “Water: A Comprehensive Guide for Brewers”, di J.Palmer.

10 In Italia, per un breve periodo è stata prodotta la “Perle ai Porci”, del birrificio Birra del Borgo, ma è purtroppo ormai fuori produzione.

11 Le ostriche, le perle: bella questa.

12 Come per esempio la più notaWeiss.

13 I suoi ingredienti la escludono di fatto dal Reinheitsgebot, il famoso “editto di purezza” promulgato da Guglielmo IV di Baviera nel 1516 e che limitava gli ingredienti con i quali una birra poteva essere realizzata ai soli malto, luppolo ed acqua. Sopravvisse, probabilmente, in quanto considerata varietà regionale.

14 Per approfondimenti, vedasi Dungeons and Desktops: The History of Computer Role-Playing Games, di M.Barton. L’autore traccia l’origine dei videogiochi RPG fino ai Kriegspiel, giochi di ruolo in uso fra i militari prussiani all’inizio del XIX secolo.

15 Apparentemente, l’anima di ZA/UM era talmente estranea all’industria che ne è già stata sputata fuori.

16 Si pensi all’importanza delle condizioni climatiche e della composizione del terreno di coltivazione delle viti. Il concetto del terroir è invece molto meno rilevante nel mondo brassicolo, nel quale ogni ricetta è replicabile a qualsiasi latitudine (o quasi).

17 Forse la principale differenza rispetto alle birre allora prodotte nella regione è l’utilizzo di lieviti a bassa fermentazione, propri delle lager tedesche, rispetto ai lieviti ad alta fermentazione, oggi poco utilizzati in Repubblica Ceca ma tipici delle ale britanniche e belghe.

18 Vedere nota 9.

19 Un’altra ipotesi sull’origine del termine lo fa invece risalire al termine germanico magat (“ragazzo”), ma non lasceremo certo che una possibile verità alternativa rovini una storia così affascinante.

20 Il luppolo aggiunto al principio della fase di bollitura della birra ha un effetto principalmente amaricante, mentre l’aggiunta al termine della bollitura (il dry hopping) è tipicamente impiegata per conferire aroma.

21 Vale la pena ricordare che, prima di diventare universalmente noto come idraulico, Mario era stato pensato per essere un carpentiere, come riscontrabile nella Nintendo History sul sito ufficiale Nintendo.

22 A proposito delle sue origini, Shigeru Miyamoto commenta, in un’intervista con Mike Snider di USA Today “I just decided Mario is a plumber. Let’s put him in New York and he can be Italian”.

23 I trappisti sono ufficialmente chiamati Ordo Cisterciensis Strictioris Observantiae; il nome più colloquiale deriva dall’Abbazia di Notre-Dame de la Trappe, in Francia, da cui partì la riforma. Per maggiori informazioni è possibile consultare la storia dell’ordine.

24 Monaca benedettina vissuta nell’XI secolo, fu anche una erborista, naturalista, cosmologa, drammaturga, musicista, linguista e consigliera politica, fra gli altri, di Federico Barbarossa.

25 La maggior parte delle quali si trova in Belgio, e fra cui è presente anche una abbazia italiana, ovvero l’Abbazia delle Tre Fontane, a Roma.

26 I monaci trappisti adottano integralmente la Regula monachorum di San Benedetto da Norcia, tipicamente riassunta con il noto detto “ora et labora”.

27 Da non confondere con la Westvleteren XII, una birra simile ma di minor qualità, prodotta dal birrificio per un ristretto periodo di tempo e finalizzata all’esportazione con lo scopo di raccogliere fondi straordinari per una operazione di ristrutturazione dell’abbazia.

28 Per approfondire questo splendido mondo, è assolutamente necessario partire dal “Great Beers of Belgium”, di M.Jackson.

29 Per approfondire perché, in fondo, Elden Ring non è così rivoluzionario si consiglia l’approfondimento di Pop-Eye.

30 Abbiamo raccontato di questo contrasto anche nel nostro approfondimento su Tunic.