Disco Elysium, di nuovo
Tornare a scrivere ancora di Disco Elysium – dopo averne già sviscerato per buona parte l’essenza in un precedente pezzo – può sembrare inutilmente ridondante. Ebbene, torniamo a scriverne perché abbiamo la certezza che insistere nel tentativo di decifrare pezzo per pezzo la cosiddetta cultura pop, sia necessario e sempre soddisfacente. Soprattutto in un’industria (la parola è pessima, ma intendiamoci) dove l’omologazione è diventata quasi la regola, dove creare contenuti complessi e di non facile approccio è considerato quantomeno un grosso azzardo aziendale.

Tutto è scritto
[DISCLAIMER: di qui in poi sono presenti anticipazioni sull’esperienza di Disco Elysium.]
Tentare un’analisi di Disco Elysium vuol dire sondare un universo di migliaia di parole che prima si scontrano e poi si incastrano. Di sottintesi spesso molto evidenti, ma anche di sfumature difficili da cogliere nell’immediato perché annegate in una marea di testo in cui è davvero facile perdersi. Una caratteristica questa che potrebbe essere considerata alla stregua di una logorrea descrittiva, ma che porta senza dubbio ad apprezzare un background narrativo talmente robusto e strutturato da sembrare l’opera preparatoria per un romanzo, se non addirittura il background tipico per accogliere una saga fantasy. Di fatti, molto del materiale utilizzato per scrivere Disco Elysium fu preparato proprio per un esperimento letterario di Robert Kurvitz, scrittore e co-fondatore di ZA/UM studio.
Disco Elysium è dunque a buon diritto un ibrido ben riuscito tra un romanzo e un videogioco. Anche per questi motivi la comparazione, che diversi hanno vivacemente sottolineato, con Planescape Torment è, anche a parere nostro, indovinata.

I campi elisi possono aspettare
Planescape Torment è un videogioco del 1999, sviluppato da Black Isle Studios grazie al motore di gioco Infinity Engine e scritto dal leggendario Chris Avellone. Videogioco considerato unanimemente la più alta espressione nel genere di appartenenza, i computer role playing game.
Sono innumerevoli i chiari rimandi tra i due videogiochi: l’eroe senza nome perché amnesico. Il personaggio non giocante/spalla che conosce più cose sull’eroe dell’eroe stesso (Morte, un eccentrico teschio fluttuante in Planescape: Torment, il meticoloso e psico-rigido Kim Kitsuragi in Disco Elysium). La concezione non-lineare dello spazio/tempo (P:T. è ambientato nel multiverso di Planescape, un’ambientazione che si sviluppa quindi su diversi piani di esistenza, concepita per il gioco di ruolo da tavolo Advanced Dungeons and Dragons II° edizione, D.E. è ambientato in una fusione tra gli anni ‘70 del XIX° secolo e quelli del XX° che si potrebbe sintetizzare in: rivoluzione socialista, dopoguerra, avvento delle droghe, pessima disco music e pessimi vestiti). L’equilibrio naturale tra vita e morte, ovvero la morte di qualcuno che permette la rinascita dell’eroe (nel caso di P:T., la rinascita fisica del personaggio è consentita dalla contemporanea morte di un altro personaggio in uno dei piani del multiverso. Mentre in D.E. la faccenda è più sfumata e più terrena, un banale omicidio permette infatti all’eroe una rinascita di tipo spirituale, gli permette cioè di riprendere in mano la propria vita, quantomeno se si dimostra in grado di farlo). La base filosofica del racconto (in entrambi i videogiochi infatti la quest di fondo si può ridurre a nient’altro che “trova te stesso”).

Le analogie si possono estendere anche alla costruzione tecnica del videogioco stesso. Entrambi i titoli utilizzano una visuale di tipo isometrico tipica dell’epoca d’oro dei computer role playing game. Entrambi narrano quasi esclusivamente grazie ad un semplice sistema di dialoghi a scelta multipla. Entrambi hanno un’interazione poco sviluppata o almeno tale potrebbe sembrare se comparata ad altri generi, un sistema di combattimento quasi controproducente o addirittura assente. Entrambi mostrano a schermo una quantità di linee di testo talmente prepotente da far pensare più ad un’opera scritta piuttosto che ad un videogioco. Un muro letteralmente insormontabile di testo che finirà per affaticare chiunque si metta in testa di scalarlo di buona volontà.
Non a caso, come dimostra la tesi sulla quantità elaborata nel materialismo dialettico da Friedrich Engels (nemmeno a farlo apposta) a partire da un certo numero anche la quantità diventa una qualità. Non è dunque un caso, marxisticamente parlando, che scritture così poderose portino a videogiochi dal respiro così ampio e profondo, oltre ad essere naturalmente apprezzati per tanti e diversi altri aspetti.
Ravachol, chi altro?
François Koënigstein detto Ravachol, convinto socialista e anarchico francese, giustiziato nel 1892, simbolo stesso della rivoluzione disperata, è stato l’ispirazione per la città di Revachol in Disco Elysium. Una città, come si accennava già nel precedente articolo dedicato a questo titolo, in perenne rivolta. Rea di essersi voluta autogestire, colpevole per la propria volontà di indipendenza, una città divenuta simbolo di rivoluzione e dunque punita dalla comunità internazionale. Semi-distrutta con la forza della coercizione internazionale e dei bombardamenti democratici. La città della rivoluzione fallita, dove coesistono come fossero fuori dal tempo, vecchie glorie del passato che ricordano ancora la guerra rivoluzionaria, tecnologie poco affidabili dal gusto retro-futuristico, criminalità, alcolismo e droghe diventate vere epidemie, ideologie vecchie e nuove, medioevo e modernità, mitologia e paranormale.

Un ambiente certamente ispirato alla cultura francese della Comune di Parigi, ma anche alle macerie del primo conflitto mondiale, alla rivoluzione russa, agli eccessi degli anni ‘70 del nostro novecento. Di fatti tutto il titolo rimbomba di sonorità francesi, nei nomi, nei luoghi e nell’atmosfera.
Revachol somiglia anche e soprattutto a Revanchisme, cioè spirito di rivalsa. Un atteggiamento tipico nell’opinione pubblica francese del dopoguerra franco-prussiano dovuto alla dolorosa perdita territoriale di Alsazia e Lorena. Un risentimento collettivo, una sorta di allargamento del sentimento di delusione ad un intero popolo, socialista nell’essenza e profondamente consapevole della propria identità comune ma mischiato perdipiù ad una sorta di perenne nostalgia del passato. Ognuno di questi aspetti è distillato con cura, goccia a goccia, nell’oceano fittizio in cui è immersa la costruzione di Disco Elysium. Una costruzione che sa di fine reinterpretazione e reinvenzione storica fin dalle primissime, splendide, righe di testo. E che non fa che migliorare a forza di scavare qui e là, tra la storia personale di un personaggio non giocante e la lettura di uno dei libri trovati in giro per la mappa di gioco.

La storia d’amore c’è
La storia d’amore c’è, è vero, ma è roba passata e perdipiù si confonde e diluisce ineluttabilmente con allucinazioni di tipo divino, impastate a lontani echi e ricordi di momenti felici che si trasformano prestissimo in un loop di sogni ricorrenti. Probabilmente la descrizione stessa dell’inferno. Harrier du Bois, eroe tragico e disilluso, diventa incredibilmente molle di spirito messo faccia a faccia ai suoi personali e tormentati ricordi.
La sua donna l’ha abbandonato. Una circostanza maledettamente infausta e banale. La storia inizia a diventare abbastanza chiara dopo una pietosa telefonata che sembrerebbe intercontinentale, dove il nostro devastato alter ego, biascica nonsensi e richieste ad una donna fredda, cattiva e idealizzata che lo tratta quasi con disprezzo. Harrier du Bois assume nel suo inconscio, ormai completamente in preda alla confusione, una divinità e la sua ex compagna, fuse entrambe in una singola figura mistica che ricorda più la concezione dantesca della donna, eterea, virtuosa e luminosa, piuttosto che la donna rivoluzionaria o la femminista arrabbiata degli anni settanta. Un errore di giudizio grossolano e fatale per Harrier du Bois. Una volta visto questo, ecco che si capisce subito il punto di rottura del personaggio. Un maldestro tentativo di rimettere insieme i cocci di un vaso rotto. Ancora una volta, una metafora immensa ed esaustiva dell’illusione umana, dell’interpretazione della realtà attraverso i propri bias cognitivi, della vita di Harrier du Bois, di Revachol, di Disco Elysium.

Il cattivo è un eroe
In ultima analisi, è difficile non pronunciarsi sul cattivo di Disco Elysium. L’unico responsabile dell’omicidio a sangue freddo del mercenario di cui Harrier du Bois è incaricato di risolvere il caso. Senza soffermarsi sui dettagli degli eventi, è utile in questo caso analizzare la figura in sé dell’omicida. Un vecchio, malandato, incattivito, nostalgico, che si nasconde da anni – dalla fine della guerra in effetti – e rifugge il ritorno in società.

Anche qui, è difficile non notare l’aderenza del personaggio con l’incredibile storia di Hiroo Onoda (o di Teruo Nakamura), ultimo giapponese, o tra gli ultimi, ad arrendersi ai nemici della seconda guerra mondiale ben trent’anni dopo la dichiarazione ufficiale di resa del Giappone. Onoda fu ritrovato in una giungla filippina nel 1974 e rifiutava di credere che la guerra fosse finita.
Iosef Lilianovich Dros, questo il nome del nostro omicida in cattività, prova disprezzo per il mondo attuale, per la modernità, per la rivoluzione fallita. Come il vecchio giapponese nella giungla, rifiuta il fallimento del progetto storico che era stato lo scopo della sua vita. Quello per cui aveva combattuto. E l’unico contatto con la società odierna non è altro che il mirino del suo vecchio fucile rivoluzionario, con cui scruta, interpreta e maledice la modernità.
Fin
Disco Elysium è in definitiva un esperimento di riscrittura della storia. A post soviet french island colony, ha scritto qualcuno su internet. Una frase che in estrema sintesi raccoglie, in tre o quattro parole, l’essenza stessa della concezione del background narrativo del videogioco. Un meraviglioso esperimento.
VV