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Le serie tv antologiche ovvero un modo di riappropriarsi della visione

La fortuna e il successo di pubblico che hanno le serie tv antologiche risiede nel loro essere fruibili anche in modo casuale, attraendo gli spettatori per il loro tema globale, senza ingabbiarlo in una narrazione cronologica.

L’ordine degli episodi che le compongono non è, però, casuale: i creatori di tali prodotti fanno trasparire – seppur in modo velato – un preciso desiderio di fornire una cronologia. Il pubblico non è costretto a seguire pedissequamente tali indicazioni: è possibile riuscire a inserire la propria volontà nell’esperienza di visione arrivando a rimescolare le carte in tavola e a diventare uno dei soggetti creativi della serie stessa.

Le Serie TV antologiche, insomma, danno un ampio ventaglio di possibilità spesso negato da quelle più tradizionali, le quali esibiscono una storia che viene raccontata e modulata secondo i punti di vista autoriali.

Un po’ come accade leggendo una serie di racconti, è inevitabile stilare una classifica che si dipana da quello maggiormente apprezzato a quello più detestato; il confronto di queste opinioni personali riesce a galvanizzare ampiamente le recensioni e la discussione che scaturisce al termine della fruizione. Ma occorre scendere nei dettagli, piano piano.

Guillermo Del Toro’s Cabinet of Curiosities

Una delle ultime novità apparse sulla piattaforma Netflix è Guillermo Del Toro’s Cabinet of Curiosities. Il regista messicano mette la sua firma su questo nuovo prodotto disponibile dal 25 ottobre 2022 (giusto in tempo per Halloween). Composta da otto episodi della durata di un’ora circa, la serie antologica vede come macro tema una mescolanza di generi correlati tra loro come l’horror, il fantasy e il thriller. Ogni episodio assicura brividi lungo la schiena e, grazie alle molte scene splatter e grottesche, promette anche stomaci stretti .

Del Toro, padre di film ormai cult come Il labirinto del fauno (2006), La forma dell’acqua (2017) e Pinocchio di Guillermo del Toro (2022), omaggia in modo palese il Grand Guignol: il teatro nel distretto parigino di Pigalle che, dal 1897 al 1963, ha ospitato una serie di spettacoli horror particolarmente cruenti e molto realistici che hanno donato incubi a intere generazioni di spettatori (oltre a essersi garantito citazioni da numerose opere seriali come Hannibal e Penny Dreadful).

Le otto puntate sono una montagna russa di emozioni: picchi di ribrezzo, curve di disgusto, giri della morte di terrore e baratri di disperazione. Si va da un rito satanico a una tortura di bellezza, da una strega vendicativa a un’autopsia fantascientifica, da un viaggio tra i loculi del cimitero a un artista tormentato dai suoi demoni e da una casa infestata a un’overdose un po’ particolare.

La locandina della serie creata dal cineasta messicano.

Senza spoiler, uno dei più convincenti è L’ apparenza, episodio incentrato sul tema dell’aspetto esteriore visto come prigione invalicabile che impedisce agli altri di vederci veramente. Una svolta da thriller psicologico che appare inaspettata ma che, in realtà, è perfettamente in linea con tutta l’atmosfera degli episodi.

Lo spettatore non è mai lasciato tranquillo durante la visione e – ispirato dai titoli – può decidere in autonomia di quale episodio fruire; l’ordine non è necessario per cogliere il tema principale di questi ultimi, e lo stesso creatore ce lo spiega a inizio di ogni puntata. Un po’ citando (e nemmeno troppo sottilmente) un altro grande regista di film thriller e horror: Alfred Hitchcock. In un decennio, tra 1955 e 1965, il regista inglese aveva, infatti, dato il via ad Alfred Hitchcock presents, una delle prime serie antologiche che presentava allo spettatore una serie di racconti visivi pieni di dramma, orrore e mistero, esattamente come succede in questa serie Netflix.

Lore – Antologia dell’orrore

Una selezione tratta dai migliori episodi del podcast omonimo, scritto e narrato da Aaron Mahnke, è alla base delle due stagioni di Lore, disponibile su Prime Video dal 2017 e che ha come tema l’orrore in ogni sua forma.

Lo stile documentaristico si combina con la cinematografia a tutto tondo: Lore presenta, infatti, anche degli episodi animati che conducono lo spettatore attraverso le più celebri storie horror indagando la loro origine.

Nonostante alcuni episodi, come Jack Parsons: The Devil and the Divine e Prague Clock: The Curse of the Orloj, non riescano a reggere il confronto di altri molto ben riusciti, come Black Stockings, Unboxed e Hinterkaifeck: Ghosts in the Attic, la cancellazione della serie, a poco meno di sei mesi di distanza dalla pubblicazione della seconda stagione, non inficia la sua generale qualità.

Il poster della serie antologica dell’orrore sviluppata da Aaron Mahnke.

I riferimenti ai changelings, a uno degli omicidi irrisolti più famosi della Germania e, in generale, alla storia del True Crime lasciano ben trasparire temi molto conosciuti che attraggono un pubblico desideroso di nuove informazioni e che, selettivo, può decidere di fruire di solo alcuni dei dodici episodi che compongono entrambe le stagioni.

Il tema, che è ben esplicitato già dal sottotitolo (the scariest stories are true), accompagna lo spettatore in ogni episodio e lo incita non solo a recuperare il ben più corposo podcast, ma anche a farsi carico di indagini in prima persona.

Philiph K. Dick’s Electric Dreams

Questa serie antologica fantascientifica, composta di dieci episodi dalla durata di una cinquantina di minuti ciascuno, è ideata dai produttori esecutivi Ronald D. Moore e Michael Dinner per gli amanti dello scrittore americano Philip K. Dick, come dichiarato apertamente dal titolo.

Distribuita a partire dal gennaio 2018 su Prime Video, la serie è composta da dieci episodi basati su altrettante short stories del noto autore di fantascienza; non è il primo adattamento delle opere di Dick reperibile sulla piattaforma: The Man in the High Castle è, ad esempio, liberamente ispirato al celeberrimo La svastica sul sole (1962).

L’immagine promozionale della serie tratta dalle opere di Philip K. Dick.

È curioso che l’ordine degli episodi su Amazon Prime Video e su Channel 4 – altro distributore della serie – sia diverso tra di loro: la teoria secondo cui essi possano essere visti in ordine casuale è quindi supportata. Non vi è necessità di seguire un filo logico dato che il tema generale della serie è quello di presentare alcuni dilemmi generati dalla fantascienza.

Lo spettatore si trova di fronte a temi ricorrenti nella scrittura di Dick come regimi autoritari che opprimono persone con abilità speciali, piattaforme di realtà virtuale che pian piano sostituiscono la vita reale e alieni che si impossessano di corpi umani. Una vera chicca da recuperare per gli amanti sia dell’autore che del genere.

American Horror Story

Le menti di Ryan Murphy e Brad Falchuk sono autrici di una delle serie antologiche horror più famose della storia delle Serie TV: giunta ormai alla undicesima stagione, essa conta ben centoventitrè episodi. Ogni stagione racconta una vicenda orrorifica in grado di far saltare sul divano dalla paura un numero sempre maggiore di telespettatori in ogni angolo del globo.

Il successo è testimoniato (e garantito) anche dalla presenza di una serie di interpreti d’eccezione, come Macaulay Culkin, Joseph Fiennes e Neal McDonough, e da attrici e attori che tornano da una stagione all’altra in ruoli diversi, come Sarah Paulson, Evan Peters, Jessica Lange, e Lily Rabe.

Il logo della serie frutto della mente di Ryan Murphy e Brad Falchuk.

Ogni stagione indaga un tema horror: Murder House, Asylum, Coven, Freak Show, Hotel, Roanoke, Cult, Apocalypse, 1984, Double Feature e NYC. Nella serie, come si evince dai titoli, sono trattati alcuni dei più grandi terrori del genere umano, elementi ricorrenti in tantissimi film del genere.

L’ideatore dell’ultima serie True Crime di punta (Dahmer – Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer) ha introdotto qui alcuni degli argomenti e dei motivi ricorrenti nella sua espressione artistica: lo splatter, il gore, la violenza, il mistero, l’orrore e il raccapriccio.

Se, in questo caso, il fruitore non può selezionare a caso un singolo episodio, lo può fare con le varie stagioni: scegliendo il titolo – e, di conseguenza, il tema – egli può trovarsi catapultato in una storia originale staccata dalle altre che compongono il prodotto audiovisivo. Senza rischiare di godere meno dell’esperienza proposta.

Black Mirror

Di questa serie, che presenta i rischi della tecnologia e prova a mettere in guardia il genere umano sulle derive peggiori che il futuro più prossimo sembra prospettare loro, è stato ampiamente discusso su Pop-Eye: per l’esattezza, qui, qui e qui.

È inevitabile, tra i fan di Black Mirror, l’interminabile discussione di quale episodio sia il più inquietante e il più in linea con lo spirito della serie: per tanti la corona va attribuita a San Junipero, per altri a Hated in the Nation, per alcuni a Black Museum

Il logo dell’opera Charlie Brooker, forse la più famosa fra le serie tv antologiche.

Charlie Brooker, il creatore della serie, ha anche il merito di aver portato sul piccolo schermo la trasposizione di un librogame: il riferimento è alla puntata interattiva Bandersnatch che va a incarnare lo spirito di questo stesso articolo. Lo spettatore diviene il protagonista: con un semplice click può decidere cosa far fare ai personaggi e può determinare il loro epilogo. I finali multipli, da scartare come una matrioska, sono scopribili solo ripercorrendo più e più volte il labirinto che viene presentato dalla narrazione.

È questo il futuro che attende tutti gli spettatori? Una Serie TV in cui si ha il pieno controllo delle azioni dei personaggi e si diventa, non più meri fruitori, ma protagonisti in prima persona? È veramente questo il desiderio più recondito di tutti quelli che criticano ogni mossa autoriale e sono pienamente convinti di saperlo fare meglio?

Tutte domande senza risposta al momento ma che solleticano l’interesse e la curiosità di ognuno e che ci spingono a speculare su un futuro che forse non è del tutto lontano e irraggiungibile. Al momento, è certo, che Black Mirror sappia insinuare dentro chiunque il terrore di oggetti che ormai sono compagni indispensabili nella vita di ogni giorno.

The Haunting of Hill House e The Haunting of Bly Manor

Ideate da Mike Flanagan, le due stagioni raccontano due diverse storie di fantasmi che infestano gli antichi manieri e le famiglie che vi abitano. Come in American Horror Story, non sono i singoli episodi a essere antologici ma l’intera stagione: nella prima vediamo l’adattamento del romanzo L’incubo di Hill House (1959) di Shirley Jackson mentre, nella seconda, del libro Il giro di vite (pubblicato a puntate nel 1898) di Henry James, due capisaldi della letteratura dell’orrore.

I jump scares, i colpi di scena e l’inquietudine di fondo sono solo alcuni dei temi ricorrenti in entrambe le stagioni, così come alcuni membri del cast: Victoria Pedretti, Oliver Jackson-Cohen, Henry Thomas, Carla Gugino, Kate Siegel e Catherine Parker.

Le locandine delle due stagioni della serie.

Anche in questo caso, le stagioni non sono consequenziali tra di loro e, quindi, possono essere guardate nell’ordine preferito dello spettatore senza rovinare alcuna sorpresa e senza fare spoiler. Sebbene in entrambe ci siano spiriti che infestano le abitazioni e chi vi abita, le due storie sono molto diverse tra loro.

Ci si trova al cospetto di un modo molto sottile di fare horror series: il terrore che si genera nel fruitore è latente, quasi di sottofondo. Per buona parte degli episodi le scene si susseguono senza particolari attività spiritiche che, inaspettatamente, esplodono nei momenti e nelle situazioni più inaspettate.

Tantissimi sono i prodotti seriali che appassionano e tengono incollati allo schermo fino alla fatidica domanda (stai ancora guardando?). Uno degli incanti maggiori è rappresentato proprio dalle serie tv antologiche.

Questo articolo non intende essere esaustivo sull’argomento ma, anzi, vuole inserirsi in un filone di discussione ben più ampio – come dimostrano i numerosi link presenti – e intende rimandare il lettore, giusto poco prima di interrompere questa esperienza di lettura, a un altro pezzo che nomina altri prodotti di questo genere.

In essi, il fruitore viene chiamato in causa per prendere le redini delle storie che gli sono state sparpagliate davanti e, come ogni buon detective nel corso di un’indagine, deve ricomporre i pezzi del puzzle per fargli assumere una maggior completezza di significato, aumentando esponenzialmente ciò che si poteva intuire solo grattando la superficie.

È forse il caso di introdurre l’opzione shuffle anche per le Serie TV antologiche preferite oltre che nelle playlist?

ES