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Tag: hitman

“Ci stai giocando male!”: quando un gioco cambia faccia

“Ci stai giocando male!”: quando un gioco cambia faccia

  • Vito Carluccio

  • 27 luglio 2022
  • noninteragire

– A me quel gioco non è proprio piaciuto, terribile.
– Non capisci nulla, il problema è che ci hai giocato male!

Un dialogo immaginario (e peperino).

Quante volte ci sarà capitato di avere una conversazione simile con qualche amico o amica?
Quante volte siamo stati proprio noi a pronunciare la prima frase? E quante altre volte ci siamo trovati dall’altra parte? Magari inveendo contro quello youtuber che proprio ha sbagliato approccio.

Se è vero che alcuni giochi hanno un game design più rigido e cercano di suggerire fortemente un approccio preciso, è vero anche il contrario. Ovvero giochi dal game design più confuso, meno focalizzato, aperti a nuove interpretazioni e personalizzazioni, magari non contemplate dagli sviluppatori. Questo può davvero far “cambiare faccia” a un gioco, tanto da offrire esperienze diversissime in base alle impostazioni da noi scelte.

The Last Guardian ha un game design preciso e studiato intorno ad una tematica precisa, non possiamo chiedergli di essere un platform rapido e reattivo come Crash Bandicoot

Lo scambio di battute che abbiamo usato in apertura può addirittura presentarsi con maggiore frequenza negli ultimi anni, per via di una tendenza che sta prendendo molto piede, soprattutto nei Tripla A (ma non senza qualche eccezione). Ci stiamo riferendo alle numerosissime impostazioni modificabili, che vengono messe a disposizione del giocatore, e che sono davvero in grado di cambiare la faccia di un gioco, in barba al game design sottrattivo e allo studio del pacing di gioco.
Per chiarire meglio il concetto, è opportuno qualche esempio; solo così sarà possibile edificare le fondamenta per la nostra argomentazione.

Assassin’s Creed Odyssey, e Valhalla, sono tra gli esempi più illustri di questa tendenza. Infatti, gli ultimi due capitoli della famosa serie di Ubisoft presentano una quantità smodata di impostazioni di gioco in grado di personalizzare fortemente la nostra partita: forti modifiche all’HUD (marker, target e segnalini vari); livelli di difficoltà divise per categorie quali combattimento, stealth o modalità di esplorazione; possibilità di decidere se uccidere o meno con attacco furtivo indipendentemente dalla differenza di livello tra noi e i nostri nemici; segnalare o meno la posizione del nostro obiettivo e tanto altro.

Giocare AC Origins, Odyssey o Valhalla senza indicazioni a schermo restituisce tutt’altra esperienza di gioco.

Ubisoft ha riposto molta cura in queste impostazioni, tanto che il gioco presenta dei preset a loro volta modificabili a piacimento. Questa attenzione alla personalizzazione del gioco da parte di Ubisoft non è stata riposta solo nella serie di Assassin’s Creed, ma possiamo trovare un altrettanto alto livello di dettaglio anche in Ghost Recon Wildlands e soprattutto in Ghost Recon Breakpoint. In quest’ultimo è addirittura possibile limitare o eliminare totalmente alcune tipologie di nemici dal gioco.

Ovviamente non solo Ubisoft ha abbracciato e spinto verso queste pratiche, ma anche molte altre software house. In The Last Of Us Part II possiamo scegliere le difficoltà per ben sei categorie diverse: Sfida, Giocatore, Nemici, Alleati, Furtività e Risorse. Il diverso bilanciamento di questi settaggi può cambiare di molto il nostro rapporto con gli scontri a fuoco, con lo stealth e con il level design.

Gli elementi di personalizzazione presenti in Ghost Recon Breakpoint gli permettono di passare da un’esperienza simulativa fino ad apparire come un action coop stile Monster Hunter in cui si va a caccia di robot giganteschi.

Nell’ultima trilogia di Hitman il giocatore può scegliere quante informazioni avere a schermo, se ricevere o meno gli input per far partire le “storie della missione”, di togliere i marker sui nemici o se far comparire o meno la mini mappa. In Sniper Elite 4 e 5 si può perfino preferire quanto vento – e la balistica in generale – possa impattare sui colpi, se tenere la mini mappa, se togliere i marker sui nemici e sugli obiettivi; ancora, è possibile modificare il livello di aggressività e organizzazione dell’intelligenza artificiale nemica, se vedere o meno dove impatterà il colpo e moltissime altre impostazioni di personalizzazione.

Ecco che la brevissima conversazione che ha aperto questo articolo inizia ad avere un’impalcatura molto solida che la sorregge. Ma cosa comporta questa tutta personalizzazione?

Se un gioco consente di mettere mano a così tante impostazioni, e quindi di stravolgerlo completamente, come si può pensare di elaborare una valutazione critica? Qual è il modo giusto di giocare? Gli sviluppatori sono riusciti a tenere tutti i possibili outcome sotto controllo? Quanto è possibile “romperlo”? Come si può dire a un amico che “ci ha giocato male” se gli sviluppatori stessi permettono di cambiare il gioco fino alla sua radice? E in ultimo: possiamo davvero parlare di opere d’arte in questo caso, con tematiche e struttura di game design affine al messaggio, o forse è il caso di parlare di prodotti d’intrattenimento nudi e crudi?

Sniper Elite 4 si stravolge completamente in base alla difficoltà selezionata, giocare con gli aiuti è una passeggiata, priva di sfida. Alzare la difficolta ed eliminare la mira assistita trasforma l’approccio al game e level design.

Sono tante domande, alcune retoriche e altre dalle difficili e controverse risposte; ma sono domande che dovrebbero iniziare a circolare nel settore, soprattutto in quelle sedi in cui si fa analisi critica.
Questo approccio “industriale” al videogioco, da vero e proprio prodotto che si modella sotto il volere del consumatore, apre diverse questioni, tra cui quelle che abbiamo sollevato poc’anzi, e crediamo che sia opportuno iniziare a produrre della letteratura al riguardo, oltre che educare il consumatore.

Tralasciando alcune mosche bianche, molte Software House inseriscono queste opzioni senza tenere sotto controllo gli effetti che hanno sul game design, oltre alla parziale o completa mancanza di spiegazione di tali impostazioni. Poco sopra abbiamo citando Sniper Elite, un gioco che presenta un numero spaventoso di personalizzazioni in grado di stravolgere il gameplay e restituire esperienze nettamente differenti. Il problema però è che queste impostazioni non sono ben spiegate al fruitore, ed è facile ritrovarsi a smanettare tra i menù, con tanto di continui riavvii, proprio per comprendere gli effetti delle scelte.

Scoprire mondi nuovi in mondi esistenti

Vogliamo chiarire che non è nostra intenzione condannare queste pratiche sempre più presenti nei nuovi videogiochi, ma anzi, crediamo che sia arrivato il momento di mettere qualche puntino sulle i, così da attivare una certa coscienza. Crediamo che questi prodotti siano davvero in grado di regalare delle esperienze di livello, e a volte studiare un po’ le impostazioni, confrontarsi e informarsi nei vari gruppi e sezioni reddit può farci scoprire una gemma nascosta in mezzo al fango.

La ricerca online e il confronto tra gli utenti non devono e non possono essere le uniche vie di educazione. Le discussioni nate intorno a queste pratiche potrebbero indurre sempre di più le Software House a completare, spiegando meglio, le varie personalizzazioni. Insomma, l’obiettivo deve essere mirare a un’integrazione strutturale di queste personalizzazioni, cosa che al momento non avviene con larga diffusione.

A volte un gioco che proprio non ci sta piacendo può cambiare totalmente faccia se rimaneggiato dal giocatore stesso. Assassin’s Creed può essere spogliato dalla necessità di raccogliere pelli, erbe e sassi, si può eliminare l’HUD, restituendo un’immagine più pulita e autentica; ciò comporta la possibilità di vagare per i boschi del Nord Europa senza meta, senza mappa o segnalini, ammirando il paesaggio e svolgendo solo le quest che capitano direttamente a tiro, senza stare a seguire il prossimo indicatore, e poi il prossimo, e poi il prossimo.

Arkane è una di quelle poche software house in grado di offrire un grado personalizzazione della difficoltà molto ampio, senza far perdere mai l’identità al game design.

Come abbiamo visto, queste impostazioni di personalizzazione aprono numerosi questioni di forma e sporcano irrimediabilmente le recensioni e le analisi critiche delle riviste di settore. Ma il rovescio della medaglia è una discreta libertà nel plasmare il prodotto sui propri gusti, riappropriandosi di un oggetto culturale che magari non era nemmeno stato pensato per offrire quel tipo di esperienza.

Sei proprio sicuro che Hitman ti faccia schifo? Prova a cambiare la tua esperienza tramite la personalizzazione del titolo, modificando l’approccio; e magari potrai scoprire il miglior sandbox sul mercato.

VC


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Hitman: l’evoluzione di un capolavoro sandbox

Hitman: l’evoluzione di un capolavoro sandbox

  • Vito Carluccio

  • 24 settembre 2021
  • noninteragire

Il vestito nero, la cravatta rossa, il codice a barre sulla nuca, la garrota e la pistola silenziata non possono che far pensare al killer su commissione più famoso della storia dei videogiochi: l’agente 47.
Intorno a questi elementi, la serie creata da Io Interactive è riuscita a costruire una IP identificabile anche solo con un sguardo: Hitman.

L’outfit dell’agente 47 è ormai iconico.

Questa forte riconoscibilità estetica va di pari passo con l’obiettivo e l’esperienza che la serie ha (quasi) sempre voluto restituire: farci interpretare un sicario nel modo più libero possibile.
Nelle prossime righe ripercorreremo quanto accaduto, e i grossi passi in avanti che ci sono stati, dal 2000 fino ad oggi. Certamente non senza qualche scivolone, il processo avviato due decenni prima ha portato verso una piena maturità, raggiunta con l’ultima trilogia.

Origini inaspettate

Forse non tutti sanno che il concept iniziale di Hitman: Codename47 prevedeva un gioco action, ispirato ai film di John Woo. L’agente 47 sarebbe stato lanciato nei luoghi più disparati a far incetta di cadaveri tra salti, pallottole e capriole. Un po’ come il poco fortunato Stranglehold (2007). La collaborazione tra Jonas Eneroth (produttore esecutivo) e Jacob Andersen (lead designer) fece spostare il progetto verso sponde più stealth, trovando fonti di ispirazione in Thief e Deus Ex.

Al netto di alcuni grossi problemi di IA e di una gestione dei salvataggi estremamente punitiva, ancora oggi è possibile giocare al primo capitolo datato 2000 e riconoscere l’embrione di una formula perfezionata in 20 anni di sperimentazione.

Sostanzialmente dal primo capitolo in poi, tutti gli Hitman hanno cercato di costruire mappe molto grandi in cui il giocatore veniva lasciato libero di muoversi alla ricerca dell’obiettivo da eliminare. L’approccio e le modalità con cui compiere la missione sono lasciate al giocatore, perlomeno entro i limiti dati dalla tecnologia e dal game design.

Nel concept iniziale Hitman avrebbe dovuto restituire un feeling simile ai film di John Woo.

Pochi script, tanti sistemi

Un’ambizione simile poteva essere raggiunta solo e soltanto attraverso la costruzione di sistemi unici, dettagliati e molto reattivi, senza dimenticare lo sviluppo di una IA complessa e stratificata. I risultati non sono sempre stati eccellenti; nel primo capitolo, ad esempio, l’IA può compiere azioni assurde e rovinare un intero piano orchestrato alla perfezione per via di uno spot attraverso il muro. Oppure, il ragdoll di Blood Mooney potrebbe far volare via la vittima spazzando via l’intera copertura.

Avanzando nei vari capitoli, però, Io interactive ha sempre più affinato questi sistemi e ampliato la varietà degli strumenti di morte e delle meccaniche di gioco. La formula sandbox del titolo si è arricchita esponenzialmente di capitolo in capitolo: non solo garrota, fucile e pistola silenziata, ma anche veleni, mine, esplosivi radiocomandati, lame e siringhe. A partire da Hitman 2: Silent Assassin, la possibilità di camuffarsi cambiando i vestiti (altro marchio di fabbrica) viene affiancata via via da altre possibilità: accucciarsi, nascondersi negli armadi, arrampicarsi sui tetti, appendersi dalle sporgenze, nascondersi nei cespugli e mimetizzarsi tra la folla.

Hitman 2: Silent Assassin introdusse diverse novità tra cui la visuale in soggettiva, la possibilità di abbassarsi e gli anestetici.

La complessità della serie ha raggiunto una certa maturità con Hitman: Blood Money (2006). L’IA era in grado di compiere azioni molto complesse, come perquisizioni, ricerca e sondaggio dei luoghi, sentire rumori, intimare al giocatore di uscire da aree off limits (senza sparare all’impazzata non appena si metteva un piede dentro la cucina di un ristorante). Ma non solo questo, le mappe avevano tantissime vie, ingressi laterali, passaggi sotterranei e postazioni sopra elevate. La moltitudine di sistemi comunicanti tra loro rendeva il gioco altamente interpretabile e a volte problematico e poco pulito. In effetti tutti questi sistemi assieme potevano creare situazioni paradossali, o semplicemente glitch e bug. Niente di realmente tragico ma il controllo dell’agente 47 in questo mondo pieno di variabili poteva risultare un po’ impreciso.

Il fallimento e l’importanza di Hitman Absolution

Dopo il successo di Blood Money subito si pensò a portare Hitman su nuova generazione, con il più alto budget mai avuto e con l’intenzione di proiettare la serie nel mercato di massa AAA.

Nacque quindi il nuovo Hitman Absolution, senza dubbio il capitolo più controverso della serie. Nelle intenzioni iniziale del team c’era l’idea di mantenere alcune meccaniche tipiche della serie ma spingendo molto anche sul versante narrativo ed action. Si attinse da Max Payne e Gears of War, ci si concentrò tantissimo sulle scene di intermezzo e su delle ambientazioni più ristrette e lineari, cosi da favorire lo sviluppo di una storia più coesa e di un’avventura più scriptata, meno sandbox.
Una direzione, insomma, quasi opposto a quella vista in Blood Money.

Hitman Blood Money ha delle mappe molto grandi e affollate. Molto più piccole di quelle che poi vedremo in HITMAN 2016.

Nel corso dei 7 lunghi anni di sviluppo però, il team non era più tanto convinto che cambiare cosi tanto la struttura fosse l’idea giusta, e quindi si cercò di tornare sulla strada iniziale. In pieno crunch, lo studio di sviluppo provò ad adattare il lavoro già svolto su Absolution virando di nuovo verso alcune vecchie formule. Il risultato è, come potete intuire, molto altalenante: il mix di elementi sandbox adattati a un prodotto originariamente pensato per essere più lineare ha portato a un risultato incerto. Soprattutto se si considera che i fan certamente non si aspettavano una esperienza cosi lineare.

Sebbene Absolution non sia stato accolto molto bene, all’atto pratico l’alto livello produttivo ha permesso di affinare l’IA degli NPC, i comportamenti della folla, le animazioni e le interazioni di 47.
Hitman non era mai stato così fluido: muoversi, sparare, tirare gli oggetti o eseguire takedown sono azioni molto bene strutturate e collegate bene all’IA, tutto è estremamente pulito e preciso.

Ma non solo. L’elemento più importante ai fini di questa disamina risiede nella modalità Contracts: una sorta di online in cui i giocatori potevano designare come bersaglio qualsiasi NPC presente nella mappa, ponendo delle condizioni specifiche per rilasciare dei contratti pieni di sfide. Dopo 4 anni dall’uscita, questa modalità aveva ancora cinquanta mila giocatori attivi al giorno. Giocare e rigiocare la stessa mappa ma con obiettivi diversi e strade diverse da percorrere, apriva un ventaglio sterminato di possibilità e questo fu il presupposto  per la creazione del miglior Hitman di sempre.

Controllare 47 in Hitman Absolution è una vera goduria, ci sono moltissime animazioni fluide e responsive.

HITMAN 2016 – Sandbox o morte

Siamo quasi giunti al termine di questo viaggio al fianco dell’agente 47 e ora metteremo da parte le vicissitudini commerciali che hanno portato all’accordo tra Io interactive e Square Enix (finito male dopo il primo capitolo) per analizzare la struttura incredibilmente complessa di questa nuova iterazione. Raccontare la storia produttiva e creativa di Hitman ci è servito per capire come si è arrivati alla creazione di quello che a conti fatti si può definire un vero e proprio simulatore di assassino.

La lezione imparata dal fallimento di Absolution e dal successo della modalità Contracts ha portato gli sviluppatori a pensare ad una sorta di soft reboot.
Ogni livello, ogni mappa è un vero e proprio gioco a se stante, con le proprie storie interne, con la propria conclusione e costruzione dei personaggi. Tutto avviene in una singola sessione di gioco ma non tutto è direttamente fruibile in una partita. Le mappe sono pensate e disegnate per essere rigiocate più volte, ogni elemento di gioco punta verso questa idea di game design, dagli spezzoni narrativi sparsi nella mappa e fruibili solamente i determinate situazioni, alle modalità con cui preferiamo eliminare i nostri obiettivi.

la quantità e la varietà di gadget in HITMAN ci permette di dare grande sfogo alla creatività.

C’è un sistema di ricompense incoerente con la trama, ma funzionale al game design: ogni qual volta completeremo una missione, in base al nostro punteggio, sbloccheremo nuovi gadget, nuovi punti di accesso e nuove armi. Capite bene che giocare una missione con o senza grimaldello può cambiare totalmente l’approccio, o cominciare la missione travestiti da tecnico audio cambia la prospettiva che abbiamo dello spazio. In una certa misura, la scelta di non fornire tutti i gadget alla prima run può essere considerata una limitazione al concetto di sandbox; però, d’altro lato, riesce a creare una progressione all’interno della stessa mappa. Ovviamente non saremo mai obbligati a rigiocare la mappa, ma sbloccare un nuovo gadget ci potrebbe invogliare a riprovare la stessa mappa.

L’unlock di queste ricompense è funzionale all’esperienza: gli sviluppatori vogliono mettere alla prova la nostra creatività e per farlo hanno deciso di dare qualche linea guida.

In quest’ottica rientrano anche le nuovissime “storie della missione”, una serie di passaggi che il gioco consiglia di fare per creare una sorta di linea narrativa che ti porta più vicino all’eliminazione dell’obiettivo. Anche in questo caso però la scelta del giocatore è sacra, queste storie non sono scriptate ma anche esse sono interpretabili ed inseribili nel flusso della nostra personale partita. Per esempio, una storia della missione ci potrà spingere a travestirci da dottore perché il nostro obiettivo ha fissato una visita medica, ma noi potremmo decidere di usare il vestito da medico per accedere alla vila senza però compiere la visita. Le storie della missione sono malleabili e soggette al nostro utilizzo. Nelle impostazioni poi è possibile disattivare le icone di aiuto e queste piccole situazioni previste dai game designer diventano molto più difficili da trovare e attuare, dovremmo affidarci al nostro udito e al nostro intuito.

Sebbene il sistema di sfide e di valutazione ci aiuti a capire le possibilità che abbiamo e assegni un punteggio al nostro agire, tutte le mappe sono interpretabili al 100% senza nessuna restrizione obbligatoria.
Il concetto di sandbox è alla base di tutto il game design, dai gadget dai multipli utilizzi alle armi, dai numerosi vestiti ai vari ingressi e passaggi.

Mumbai è una delle mappe più grandi e sorprendenti. Un intero spezzone d città ricco di edifici esplorabili e sistema fognario annesso.

Gli approcci consentiti sono diversi e soprattutto fluidi, senza soluzione di continuità. Possiamo entrare in una villa in stealth, travestirci da cameriere e mimetizzarci tre lo staff, imbracciare un mitra ripulire una stanza e scappare via tornando in stealth o cambiando vestito e sfruttando una storia della missione per scappare in auto.

Questa totale libertà di approccio è incredibilmente sorretta da una IA molto complessa: se le guardie dovessero scoprire un cadavere o un esplosivo durante una festa, farebbero evacuare gli invitati in modo ordinato; se dovessero capire che c’è un assassino nei paraggi manderebbero il loro protetto in una stanza sicura, a volte blindata, e inizierebbero la ricerca del giocatore per tutta la mappa.
Persino le morti accidentali vengono gestite in modo diverso: le guardie non si metteranno a cercare un eventuale assassino ma recupereranno il corpo del malcapitato, che verrà portato via dai luoghi pubblici.

C’è un sistema che gestisce il comportamento della folla, le reazioni agli spari, le interazioni con le guardie che magari cercano di farli evacuare in modo ordinata o il completo caos dato da una fuga disperata in pieno centro città.

A questo si affianca la gestione delle IA designate come guardia del corpo dei VIP che hanno dei comportamenti precisi. Come controllare le stanze prima che vi entri il proprio capo o delegare una guardia alla raccolta e messa in sicurezza di un arma incustodita, cosi da evitare di lasciare da solo il proprio protetto. In ultimo troviamo il sistema di evacuazione VIP: le guardie circondano l’obiettivo e lo scortano in modo attento verso una stanza sicura.

I sistemi sono complessi e comunicano tra loro prevedendo l’intervento del giocatore: tutto ciò è sorprendente e merita la giusta attenzione.

Le guardie hanno sentito uno sparo, si dispongono a diamante e si preparano a scortare via il VIP.
(Video credit AI and Games)

World of Assassination

Nel momento in cui scriviamo è disponibile sul mercato HITMAN III. Il capitolo finale di questa nuova trilogia iniziata nel 2016. HITMAN è diventato a tutti gli effetti una sorta di piattaforma chiamata World of Assassination e l’offerta è ricchissima. Acquistando l’ultimo capitolo sarà possibile integrare anche i due predecessori che in automatico riceveranno gli upgrade più recenti, sia grafici che di features.

Ben 21 livelli, con mappe complesse e variegate, dettagliate e ricche di opzioni. Inoltre la piattaforma offre sfide giornaliere, obiettivi elusivi a tempo e una campagna secondaria chiamata patient zero.

Tutte le mappe ci permetteranno di essere l’assassino che desideriamo. Veloce e spietato come John Wick, silenzioso e invisibile come Sam Fisher, impetuoso e aggressivo come Mad Max e perché no, un mix dei tre. La scelta è nostra.

Giocare con i sistemi può portare a situazioni davvero uniche.

Ad oggi non troviamo nessun motivo per non dare una possibilità a questa trilogia. Un vero e proprio parco giochi, l’esperienza sandbox più completa che abbiamo avuto modo di provare negli ultimi anni, grazie a un’offerta ricca e a un supporto costante..

Io Interactive è riuscita a rinascere dalle ceneri di Absolution ed ha confezionato un videogioco che non ha paura di essere un videogioco.
HITMAN è il sandbox degli ultimi 10 anni.

VC


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