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Perché Mad Max ha un open world perfetto

L’open world è ormai molto comune nei videogiochi, e Mad Max non fa eccezione.
La diffusione è talmente massiccia che molti giocatori sono in grado di indentificare la formula di un mondo aperto in poco tempo: “questo è alla Ubisoft”; “questo è alla The Witcher 3”; “questo è alla GTA”; “questo è alla Bethesda”.

Nonostante la struttura open world di un gioco si appoggi spesso su una di queste “formule”, crediamo che ci siano dei titoli in grado di modellare e modificare una di queste basi cosi da sfruttarle al meglio. Questo è il caso di Mad Max, un Action Adventure con una struttura “ubisoftiana” limata a tal punto da far convivere in perfetta coesione la narrativa, l’atmosfera e le tematiche con il tipico gameplay loop. Ma prima di parlare in modo dettagliato del gioco è necessario inquadrare il problema della coesione globale negli open world.

Molto spesso infatti, ci possiamo rendere conto di come queste strutture quasi pre-confezionate si scontrino con la narrazione di un gioco o con alcune delle altre meccaniche, oltre che con il fine ultimo che gli sviluppatori cercavano di raggiungere o addirittura con l’esperienza che si voleva offrire al giocatore.
La storia raccontata da Fallout 4 si sposa bene con le svariate attività che la struttura open world offre? La ricerca disperata di Ciri contestualizza le numerose giornate passate a giocare a carte o ad aiutare un fabbro da parte di Geralt?

Le torri dalle quali è possibile visualizzare le missioni sulla mappa di gioco sono un marchio di fabbrica negli open world Ubisoft

Qui non si tratta di dare un giudizio qualitativo sulle singole attività presenti in questi titoli, ma di capire se le interazioni offerte dall’open world ben si sposino con la narrazione, con i topoi e con l’atmosfera del gioco, creando cosi un titolo coeso e coerente in tutte le sue parti.

Il retaggio dispersivo di The Witcher 3

The Witcher 3 ha una struttura dell’open world ormai molto riconoscibile, con i punti interrogativi sparsi per la mappa, una suddivisione rigida delle quest tra principale, secondarie, incarichi, caccia e ricerca di equipaggiamento.
Inoltre ha una progressione scandita dai livelli assegnati alle missioni che ci costringono a livellare per farci trovare pronti.
Questa struttura è stata poi ripresa quasi in toto da Assassin’s Creed Origins, Odyssey e Valhalla e dai due Horizon sviluppati da Guerrilla. Tutti titoli che hanno poi, strutturalmente, ereditato le problematiche di dispersione narrativa, tematica e di atmosfera che caratterizza The Witcher 3.

Sebbene quest’impalcatura riesca a dare al giocatore tantissimi stimoli attraverso le diverse questioni morali, le situazioni narrative molto eterogenee e la struttura delle quest, in quasi tutti i giochi che la adottano non possiamo non notare una grossa mancanza di coesione tra le parti. Questa struttura ben si adatta agli Action-GDR ed è in grado di restituire un mondo vivo e ricco ma anche una progressione e narrazione altalenante, piena zeppa di scivoloni, cambi di ritmo e mood che spezzano inevitabilmente la visione d’insieme.

Ad esempio in Assassin’s Creed Odyssey un’amica di Kassandra viene rapita, ma il giocatore potrebbe mettere in stand by la tragica scomparsa di una persona cara per raccogliere delle piante per conto di una erborista o per dar retta a un cittadino raggirato da dei ladruncoli. Il ritmo e il flow della progressione vengono costantemente minacciati dall’estrema varietà delle situazioni e delle attività offerte dall’open world, oltre che dal rigido sistema del “livello consigliato” per le quest.

In questi casi ci può venire spontaneo chiederci se l’open world cosi ricco di attività non sia stato inserito più per una questione di valori produttivi piuttosto che per un discorso di aderenza ai punti tematici che il gioco vorrebbe affrontare.

Nella struttura portata alla ribalta da The Witcher 3 le quest sono suddivise per “categoria” e per livello: una quest potrà essere drammatica mentre quella sotto magari sarà divertente e scanzonata.

Questo tipo di problematica intrinseca di questa struttura può risultare più o meno pressante e più o meno aggirabile in base alla costruzione narrativa e di questing dei diversi giochi che ne adottano la formula, ma il più delle volte si inciampa in incoerenze o rotture di ritmo e atmosfera piuttosto gravi.

In The Witcher 3 potremmo ritrovarci a cercare una pentola per una vecchietta, con tanto di faccette e battutine fatte da Geralt, subito dopo aver assistito ad una drammatica scena di suicidio; senza contare il già citato grosso elefante nella stanza rappresentato dalla missione principale che ci richiederebbe di cercare Ciri, braccata e in pericolo.
Il giocatore ovviamente ha la scelta di ignorare qualche quest che gli sembra “fuori fuoco” cosi da aggirare in qualche modo il problema e cercare di creare una coesione forzata ma, di fatto, la struttura delle quest a livelli prima o poi ci costringerà a svolgere qualche fetch o a svolgere qualche incarico secondario e poco coeso per poter accumulare esperienza.

The Witcher 3 è pieno di momenti distesi che ci fanno dimenticare la gravità della situazione che Geralt sta affrontando.

In Horizon Zero Dawn invece, l’atmosfera delle missioni secondarie rimane piuttosto aderente a quella della trama principale ma non sempre le attività secondarie o le fetch quest sono ben inserite nel contesto. Una questione morale come quella rappresentata dall’uccidere gli esseri umani non è abbastanza approfondita e bastano due linee di dialogo per sbloccare le attività secondarie. Un esempio potrebbe essere quello degli accampamenti dei banditi, ovvero delle fortezze abitate da numerosi nemici che Aloy trucida senza porsi troppe domande, e senza che questi fatti siano in qualche modo legati alla linea narrativa principale. Ovviamente questo ultimo esempio non è grave come quello che riguarda l’amica rapita in Assassin’s Creed Odyssey. Dopotutto non presenta un’incoerenza di per sé, ma solleva una precisa questione: perché in una storia come quella di Horizon Zero Dawn, un personaggio positivo e genuino come Aloy deve andare a stanare centinaia di banditi, diventando così una assassina di massa?

Ci sono due possibili risposte:

  • Perché ha funzione di arricchimento della narrativa e/o sviluppo del personaggio;
  • perché gli sviluppatori volevano aggiungere varietà di nemici e situazioni al gameplay, trovando una rapida, e poco approfondita, motivazione per inserire degli accampamenti da liberare, in stile Ubisoft;

e non è poi così difficile scegliere quale sia più plausibile.

Le torri di Ubisoft e la lista della spesa

La struttura open world gergalmente definita “alla Ubisoft” invece, l’abbiamo vista in maniera embrionale nel primo Assassin’s Creed – rappresentando una coesione totale – per poi esplodere definitivamente nelle versioni espanse, e più dispersive, rappresentate da Assassin’s Creed 2 e Far Cry 3.

A differenza della formula adottata da The Witcher 3, quella Ubisoft non prevede generalmente dei livelli per le missioni, per il nostro personaggio o per i nemici; la progressione dell’avatar avviene tramite un sistema di abilità sbloccabili più o meno a piacimento, e attraverso l’ampliamento del proprio armamentario ed inventario. Il gameplay loop poi non è strettamente legato alla narrativa e alla tipologia della quest scelta, ma bensì alla liberazione di avamposti, alle attività di potenziamento del proprio armamentario e alle missioni principali generalmente molto più narrative e scriptate.

Anche in questo caso, spesso, la struttura open world manca di coesione. Si passa da una missione tragica nella quale i nostri amici vengono uccisi allo svolgimento di una attività molto leggera, ironica o a volte proprio demenziale. Il potere di scelta dato al giocatore attraverso questa struttura open world da “parco giochi” può generare delle situazioni paradossali, fortemente incoerenti. Ne è un esempio l’estrema improbabilità che un ragazzo di venticinque anni, qual è Jason Brody (protagonista di Far Cry 3), per quanto atletico, riesca a diventare in poco tempo un macchina di morte fredda e spietata.

In Assassin’s Creed 2 Ezio, un membro degli assassini in cerca di vendetta, potrà decidere di picchiare qualche marito birbante: gli basta solo la parola di una passante e un dito puntato,

Anche qui le attività secondarie di questi giochi sono in grado di rompere la coesione e spezzare l’atmosfera e il ritmo narrativo. Ancora: Ezio è pronto per eliminare il suo grande nemico ma, se invece di recarci sul luogo della missione principale decidiamo di andare in giro per Firenze, potremmo passare la giornata a fare shopping comprando diverse cappe colorate o magari dare sfogo alla nostra vena imprenditoriale acquistando delle attività commerciali. Stessa domanda di prima: per quale motivo sono state inserite queste attività?

Nei primi Assassin’s Creed, nei Far Cry (fatta eccezione per il 2) e in Watch Dogs (con qualche miglioramento in Legion), le attività secondarie sono organizzate a mo di “lista della spesa“. Questa suddivisione può condurre addirittura a una confusione tale per cui sarà complicato ricordare se gli incarichi che stiamo svolgendo siano funzionali al racconto o se, semplicemente, stiamo spuntando la lista per vedere la percentuale di completamento crescere.

Il menù dei progressi di Far Cry 3. “Cosa mi manca per arrivare al 100%?”.

La coesione totale di Mad Max

In questo marasma di open world così ricchi di attività eterogenee e poco concentrate verso un fine ben preciso e coerente, nel 2015 venne fuori, nel silenzio più assoluto, Mad Max, un gioco sviluppato da Avalanche Studios e strettamente legato a quella sorta di soft reboot cinematografico, uscito nel 2015, Mad Max Fury Road. Più precisamente, vengono riprese le fazioni, l’estetica e l’atmosfera presente nel film diretto da Georg Miller, ma con una storia inedita e situazioni, personaggi completamente diversi.

La particolarità di questo gioco ad alto budget è la presenza di una formula open world di matrice “ubisoftiana” estremamente coerente, coesa e ben strutturata in tutte le sue parti, dalla trama, alle tematiche fino alle attività secondarie. Una vera e propria rarità nel panorama dei tripla A con struttura open world.

Il gioco riprende in pieno l’estetica e la mitologia del film pur presentando una storia inedita e alternativa.

L’incipit narrativo di Mad Max è semplice ed efficace: Max, come la sua controparte cinematografica, ha perso la sua famiglia e cerca di sopravvivere in questo mondo post-apocalittico duro e crudele. Le visioni tragiche del suo passato lo tormentano e lo spingono a cercare le pianure del silenzio, un luogo leggendario e mitico nella quale Max spera di trovare la pace interiore.

All’inizio del gioco Max perderà la sua amata auto (praticamente tutta la sua vita) a causa degli War Boys guidati da Scabrous Scrotus e farà la conoscenza di Chumbucket, un meccanico deforme che lo aiuterà a rimettersi in piedi e riprendere la sua ricerca che lo porterà a collaborare e/o scontrarsi con le varie bande che popolano le terre selvagge. Partendo da questa introduzione molto semplice, il giocatore avrà modo di entrare in un gameplay loop semplicemente perfetto, sia dal punto di vista della contestualizzazione che da quello della coesione.

Le terre desolate di Mad Max sono divise in regioni: ogni regione ha una fortezza ed una fazione che in qualche modo sta venendo oppressa dallo strapotere degli War Boys. Il semplice girovagare può portarci a scontrarci con un manipolo di banditi: che siano piccoli gruppi di razziatori o membri di una fazione organizzata, questi incontri casuali tengono il ritmo del gioco sempre e alto e creano contenuto coerente anche durante i semplici spostamenti tra una attività all’altra, senza dover ricorrere a deboli giustificazioni per portarti a uccidere.

Ogni attività che si potrà svolgere in Mad Max è focalizzata verso un fine ben preciso: permettere a Max di potenziare se stesso e la sua auto, smontando un pezzo alla volta la tirannia di Scabrous, così da potersi mettere alla ricerca delle colline del silenzio, una pace che forse non fa parte di questo mondo: il mondo di Max così come quello dei videogiochi, sempre più iper-violenti.

La mappa di Mad Max presenta tante attività, cosi come nella maggior parte dei giochi open world, ma qui è tutto coerente con il racconto.


In Mad Max è impossibile fare un attività slegata e incoerente, come avviene molto spesso nei già citati Far Cry, in The Witcher 3 o in Assassin’s Creed; distruggere una fortezza, abbattere un monumento dedicato agli War Boys, svolgere compiti per una fazione o attaccare un convoglio che trasporta dei materiali ha perfettamente senso nella progressione narrativa di Max.
Svolgere queste attività gli permette, al contempo, di racimolare risorse, potenziare la sua auto, potenziare se stesso e stringere legami con alcune fazioni. Quest’ultima attività ci garantirà diversi vantaggi, quali posti sicuri in cui rifugiarsi, benzina, munizioni e rottami vari che potremmo usare per costruire la nostra auto su misura.

All’atto pratico la struttura ricorda molto quella degli Assassin’s Creed fino a Syndicate, ma qui non ci sono mariti infedeli da picchiare, o situazioni simpatiche e fuori contesto.
Le terre desolate sono crudeli e violente e le attività svolte dal giocatore non abbandonano mai questi binari, raccontando e ampliando il discorso anche durante quelle attività che negli altri giochi sopracitati risultano come fetch quest slegate e da lista della spesa.

Avalanche Studios è riuscita a tenere coesa anche l’atmosfera sporca, cruda e aggressiva delle terre desolate. I combattimenti sono estremamente duri, con esplosioni, sangue, polvere e mutilazioni. Il sistema di combattimento in stile Batman Arkham è stato adattato e modificato alla perfezione, riuscendo a trasmettere tutta la violenza e la crudeltà del contesto narrativo. Gli scontri a fuoco sono più rari per via della scarsa reperibilità dei proiettili e questo giustifica la grande mole di combattimenti corpo a corpo che il gioco presenta.

Allo stesso modo gli scontri tra i veicoli non tradiscono l’atmosfera cupa, rimanendo sempre verosimili e tattici senza mai raggiungere il livello più esagerato e caciarone che possiamo trovare in Just Cause, sviluppato dalla stessa software house.

I combattimenti sono violentissimi e trasmettono molto bene l’atmosfera di un mondo post-apocalittico popolato da piscopatici.

Progressione, sistemi e contesto

In Mad Max le battaglie su quattro ruote sono importanti tanto quanto il combattimento corpo a corpo e il game design è meravigliosamente sistemico e legato direttamente al sistema di progressione.
Gli upgrade dell’auto non sono solo i classici potenziamenti passivi tipici di questo genere di giochi, ma sono dei veri e propri game changing, in grado di modificare le situazioni e gli scontri.

Il giocatore non dovrà passivamente sbloccare pezzi sempre più potenti dell’auto ma dovrà costruirla riflettendo sui pezzi da installare così da indirizzare e assecondare il suo modo di combattere. Potrà sbloccare l’arpione, cosi da smontare le portiere e tirare via l’autista; oppure aggiungere degli spuntoni laterali per speronare; o magari alleggerire l’auto, per essere più veloce e colpire gli avversari con il fucile, evitando il più possibile le collisioni. La progressione dell’auto ha un impatto diretto sul gameplay e gli scontri sistemici ci evitano quelle situazioni troppo leggibili o scriptate.

Più o meno allo stesso modo lo sviluppo di Max ci permette di affrontare il corpo a corpo avendo a disposizioni diverse abilità attive, quali le uccisioni istantanea mediante i coltelli, ovvero le spallate e i calci per sbilanciare i nemici; ci sono perfino colpi devastanti attivabili sfruttando l’ambiente. Sicuramente c’è meno varietà rispetto alle interazioni proposte da Sleeping Dogs o alla mole di abilità proposte da Middle-earth: Shadow of War, però l’intero pacchetto risulta completo e soddisfacente.

Le attività secondarie ci permettono di recuperare pezzi e sbloccare nuovi potenziamenti per l’auto.

Durante le nostre traversate, poi, ci porteremo dietro il fido Chumbucket, che sarà sempre in grado di arricchire i nostri viaggi distribuendo consigli, indicazioni e considerazioni dinamiche sul contesto narrativo delle terre desolate, un po’ come si vedrà tre anni più tardi con Mimir in God of War (Santa Monica, 2018).

Inoltre, sarà sempre lui a portarci la nostra auto qualora dovessimo trovarci a piedi e distanti dal nostro veicolo. L’auto non appare alle nostre spalle dopo aver fischiato (come Rutilia in The Witcher 3) ma sarà Chumbucket a guidarla verso di noi se spareremo in aria un razzo segnalatore. Inoltre, riparerà i danni del nostro veicolo non appena ci fermeremo in un posto sicuro, così da rendere ancor più dinamici e verosimili gli scontri tra veicoli senza perdere mai di coerenza.

Questi elementi di contestualizzazione di ogni attività svolta, dalle missioni secondarie più strutturate alle tipiche fetch quest, rendono il gameplay loop di Mad Max davvero interessante e stimolante. Ogni nostra azione ci fornirà un qualche tipo di progressione o di ricompensa e le attività secondarie assumono un valore narrativo e ludico di rilievo. Ci potrà capitare di voler saccheggiare un piccolo accampamento di banditi solo per recuperare qualche prezioso pezzo per la nostra auto o magari un importante componente che possiamo donare ad una fazione così da costruire un raccoglitore di acqua (che poi ci verrà donata gratuitamente come ricompensa). Ogni attività svolta dal giocatore ha senso per Max e per il suo obiettivo, non rompendo mai la coerenza del racconto o la sospensione dell’incredulità.

Chumbucket risolve tanti problemi di coerenza: ripara la nostra auto nel mezzo dell’azione, ci fornisce informazioni enciclopediche sui luoghi che visitiamo e ci porta la macchina nel caso in cui dovessimo allontanarci a piedi.

Un tempismo sfortunato o una formula poco divertente?

Dopo aver giocato ed apprezzato la formula open world proposta in Mad Max da Avalanche Studios, ci siamo chiesti come mai il gioco sia passato sottotraccia, spesso relegato a solito prodotto mediocre tie-in.
Le risposte potrebbero essere molteplici ma forse, guardando la data di uscita del gioco, si potrebbe pensare che sia stato pubblicato nel momento sbagliato.

Mad Max è uscito il primo settembre 2015, lo stesso giorno di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain, tre mesi dopo The Witcher 3: Wild Hunt e appena due mesi dopo Batman Arkham Knight; tre dei giochi più attesi di tutta l’ottava generazione di console.
Ovviamente non siamo qui a tessere le lodi di un capolavoro imperdibile, ma piuttosto a dare credito ad una software house, coordinata alla grande da Frank Rooke (il Game Director), che è riuscita a dare una singolare coesione ad un genere ed una formula che spesso risulta sconnessa, diluita, dissonante e/o incoerente.

Sottolineando il fatto che il gioco sia uscito nel 2015, tre anni prima di Red Dead Redemption 2 e uno di Zelda Breath of the Wild (entrambi elogiati a più riprese per la coerenza strutturale), questa frase risulterà ancora più interessante:

We wanted to make sure that everything that the player did in the open world is tied to some sort of contextual reference. I worked to make sure that the story that we are developing was fully integraded into the gameplay experience

Frank Rooke

Questa semplice dichiarazione di intenti fatta dal director del gioco, racchiude perfettamente quello che Mad Max riesce a fare. Inoltre conduce a chiedersi se, effettivamente, questa filosofia di sviluppo non dovrebbe essere la normalità per i giochi con struttura open world. Al contrario, ci troviamo sempre più spesso mondi aperti ricchissimi di attività, sempre meno utili al racconto ma molto più propensi al divertimento.

Costruire un gameplay con struttura open world, tenendo bene a mente gli obiettivi del racconto e cercando di contenere le incoerenze tipiche di queste strutture, è un segno di maturità che purtroppo non si vede così spesso. Ovviamente questo tipo di game design può certamente risultare meno divertente rispetto a un titolo che offre una certa varietà infischiandosene della coerenza ma, a volte, un gioco non deve per forza divertire per essere efficace nel comunicare e far vivere un certo tipo di esperienze.

Le tempeste di sabbia e le tempeste elettriche sono stupende visivamente e ben integrate nel gameplay


Red Dead Redemtpion 2, tre anni più tardi, ha adottato una struttura open world che affonda le sue radici in quella di GTA, ma limata e privata di alcune attività ludiche fuori fuoco e incoerenti.
Uno degli elementi che più ha generato discussioni tra i videogiocatori è risultato nell’impossibilità di giacere con le prostitute che troviamo nelle varie città: Arthur Morgan ha un messaggio da trasportare e una attività incoerente come quella è stata del tutto evitata. Come esempio opposto possiamo prendere Cyberpunk 2077, un titolo che presenta una struttura open world ricca di attività che mal si sposano con la narrazione principale, generando situazioni assurde, incoerenze e dissonanze di ogni sorta.

Mad Max, e altri pochi titoli prima e dopo di lui, hanno cercato di sfruttare la struttura open world per raccontare qualcosa, utilizzandola come strumento narrativo. Il mondo aperto come contenitore di attività ben focalizzate anziché avente funzione da “parco giochi“, ovvero un luogo in cui inserire una quantità incredibile di attività per fornire al giocatore la, proverbiale, lista della spesa.

Far Cry 2 già nel 2008 propose una struttura open world estremamente concentrata verso un fine e un racconto complesso.

In conclusione vorremmo consigliare Far Cry 2 e Mafia 3 come altri esempi virtuosi, ma mal recepiti, di coesione narrativa e tematica. Entrambi i titoli presentano una struttura open world che rifugge dalle attività superflue per dare al giocatore un gameplay loop coerente e focalizzato. Magari i giochi saranno meno divertenti di quello che sarebbero potuto essere se avessero avuto gli elicotteri, i combattimenti tra polli o le gare clandestine, ma certamente, se approcciati con il giusto spirito, possono raccontarci qualcosa anche attraverso le attività secondarie.

Alla luce di queste ultime considerazioni ci viene il dubbio se le cattive vendite siano davvero dovute alla sfortunata finestra di lancio o, magari, proprio alla struttura dell’open world meno divertente e varia. Quello che sappiamo però, è che c’erano in cantiere altri due capitoli del franchise, che sarebbero stati sviluppati da Cory Barlog (God Of War) e da Interplay Entertaiment ma, a seguito dell’insuccesso commerciale, i giochi sono stati cancellati.

A voi l’ardua sentenza.

VC