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Oltre il sogno americano: Banana Fish e J. D. Salinger

A un primo ascolto pare un nome buffo, innocuo addirittura, ma è in realtà presagio di morte. Porta con sé dolore e sventura, e il solo udirne il nome fa accapponare la pelle. Bananafish – o pescebanana – è un personaggio, o sarebbe meglio dire un concetto, ideato dallo scrittore statunitense J. D. Salinger all’interno del racconto “Un giorno ideale per i pescibanana”, contenuto nella raccolta Nove Racconti (1948). Banana Fish è anche il titolo del manga scritto e disegnato da Akimi Yoshida (1985-94) che è tornato a far parlare di sé dopo l’adattamento animato del 2018, che ha riacceso quel senso agrodolce di nostalgia capace di fondere orrore e fascinazione, vita e morte, che solo la visione del pescebanana riesce a evocare.

Mass Effect e l’happy ending di Shepard: omaggio o rivalsa?

di Francesco Toniolo

È giusto che il comandante Shepard della serie Mass Effect abbia il suo lieto fine? È una sorta di diritto dei personaggi finzionali? È una domanda che si sono posti in molti. Basta cercare “happy ending for Shepard” su Google (o ricerche analoghe) per trovare un gran numero di discussioni nei forum. La questione è particolarmente complessa, nel caso di Mass Effect, perché è inevitabilmente intrecciata alle numerose e durature polemiche che emersero sul finale del terzo episodio. C’è stata – e c’è tutt’ora – una sovrapposizione di differenti lamentele, facilmente contrastabili una volta radunate tutte insieme, anche se vanno in direzioni differenti.

Robert Nozick avrebbe giocato a Starfield

C’è un nonsoché di intrinsecamente libero nello spazio – per sua stessa natura res nullius, frontiera, dimensione troppo grande per essere assoggettata alle leggi che generalmente regolano l’acquisizione dei beni nell’attualità umana. Un luogo che non può essere raccontato attraverso la pietra angolare di ogni grande teoria liberale, cioè la proprietà privata, perché incapace di essere da essa contenuto a livello concettuale.

Far Cry 2 – 2008/2024: Affinità-Divergenze Postcoloniali tra il compagno Hocking e noi

Far Cry 2 è un anomalo oggetto pop. La sua uscita sul mercato, avvenuta in un momento di profondo cambiamento dell’industria del videogioco, del racconto giornalistico e dell’analisi critica e accademica a essa associati, è stata tanto snobbata dal grande pubblico quanto soggetta a un numero importante di approfondimenti e studi.

La matassa dell’Airone

Diffuso nelle sale giapponesi dalla Toho nel luglio del 2023 e a gennaio di quest’anno nelle nostre sale (e non solo), l’ultimo film diretto da Hayao Miyazaki Il ragazzo e l’Airone ha richiesto circa sette anni di lavoro, per poi riscuotere parecchio successo al botteghino in pochi giorni. Solitamente, più si procede nella carriera di un creativo e più è facile trovare spaccature nel pubblico per quanto riguarda le impressioni riguardo le sue opere.

Playdead: il silenzio è di chi lo riempie

Le monache appartenenti alla comunità di Vitorchiano dell’Ordine Cistercense della Stretta Osservanza – meglio conosciuto come Ordine Trappista – cantano questo inno nel primo dei sette momenti comuni di preghiera giornaliera, alle tre e mezza del mattino. Molto prima dell’alba, in un momento ovviamente di silenzio assoluto, le monache si ritrovano per ricordarsi che in quel silenzio è più facile riconoscere, abbracciare e rapportarsi con il “Mistero”, cioè con Dio, un Dio inconoscibile se non per Sua stessa iniziativa.

Ebbene sì, The Phantom Pain è un Immersive Sim

Con la recente uscita di The Legend of Zelda: Tears Of the Kingdom (Nintendo, 2023), si è riaperta la discussione su Immersive Sim, struttura dell’open world e gameplay emergente e, un po’ ovunque, solo gli ultimi due temi hanno occupato uno spazio centrale nel dibattito. Risulta quindi doveroso rimettere la chiesa al centro del villaggio, concentrandosi sul primo – o quasi – Immersive Sim open world “made in Japan”: Metal Gear Solid V: The Phantom Pain (Konami, 2015).

Viaggio introspettivo in “È stata la mano di Dio”

di Lina Crispino

Due strade si incontrano ortogonalmente come tende di un sipario, a introdurre un atto di pura simmetria, avvolto nel manto dispersivo della notte – sotto lo sguardo del regista Antonio Capuano e di un occhio attento che, affascinato, seguirà le sue orme. Al centro della Galleria Umberto I degli anni ’80 – ’90, apparentemente legato al vuoto, pende a testa in giù un uomo, un attore.