Skip to main content

Tag: Videogames

L’amore ci farà a pezzi: da Solanin a Florence, sola andata

L’amore ci farà a pezzi: da Solanin a Florence, sola andata

  • Alfredo Savy

  • 1 giugno 2022
  • noninteragire

Che poi, alle volte, è veramente solo questione di lampi notturni. Di quelle immagini che ti prendono, e non ti lasciano; o almeno non lo fanno per tutto il tempo che si dovrebbe dedicare al sonno. Il problema è il giorno dopo, quando le idee si schiariscono: ciò che era presente alla mente, quel collegamento così palese, non c’è più. Al contrario, diventa leggero e distante. Come quel sogno lontano a cui hai rinunciato, a cui la tua mente ha rinunciato, mentre ricostruiva i fili rossi, le tracce, i legami tra quelle due opere così diverse e distanti tra loro.
Ecco: si può dire che la connessione tra Florence e Solanin resista alla prova della mattina.

Prima le presentazioni, ove mai ce ne fosse bisogno. E le facciamo bene.
Solanin è un manga realizzato da Inio Asano (Buonanotte Punpun, La fine del mondo e prima dell’alba, Eroi), uscito sul mercato nel lontano 2005; Florence è un videogioco, sviluppato da Mountains Studio e pubblicato da Annapurna nel 2018.
Di che parlano? Meglio lasciare che lo spieghi Ian Curtis.

When routine bites hard and ambitions are low

And resentment rides high but emotions won’t grow

And we’re changing our ways, taking different roads

Then love, love will tear us apart again

Love Will Tear Us Apart, da Unknown Pleasures, Joy Division, Factory, 1980.

In questo caso, tirare in causa una delle band post-punk più influenti della storia non è solo un esercizio di stile. Florence e Solanin raccontano della morte dell’amore: e lo fanno in un modo proprio, toccante, con la musica che assume una determinata centralità in entrambi i racconti.

Joy Division live. Prendete nota della regia, servirà.

L’amore ci farà a pezzi, scandiva al microfono il per sempre ventitreenne cantautore di Stretford, UK; ed è di quel farsi fare a pezzi che queste due opere, in effetti, sono pregne. Ma anche del volersi aprire al mondo dopo un trauma, dell’alienazione del lavoro, della voglia di fuga da un certo grigiore, della crescita, della solitudine.

Insomma, a un certo punto i Joy Division si fanno New Order,

I can’t tell you where we’re going

I guess there’s just no way of knowing

True Faith, da Substence, New Order, Factory, 1987.

e la disperazione tipicamente ricollegata alla (fine della) giovinezza si trasforma in saggezza nei confronti dell’ineluttabilità delle cose, nella consapevolezza di godere di quella bellezza dell’estate sapendo che finirà, per poi ricominciare. Quelli che una volta erano Unknown Pleasures, piaceri sconosciuti figli di un inganno generazionale – bugie di una vita che sarebbe lì, pronta a lasciarsi prendere a morsi – assumono la dimensione giammai del rimpianto, ma della lezione intimamente correlata al processo di crescita. 

La violenza della passione e la gioia dell’intimità cedono il passo, in Florence e Solanin, a una riscoperta di se stessi anche e soprattutto grazie al ruolo dell’arte, vero e proprio strumento in grado di permettere l’evasione dalla morte. Quella vera e quella spirituale. Il videogiocatore e il lettore sono messi nelle condizioni di vedere tutto: errori, incomprensioni, fini e inizi. Non gli viene mai restituita una dimensione monodimensionale degli avvenimenti; una tecnica utilizzata anche in Opinioni di un clown (Böll, 1963) – e bisogna tenerlo a mente, visto che questo libro tornerà più volte, nella nostra analisi.

Far parlare il gioco, sempre una buona idea.

Eppure, oltre il messaggio, diviene centrale anche il confronto tra i due mezzi di espressione che quel messaggio, in effetti, lo veicolano. Abbiamo detto che i parallelismi tematici sono tanti e forti: la funzione della musica e dell’arte, la complessità di una relazione sentimentale, il paradigma del cambiamento. Ecco, una disamina che voglia definirsi tale non può evitare di discutere del come, oltre che del cosa. 

 E lo faremo. Oh sì che lo faremo.

Quando sei qui con me

[DISCLAIMER: di qui in poi l’articolo contiene spoiler su Solanin e Florence]

Il primo aspetto fondamentale per inquadrare il discorso è la particolare struttura di Florence. Il titolo di Mountains è visivamente organizzato per apparire come una graphic novel, un modo elegante per definire un fumetto auto-conclusivo dai contorni più o meno stabiliti.
Quindi, l’occasione appare particolarmente ghiotta per una comparazione con gli strumenti di questo mezzo di espressione, quelli utilizzati per restituire dei momenti altamente emotivi tramite l’uso sapiente della propria grammatica. Ovviamente, Solanin ne possiede di eccezionali.

Alcuni studi preliminari dei personaggi di Florence.

Su queste pagine, in passato, abbiamo parlato di Unpacking (Witch Beam, 2021) offrendo una soluzione interpretativa fondata su una riedizione dell’effetto Kulešov in salsa videoludica, e definendo di conseguenza una nuova geografia creativa. In questo caso, l’operazione sarà simile ma diversa allo stesso tempo; vogliamo sì evidenziare le peculiarità di queste forme d’arte, ma anche i meccanismi di “aggancio empatico” nei confronti dei fruitori.

Per farlo, è necessario partire dalla definizione di fumetto contenuta in Capire il fumetto (McCloud, 1993), uno dei testi fondamentali per comprenderne il linguaggio.

Juxtaposed pictorial and other images in deliberate sequence, intended to convey information and/or to produce an aesthetic response in the viewer.

Scott McCloud, Understanding Comics, 1983, cap. I

Data la contiguità tematica tra le due opere, possiamo non solo operare un’analisi critica del modo in cui ciascuna di esse organizza la propria messa in scena ma, grazie alla peculiare forma fumettistica di Florence, comprendere cosa succede se – come in effetti è accaduto – esiste un’ibridazione tra linguaggi.
Più banalmente: che ruolo ha il gameplay nella closure fumettistica? 2

Infatti, il lettore mette in atto un processo cognitivo denominato closure 1, in cui dal parziale ricava il totale, dallo speciale il generale, basandosi su una regola derivante dall’esperienza. Il lettore colma i vuoti tra vignetta e vignetta, partecipando in maniera profonda allo svolgimento dell’azione dal punto di vista interpretativo; attribuisce, quindi, tempo e spazio all’azione.

Pur non essendo una prerogativa del solo fumetto, è in questa forma d’arte che la closure trova il suo maggiore ambito di applicazione: è nel non detto che esplode la potenza di questo medium, rappresentato da quello che McCloud chiama, non senza eleganza, “limbo del margine”.

Da ciò consegue che, a seconda del modo in cui le vignette sono associate, si avranno diversi tipi di montaggio che corrispondono, a loro volta, a differenti modi di stimolare la closure. Ed è qui che torniamo a Solanin e Florence.

Fig. 0: Solanin. Montaggio parallelo.

Appare dunque evidente che il perno sia rappresentato dalle immagini: poste in una determinata sequenza, creano una risposta nel lettore. A differenza del cinema, in cui il racconto assume i connotati della fluidità, nel fumetto è proprio l’ordine in cui le vignette statiche si presentano a creare quella sensazione di movimento, e a garantire la fruizione.

Questa stanza non ha più pareti

Per rispondere a questa domanda, è utile partire da due momenti cruciali per gli snodi narrativi di Florence e Solanin, in cui salgono in cattedra la componente musicale e i processi di elaborazione del distacco. Sebbene sia vero che la relazione tra Florence Yeoh e Krish non veda la scomparsa fisica del compagno come quella tra Meiko e Taneda, è altrettanto corretto considerare le evoluzioni della psicologia di coppia che collocano l’esperienza della rottura di una relazione ai primi posti in una potenziale classifica dei traumi esistenziali (Holmes e Rahe, 1967).  

Dicevamo della musica. Florence e Solanin la considerano innanzitutto quale espediente narrativo per rappresentare simbolicamente il collante tra i personaggi, e come vera protagonista sia della fase di innamoramento di Florence che, agli antipodi, di quella di definitiva liberazione di Meiko. Inio Asano utilizza nella scena del concerto finale un montaggio aggressivo e composito, variando da quello cosiddetto definito da soggetto a soggetto a quello da momento a momento. 

Fig. 1: Solanin. Il concerto. Montaggio da soggetto a soggetto.

I movimenti di macchina di Asano sono rapidi e decisi, rappresentando plasticamente la tensione del gruppo, e la loro catarsi. C’è il dolore, l’esaltazione dovuta al ritmo che esplode dalle casse, la rabbia, la concentrazione, lo sbigottimento di chi assiste e, infine, il cruciale passaggio sulla sola Meiko. L’atto smette di essere ripreso nella sua complessità e la matita del mangaka si concentra unicamente sulla ragazza, a cui viene dedicato un fenomenale close-up di un singolo frammento. Sta lasciando Taneda, e questa volta per sempre; il che fa pendant con una vignetta precedente nella quale gli amici – tramite un montaggio diverso, questa volta parallelo – rivedono in lei proprio il giovane scomparso.

Attraverso l’utilizzo di questi espedienti, l’autore giapponese riesce a ricreare una sensazione di dolore espresso tramite l’arte, che assurge a punto cardinale della sintesi spaziale – temporale operata tramite closure. Il lettore non può sentire la musica, ma la avverte; non partecipa attivamente all’azione, ma la riempie di significato; il margine di McCloudiana memoria diventa un urlo senza fine. O, almeno, fino a quando la canzone non finisce davvero, e così la sequenza si conclude.

ig. 2: Solanin. Montaggio da momento a momento.

Al contrario, in Florence la musica segna un attimo di altrettanta liberazione, ma stavolta da un grigiore precedente e ossessivo. Mediante la sola pressione di un comando, il videogiocatore guida la ragazza lungo le note: il telefono si scarica, le cuffie vengono rimosse e si ricollega alla realtà. In questo caso, il gameplay funge da cordone ombelicale tra controllante e controllato, con il primo che riesce a sentire ciò che sente il secondo. 

Realizzandosi il tutto all’interno di una lunga e sola sequenza in movimento, il gameplay annulla la closure propria del fumetto ma amplifica la sensazione di benessere e fissa il momento nel tempo. Ed è incredibile notare come la stessa sequenza, riproposta in maniera rigidamente fumettistica, abbia un impatto e richieda uno sforzo totalmente differente.

Fig. 3: Florence. Senza gameplay, ricostruzione.

Dopo la morte di Taneda e l’addio di Krish, Asano e Mountains ci mostrano una lunga fase depressiva di Meiko e Florence, funzionale poi alla loro rinascita. Un termine comodo di comparazione è proprio il monumentale “Opinioni di un clown”, citato a inizio articolo.

C’è una bella parola: niente. Non pensare a niente. Non al Kanzler o al katholon, pensa al clown che piange nella vasca da bagno, al caffè che gli sgocciola sulle pantofole.

H. Böll, Opinioni di un clown, prima ed. 1963, Mondadori, 2001, cap. XIV.

Lo scrittore tedesco, con periodi cadenzati e un capitolo corto, stuzzica l’immaginazione del lettore e gli regala un quadro straziante di assoluta disperazione, alternando la figura di Maria alla situazione attuale di Hans Schnier. 

Fig. 4: Solanin. Montaggio da scena a scena.

In modo non totalmente dissimile, Inio Asano sceglie un montaggio da scena a scena ma con un singolo soggetto: mentre la giornata trascorre, Meiko rimane quasi immobile, finendo in posizione fetale.
In questo caso, è prodotto un contrasto emotivo: il lettore avverte il passaggio del tempo tramite la closure, ma capisce che Meiko è in uno stato catatonico. La tensione tra questi due elementi fa il resto.

Gli autori di Florence, invece, insistono sull’inversione delle operazioni di trasloco per creare una risposta data dal contrasto con l’inizio della convivenza e il conseguente spacchettamento; in questo caso, il gameplay funge da facilitatore della closure, arricchendo il senso e le coordinate spaziali – temporali.

Fig. 5: Florence. Superamento del lutto.

Perciò, se è vero che da un lato il gameplay costringa lo sviluppatore a condensare alcune sezioni e a evitare frammentazioni per ragioni strettamente ludiche, è altrettanto vero che possieda un impatto non trascurabile in termini di facilitazione dei processi di closure, arrivando ad amplificare certe sensazioni che il fumetto – dal canto suo – cerca di produrre tramite un uso sapiente del montaggio. 

Ma alberi

Come se tutto questo non fosse già abbastanza interessante, Solanin e Florence riescono anche a offrire un contributo alla discussione riguardo l’alienazione riconducibile al lavoro d’ufficio, e all’impatto di una certa macchinosità produttiva all’interno della ricerca esistenziale, tipica del passaggio dalla gioventù all’età adulta.

Come in “Opinioni di un clown” – che, si è capito, costituisce il tertium comparationis di quest’analisi – le dinamiche sentimentali sembrano, a tratti, un escamotage per aprirsi ai grandi temi generazionali e, contestualmente, indagare le dinamiche sociali di una Germania Ovest ipocrita e incapace di staccarsi con il passato, così Florence e Solanin appaiono particolarmente severi nei confronti della dimensione lavorativa3.

Asano tratteggia una condizione umiliante degli uffici e che spinge all’escapismo, nonché una tendenza a giudizi desolanti da parte di famiglia e addirittura coetanei. Florence, attraverso delle piccolissime sezioni di gameplay in cui è chiesto al giocatore di risolvere degli enigmi stupidissimi, cerca di restituire quella ripetitività di fondo del lavoro ad alta intensità e bassa qualifica.

Solanin e la critica al lavoro d’ufficio.

En passant, appare addirittura paradossale che due opere non specificamente orientate a una critica organica dei sistemi capitalistici, siano più efficaci e decise nel trasmettere certi messaggi di altri titoli, che pure quel compito si assumono per scelta.

L’ultimo esempio della categoria è certamente Citizen Sleeper (Jump Over The Age, 2022). Pur esulando da questa trattazione un’analisi più specifica del titolo e rinviando ad altre sedi una descrizione delle sue caratteristiche, non si può fare a meno di notare come un videogioco che parla di capitalismo interplanetario, alienazione e cicli di produzione si riveli poi estremamente accondiscendente nei confronti del giocatore. Così tanto da deviare il messaggio e far apparire il capitalismo delle corp esecrabile, mentre quello etico la società perfetta per ritrovare se stessi, contraddicendo le sue stesse meccaniche.

Florence e l’alienazione.

Ma non divaghiamo e non approfittiamo oltremodo della generosità dei nostri lettori. Se avete amato visceralmente Solanin, allora Florence vi coinvolgerà ed emozionerà; se avete apprezzato Florence, Solanin potrebbe aprirvi le porte di uno splendido mangaka qual è Inio Asano. E, magari, potrebbero offrirvi anche qualche riflessione ulteriore rispetto a quelle del nostro pezzo.

AAS


NOTE:

1 Per approfondire: Saitta, G. (2016). Tra cinema e fumetto: due usi del montaggio. ENTHYMEMA, (13), 75–107. https://doi.org/10.13130/2037-2426/6097

2 Per una definizione quantitativa di “gameplay” raccomandiamo la lettura di questo saggio scritto da Joan Soler-Adillon, che lo definisce come “insieme complesso composto da azioni del giocatore, regole, meccaniche”. Ne abbiamo già parlato in passato nell’approfondimento dedicato a Chinatown Detective Agency.

3 Il che appare paradossale, considerando ciò che è emerso su Mountains Studio e Ken Wong. Per approfondire, qui un ottimo editoriale sulla questione.


COMMENTA SU TELEGRAM

SUPPORTACI SU KO-FI

Continua a leggere

Red Dead Redemption II e il problema della modernità

Red Dead Redemption II e il problema della modernità

  • Vincenzo Vecchio

  • 21 gennaio 2022
  • noninteragire

[DISCLAIMER: questo articolo contiene anticipazioni sull’esperienza di Red Dead Redemption II.]

L’alba. Morire, guardando l’alba nascere, è un’immagine simbolicamente perfetta. Talmente ben congegnata, nella sua estrema semplicità, da riuscire a racchiudere in sé buona parte del senso di Red Dead Redemption II.
Arthur Morgan, il personaggio che interpretiamo, termina proprio così la sua avventura: sul crinale di una montagna, guardando il sole che sorge.

[…] son visage mal géré par la nuit

Mort à l’aube di Aimé Césaire

Morire, all’alba.

Muore così il nostro personaggio, a tre quarti scarsi della storia, alla fine di una folle corsa che punta dritto verso l’alto. Arthur Morgan non sale sulla montagna a morire perché affetto da tubercolosi in fase terminale – come farebbe un qualsiasi amerindio, portando compitamente con sè la consapevolezza della fine – ma scala la montagna spinto letteralmente dall’ultimo impeto, sospinto dal torrente di violenza che ne ha accompagnato l’intera vita. È una differenza di approccio rivelatrice, non fosse altro per la sua capacità di descrivere il sanguinoso conflitto tra colonizzatori e colonizzati, tra americani e nativi americani. 

Ma tornando sul piano naturalistico della questione, la vita è notoriamente un ciclo. Proprio in senso biologico. È, infatti, così che in natura si fa spazio al nuovo, al moderno. Morendo.
Il punto focale di Red Dead Redemption II si potrebbe ridurre a questo unico momento. Come in un romanzo dall’epica polverosa di inizio Novecento ambientato nel Selvaggio West – dove l’intero paesaggio si potrebbe sintetizzare in poche assi di legno, ossa invecchiate dal sole ed un continuo movimento stremato di cavalli su spazi infiniti da percorrere – anche in Red Dead Redemption II la natura è protagonista e maestra. Cattiva, persino perfida.
Ed è dunque la natura stessa che pone il problema fondamentale alla banda con a capo Dutch van der Linde: il problema della modernità. 

“We can’t always fight nature, John. We can’t fight change, we can’t fight gravity, we can’t fight nothin’. My whole life, all I ever did was fight…”

Dutch van der Linde

L’horror vacui della natura tende a riempire immediatamente i vuoti del vecchio mondo con il nuovo: ed è in quello spazio sempre più ristretto che una banda di fuorilegge inizia a percepire di essere ormai di troppo. Usurati e usati dalla loro stessa epoca si ritrovano a corto di terreno, a corto di spazio di esistenza, a corto di tempo, senza alcuna argomentazione precisa da opporre allo spaventoso avanzamento della modernità. È lo scontro generazionale tra padri e figli, per chi di figli naturali non ne ha, ma solo una vita di cattività e sopravvivenza da difendere. È lo scontro tra padri e figli all’interno dello scontro delle epoche che si avvicendano. 

Per sottolineare questa incombente e fatalista visione della natura, Rockstar sceglie di utilizzare una costruzione narrativa adattata, estremamente lenta e calcolata, che porta il videogiocatore ad entrare di forza nei meccanismi utili alla comprensione di uno stile di vita talmente diverso dal nostro. Una lentezza narrativa che forza il videogiocatore ad una consapevolezza davvero poco comune nei prodotti di intrattenimento recenti, che allo stesso modo lo risucchia lentamente nelle vite sospese nel tempo dei vari personaggi che abitano l’accampamento. Rockstar riesce in tal modo a catturare l’attenzione autentica del videogiocatore, che non assiste solo ad una serie di episodi di vita western, ma ad una vera e propria epopea raccontata per gradi. 

Il treno è il primo sintomo di conquista della modernità.

Il problema del padre.

La banda dei van der Linde è immersa in un trauma che riguarda padri putativi e bisogno di appartenenza. Dutch van der Linde non fa altro che intercalare ogni frase con la parola figlio quando parla ad Arthur o John. Non fa altro che sottolineare disperatamente quel legame fittizio, che lo rende non solo il capo indiscusso della banda, ma anche la figura paterna di riferimento.

Dutch van der Linde utilizza insomma una mitologia del padre come strumento per creare un inconscio collettivo junghiano che tenga incollata la banda ai propri progetti e voleri. E, considerata la scala di valori personali dei vari componenti, per il quale è lecito rubare, mentire e ammazzare per fare qualche dollaro, si capisce bene che l’operazione messa in atto dal carismatico leader rilevi più sul lato della stregoneria piuttosto che su quello del mero sentimentalismo. 

Arthur Morgan è una sorta di Houellebecq analfabeta, che tenta comunque un’analisi di quello che gli si muove intorno; ma allo stesso tempo non può sottrarsi allo svolgersi degli eventi. Un pessimista, perché consapevole della propria fine, ma anche con una certa voglia di agire. Dutch van der Linde, al contrario, è un pragmatico che scopre la follia. Diversamente dagli altri componenti della banda che hanno un inconscio in comune, quest’ultimo ne possiede uno proprio, ammantato di anarchismo e di rivendicazione permanente.

Il problema del paesaggio.

Come accennato in precedenza, il paesaggio è un affresco sintetizzato di un Selvaggio West figlio del cinema. Non è difficile infatti riconoscere in diverse fasi del videogioco alcuni dei topoï che hanno costruito, nel tempo, l’immaginario che il cinema restituisce del western. La derivazione è presto fatta: Sentieri Selvaggi (1956) per l’essenza, dato che tutto in Red Dead Redemption II parla inevitabilmente con la voce stessa di John Ford, mentre ci fissa con lo sguardo torbido di John WaynePer un pugno di dollari (1964), per i colpi di coda ed alcuni momenti di ciarlataneria, oltre che per l’incredibile gusto per l’estetica del tempo e del ritmo di Sergio Leone. Il buono, il brutto, il cattivo (1966) per definire l’anima stessa dei personaggi, in cui coesistono umanità e brutalità, violenza e cavalleria, stupidità e lealtà.

Klaus Kinski arriva ad affermare che il solo paesaggio veramente affascinante nel mondo è il volto umano1. Rockstar, a malincuore evidentemente, continua a scegliere invece il paesaggio naturalistico come primo e principale luogo dove far cadere lo sguardo, sempre. Una scelta che fa virare l’opera, ancora una volta, verso Sentieri Selvaggi piuttosto che qualunque altro racconto più intimista. Le ragioni sono ovviamente diverse e da ricercare sicuramente anche nell’esigenza di dover realizzare un videogame piuttosto che un film, per l’appunto.

John Wayne e lo sguardo torbido.

E se è vero che Rockstar tende a rendere la natura protagonista, è consequenziale che ne difenda, in tal modo, una posizione quasi conservatrice rispetto al progresso della città. Un progresso che rimane per i fuggiaschi del passato una pareidolia della modernità. La città, Saint-Denis in particolare, diventa dunque agli occhi della banda il boss di fine livello da sconfiggere per arrivare alla conclusione. D’altro canto, se Red Dead Redemption II fosse stato un videogioco arcade degli anni Novanta, si sarebbe sicuramente concluso con un poderoso scontro finale contro un boss-città. 

Per Sergio Leone il paesaggio preferito rimane il volto.

Insomma, quello che Tempi Moderni di Charlie Chaplin cercava di dire con la critica dell’era industriale, Red Dead Redemption lo descrive attraverso un monumentale scontro tra natura e cultura. La violenza infine, di cui è impregnata la quotidianità di tutta la banda, ma punteggiata di momenti di estrema delicatezza, non è altro che una violenza di natura. Come può esserlo quella di un animale selvaggio, una violenza giustificata dalle regole ambientali.

“Yeah, I’ve got violence in me, but no negative violence. My violence is the violence of the free man who refuses to knuckle under. Creation is violent. Life is violent. Birth is a violent process. Tempests and earthquakes are violent movements of nature. My violence is the violence of life. It is not violence against nature, like the violence of the state, which sends your kids to the slaughterhouse, deadens your minds, and drives out your souls!”

Klaus Kinski
The Autobiography of Klaus Kinski (1996), p. 2

Presto o tardi, tutto brucia nel mondo di Red Dead Redemption II.

Non abbiamo nemmeno accennato ad aspetti come gameplay, game design, fisica, insomma a tutto ciò che riguarda l’interazione. L’abbiamo fatto intenzionalmente: nonostante ci interessino anche queste particolarità, volevamo semplicemente focalizzarci su altro. Secondariamente, perché si è già scritto abbastanza su questi aspetti e su Red Dead Redemption II in generale.

In effetti abbiamo preferito, a diversi anni dall’uscita sul mercato del titolo, centrare la nostra attenzione su percorsi normalmente poco battuti.

VV


NOTE:

1 sottintendendo, ovviamente, in particolar modo il suo.


COMMENTA SU TELEGRAM

SUPPORTACI SU KO-FI

Continua a leggere