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Tag: 2018

L’amore ci farà a pezzi: da Solanin a Florence, sola andata

L’amore ci farà a pezzi: da Solanin a Florence, sola andata

  • Alfredo Savy

  • 1 giugno 2022
  • noninteragire

Che poi, alle volte, è veramente solo questione di lampi notturni. Di quelle immagini che ti prendono, e non ti lasciano; o almeno non lo fanno per tutto il tempo che si dovrebbe dedicare al sonno. Il problema è il giorno dopo, quando le idee si schiariscono: ciò che era presente alla mente, quel collegamento così palese, non c’è più. Al contrario, diventa leggero e distante. Come quel sogno lontano a cui hai rinunciato, a cui la tua mente ha rinunciato, mentre ricostruiva i fili rossi, le tracce, i legami tra quelle due opere così diverse e distanti tra loro.
Ecco: si può dire che la connessione tra Florence e Solanin resista alla prova della mattina.

Prima le presentazioni, ove mai ce ne fosse bisogno. E le facciamo bene.
Solanin è un manga realizzato da Inio Asano (Buonanotte Punpun, La fine del mondo e prima dell’alba, Eroi), uscito sul mercato nel lontano 2005; Florence è un videogioco, sviluppato da Mountains Studio e pubblicato da Annapurna nel 2018.
Di che parlano? Meglio lasciare che lo spieghi Ian Curtis.

When routine bites hard and ambitions are low

And resentment rides high but emotions won’t grow

And we’re changing our ways, taking different roads

Then love, love will tear us apart again

Love Will Tear Us Apart, da Unknown Pleasures, Joy Division, Factory, 1980.

In questo caso, tirare in causa una delle band post-punk più influenti della storia non è solo un esercizio di stile. Florence e Solanin raccontano della morte dell’amore: e lo fanno in un modo proprio, toccante, con la musica che assume una determinata centralità in entrambi i racconti.

Joy Division live. Prendete nota della regia, servirà.

L’amore ci farà a pezzi, scandiva al microfono il per sempre ventitreenne cantautore di Stretford, UK; ed è di quel farsi fare a pezzi che queste due opere, in effetti, sono pregne. Ma anche del volersi aprire al mondo dopo un trauma, dell’alienazione del lavoro, della voglia di fuga da un certo grigiore, della crescita, della solitudine.

Insomma, a un certo punto i Joy Division si fanno New Order,

I can’t tell you where we’re going

I guess there’s just no way of knowing

True Faith, da Substence, New Order, Factory, 1987.

e la disperazione tipicamente ricollegata alla (fine della) giovinezza si trasforma in saggezza nei confronti dell’ineluttabilità delle cose, nella consapevolezza di godere di quella bellezza dell’estate sapendo che finirà, per poi ricominciare. Quelli che una volta erano Unknown Pleasures, piaceri sconosciuti figli di un inganno generazionale – bugie di una vita che sarebbe lì, pronta a lasciarsi prendere a morsi – assumono la dimensione giammai del rimpianto, ma della lezione intimamente correlata al processo di crescita. 

La violenza della passione e la gioia dell’intimità cedono il passo, in Florence e Solanin, a una riscoperta di se stessi anche e soprattutto grazie al ruolo dell’arte, vero e proprio strumento in grado di permettere l’evasione dalla morte. Quella vera e quella spirituale. Il videogiocatore e il lettore sono messi nelle condizioni di vedere tutto: errori, incomprensioni, fini e inizi. Non gli viene mai restituita una dimensione monodimensionale degli avvenimenti; una tecnica utilizzata anche in Opinioni di un clown (Böll, 1963) – e bisogna tenerlo a mente, visto che questo libro tornerà più volte, nella nostra analisi.

Far parlare il gioco, sempre una buona idea.

Eppure, oltre il messaggio, diviene centrale anche il confronto tra i due mezzi di espressione che quel messaggio, in effetti, lo veicolano. Abbiamo detto che i parallelismi tematici sono tanti e forti: la funzione della musica e dell’arte, la complessità di una relazione sentimentale, il paradigma del cambiamento. Ecco, una disamina che voglia definirsi tale non può evitare di discutere del come, oltre che del cosa. 

 E lo faremo. Oh sì che lo faremo.

Quando sei qui con me

[DISCLAIMER: di qui in poi l’articolo contiene spoiler su Solanin e Florence]

Il primo aspetto fondamentale per inquadrare il discorso è la particolare struttura di Florence. Il titolo di Mountains è visivamente organizzato per apparire come una graphic novel, un modo elegante per definire un fumetto auto-conclusivo dai contorni più o meno stabiliti.
Quindi, l’occasione appare particolarmente ghiotta per una comparazione con gli strumenti di questo mezzo di espressione, quelli utilizzati per restituire dei momenti altamente emotivi tramite l’uso sapiente della propria grammatica. Ovviamente, Solanin ne possiede di eccezionali.

Alcuni studi preliminari dei personaggi di Florence.

Su queste pagine, in passato, abbiamo parlato di Unpacking (Witch Beam, 2021) offrendo una soluzione interpretativa fondata su una riedizione dell’effetto Kulešov in salsa videoludica, e definendo di conseguenza una nuova geografia creativa. In questo caso, l’operazione sarà simile ma diversa allo stesso tempo; vogliamo sì evidenziare le peculiarità di queste forme d’arte, ma anche i meccanismi di “aggancio empatico” nei confronti dei fruitori.

Per farlo, è necessario partire dalla definizione di fumetto contenuta in Capire il fumetto (McCloud, 1993), uno dei testi fondamentali per comprenderne il linguaggio.

Juxtaposed pictorial and other images in deliberate sequence, intended to convey information and/or to produce an aesthetic response in the viewer.

Scott McCloud, Understanding Comics, 1983, cap. I

Data la contiguità tematica tra le due opere, possiamo non solo operare un’analisi critica del modo in cui ciascuna di esse organizza la propria messa in scena ma, grazie alla peculiare forma fumettistica di Florence, comprendere cosa succede se – come in effetti è accaduto – esiste un’ibridazione tra linguaggi.
Più banalmente: che ruolo ha il gameplay nella closure fumettistica? 2

Infatti, il lettore mette in atto un processo cognitivo denominato closure 1, in cui dal parziale ricava il totale, dallo speciale il generale, basandosi su una regola derivante dall’esperienza. Il lettore colma i vuoti tra vignetta e vignetta, partecipando in maniera profonda allo svolgimento dell’azione dal punto di vista interpretativo; attribuisce, quindi, tempo e spazio all’azione.

Pur non essendo una prerogativa del solo fumetto, è in questa forma d’arte che la closure trova il suo maggiore ambito di applicazione: è nel non detto che esplode la potenza di questo medium, rappresentato da quello che McCloud chiama, non senza eleganza, “limbo del margine”.

Da ciò consegue che, a seconda del modo in cui le vignette sono associate, si avranno diversi tipi di montaggio che corrispondono, a loro volta, a differenti modi di stimolare la closure. Ed è qui che torniamo a Solanin e Florence.

Fig. 0: Solanin. Montaggio parallelo.

Appare dunque evidente che il perno sia rappresentato dalle immagini: poste in una determinata sequenza, creano una risposta nel lettore. A differenza del cinema, in cui il racconto assume i connotati della fluidità, nel fumetto è proprio l’ordine in cui le vignette statiche si presentano a creare quella sensazione di movimento, e a garantire la fruizione.

Questa stanza non ha più pareti

Per rispondere a questa domanda, è utile partire da due momenti cruciali per gli snodi narrativi di Florence e Solanin, in cui salgono in cattedra la componente musicale e i processi di elaborazione del distacco. Sebbene sia vero che la relazione tra Florence Yeoh e Krish non veda la scomparsa fisica del compagno come quella tra Meiko e Taneda, è altrettanto corretto considerare le evoluzioni della psicologia di coppia che collocano l’esperienza della rottura di una relazione ai primi posti in una potenziale classifica dei traumi esistenziali (Holmes e Rahe, 1967).  

Dicevamo della musica. Florence e Solanin la considerano innanzitutto quale espediente narrativo per rappresentare simbolicamente il collante tra i personaggi, e come vera protagonista sia della fase di innamoramento di Florence che, agli antipodi, di quella di definitiva liberazione di Meiko. Inio Asano utilizza nella scena del concerto finale un montaggio aggressivo e composito, variando da quello cosiddetto definito da soggetto a soggetto a quello da momento a momento. 

Fig. 1: Solanin. Il concerto. Montaggio da soggetto a soggetto.

I movimenti di macchina di Asano sono rapidi e decisi, rappresentando plasticamente la tensione del gruppo, e la loro catarsi. C’è il dolore, l’esaltazione dovuta al ritmo che esplode dalle casse, la rabbia, la concentrazione, lo sbigottimento di chi assiste e, infine, il cruciale passaggio sulla sola Meiko. L’atto smette di essere ripreso nella sua complessità e la matita del mangaka si concentra unicamente sulla ragazza, a cui viene dedicato un fenomenale close-up di un singolo frammento. Sta lasciando Taneda, e questa volta per sempre; il che fa pendant con una vignetta precedente nella quale gli amici – tramite un montaggio diverso, questa volta parallelo – rivedono in lei proprio il giovane scomparso.

Attraverso l’utilizzo di questi espedienti, l’autore giapponese riesce a ricreare una sensazione di dolore espresso tramite l’arte, che assurge a punto cardinale della sintesi spaziale – temporale operata tramite closure. Il lettore non può sentire la musica, ma la avverte; non partecipa attivamente all’azione, ma la riempie di significato; il margine di McCloudiana memoria diventa un urlo senza fine. O, almeno, fino a quando la canzone non finisce davvero, e così la sequenza si conclude.

ig. 2: Solanin. Montaggio da momento a momento.

Al contrario, in Florence la musica segna un attimo di altrettanta liberazione, ma stavolta da un grigiore precedente e ossessivo. Mediante la sola pressione di un comando, il videogiocatore guida la ragazza lungo le note: il telefono si scarica, le cuffie vengono rimosse e si ricollega alla realtà. In questo caso, il gameplay funge da cordone ombelicale tra controllante e controllato, con il primo che riesce a sentire ciò che sente il secondo. 

Realizzandosi il tutto all’interno di una lunga e sola sequenza in movimento, il gameplay annulla la closure propria del fumetto ma amplifica la sensazione di benessere e fissa il momento nel tempo. Ed è incredibile notare come la stessa sequenza, riproposta in maniera rigidamente fumettistica, abbia un impatto e richieda uno sforzo totalmente differente.

Fig. 3: Florence. Senza gameplay, ricostruzione.

Dopo la morte di Taneda e l’addio di Krish, Asano e Mountains ci mostrano una lunga fase depressiva di Meiko e Florence, funzionale poi alla loro rinascita. Un termine comodo di comparazione è proprio il monumentale “Opinioni di un clown”, citato a inizio articolo.

C’è una bella parola: niente. Non pensare a niente. Non al Kanzler o al katholon, pensa al clown che piange nella vasca da bagno, al caffè che gli sgocciola sulle pantofole.

H. Böll, Opinioni di un clown, prima ed. 1963, Mondadori, 2001, cap. XIV.

Lo scrittore tedesco, con periodi cadenzati e un capitolo corto, stuzzica l’immaginazione del lettore e gli regala un quadro straziante di assoluta disperazione, alternando la figura di Maria alla situazione attuale di Hans Schnier. 

Fig. 4: Solanin. Montaggio da scena a scena.

In modo non totalmente dissimile, Inio Asano sceglie un montaggio da scena a scena ma con un singolo soggetto: mentre la giornata trascorre, Meiko rimane quasi immobile, finendo in posizione fetale.
In questo caso, è prodotto un contrasto emotivo: il lettore avverte il passaggio del tempo tramite la closure, ma capisce che Meiko è in uno stato catatonico. La tensione tra questi due elementi fa il resto.

Gli autori di Florence, invece, insistono sull’inversione delle operazioni di trasloco per creare una risposta data dal contrasto con l’inizio della convivenza e il conseguente spacchettamento; in questo caso, il gameplay funge da facilitatore della closure, arricchendo il senso e le coordinate spaziali – temporali.

Fig. 5: Florence. Superamento del lutto.

Perciò, se è vero che da un lato il gameplay costringa lo sviluppatore a condensare alcune sezioni e a evitare frammentazioni per ragioni strettamente ludiche, è altrettanto vero che possieda un impatto non trascurabile in termini di facilitazione dei processi di closure, arrivando ad amplificare certe sensazioni che il fumetto – dal canto suo – cerca di produrre tramite un uso sapiente del montaggio. 

Ma alberi

Come se tutto questo non fosse già abbastanza interessante, Solanin e Florence riescono anche a offrire un contributo alla discussione riguardo l’alienazione riconducibile al lavoro d’ufficio, e all’impatto di una certa macchinosità produttiva all’interno della ricerca esistenziale, tipica del passaggio dalla gioventù all’età adulta.

Come in “Opinioni di un clown” – che, si è capito, costituisce il tertium comparationis di quest’analisi – le dinamiche sentimentali sembrano, a tratti, un escamotage per aprirsi ai grandi temi generazionali e, contestualmente, indagare le dinamiche sociali di una Germania Ovest ipocrita e incapace di staccarsi con il passato, così Florence e Solanin appaiono particolarmente severi nei confronti della dimensione lavorativa3.

Asano tratteggia una condizione umiliante degli uffici e che spinge all’escapismo, nonché una tendenza a giudizi desolanti da parte di famiglia e addirittura coetanei. Florence, attraverso delle piccolissime sezioni di gameplay in cui è chiesto al giocatore di risolvere degli enigmi stupidissimi, cerca di restituire quella ripetitività di fondo del lavoro ad alta intensità e bassa qualifica.

Solanin e la critica al lavoro d’ufficio.

En passant, appare addirittura paradossale che due opere non specificamente orientate a una critica organica dei sistemi capitalistici, siano più efficaci e decise nel trasmettere certi messaggi di altri titoli, che pure quel compito si assumono per scelta.

L’ultimo esempio della categoria è certamente Citizen Sleeper (Jump Over The Age, 2022). Pur esulando da questa trattazione un’analisi più specifica del titolo e rinviando ad altre sedi una descrizione delle sue caratteristiche, non si può fare a meno di notare come un videogioco che parla di capitalismo interplanetario, alienazione e cicli di produzione si riveli poi estremamente accondiscendente nei confronti del giocatore. Così tanto da deviare il messaggio e far apparire il capitalismo delle corp esecrabile, mentre quello etico la società perfetta per ritrovare se stessi, contraddicendo le sue stesse meccaniche.

Florence e l’alienazione.

Ma non divaghiamo e non approfittiamo oltremodo della generosità dei nostri lettori. Se avete amato visceralmente Solanin, allora Florence vi coinvolgerà ed emozionerà; se avete apprezzato Florence, Solanin potrebbe aprirvi le porte di uno splendido mangaka qual è Inio Asano. E, magari, potrebbero offrirvi anche qualche riflessione ulteriore rispetto a quelle del nostro pezzo.

AAS


NOTE:

1 Per approfondire: Saitta, G. (2016). Tra cinema e fumetto: due usi del montaggio. ENTHYMEMA, (13), 75–107. https://doi.org/10.13130/2037-2426/6097

2 Per una definizione quantitativa di “gameplay” raccomandiamo la lettura di questo saggio scritto da Joan Soler-Adillon, che lo definisce come “insieme complesso composto da azioni del giocatore, regole, meccaniche”. Ne abbiamo già parlato in passato nell’approfondimento dedicato a Chinatown Detective Agency.

3 Il che appare paradossale, considerando ciò che è emerso su Mountains Studio e Ken Wong. Per approfondire, qui un ottimo editoriale sulla questione.


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Frostpunk trasforma il Videogiocatore nel Leviatano

Frostpunk trasforma il Videogiocatore nel Leviatano

  • Alfredo Savy

  • 9 giugno 2021
  • noninteragire

Nella vita primitiva non vi è la presenza dell’arte; alcuna società costituita; e ciò che è peggio, la paura continua, il pericolo di una morte violenta; la vita dell’uomo è confinata nella solitudine, nella povertà, nella sporcizia, nella brutalità e infine la durata della vita è alquanto breve.

Thomas Hobbes, Leviatano, 1651.

Nel 2018 lo sviluppatore polacco indie 11 bit studios ha dato alla luce Frostpunk, un videogioco gestionale post-apocalittico che parte da una premessa semplice: dopo un importante evento climatico, la Terra è ormai quasi completamente ghiacciata e ci si aspetta che possa andare sempre peggio.

Ambientato in un’età vittoriana alternativa e caratterizzata da una forte dimensione steampunk, Frostpunk vede gli operosi uomini britannici di fine Ottocento affrontare il cataclisma nell’unico modo che conoscono: rimboccandosi le maniche. E così abbandonano le città, edificandone di nuove attorno a un generatore di calore; ciò condurrà alla nascita anche di New London, nuova casa per gli infreddoliti abitanti d’Albione.

La città deve sopravvivere?

Se la premessa di Frostpunk è lontana da un profilo di originalità – trattandosi di un ribaltamento  concettuale di Mad Max, tra i tanti – il modo in cui tale causa di giustificazione si riverbera nelle meccaniche di gameplay e codifica un determinato discorso è tutt’altro che banale.

Frostpunk è un videogioco politico. Ciò non sorprende, poiché 11 bit studios ha già dimostrato di sapersi districare in materie spinose con il precedente This War of Mine (2014), un ottimo survival sorprendentemente ispirato all’assedio di Sarajevo; in un certo senso, però, mentre quest’ultimo si poneva l’obiettivo di spingere il videogiocatore a riflettere delle atrocità nei confronti della popolazione civile perpetrate da un conflitto armato vicino nel tempo, il fine di Frostpunk è più stratificato. Da un lato, infatti, è un gioco dalla meravigliosa estetica che approccia le linee del fantastico e dell’ucronia più pura, insistendo su una chiave prettamente emozionale; dall’altro è un freddo trattato di scienza politica e filosofia del diritto, capace di cavalcare alcune tematiche che fondano la dicotomia Autorità – Libertà.

Videogiocatori e Leviatani, NPC e individui.

Andando in profondità, appare subito chiaro che l’escamotage narrativo – oltre a conferire un’innata dose di fascino da fine del mondo al videogioco – serva come piattaforma concettuale per restituire visivamente l’idea di stato di natura di matrice Hobbesiana (dall’opera di Thomas Hobbes, 1588-1679). Il territorio che si affaccia all’esterno di New London è infatti sconfinato e ferale, dominato unicamente dalla tempesta e dalla roulette biologica. 

Hobbes, Locke e Rousseau. Una comparazione sul contratto sociale.

In effetti, questa visione culturale in cui viene opposta la creazione di una società civile al caos del più forte, ribalta quella aristotelica dell’uomo come animale socievole. L’essere umano viene identificato, piuttosto, come una creatura dall’intrinseca conflittualità senza alternative che sottomettersi a un Sovrano, come moltitudine gommosa, al fine di invalidare le prevaricazioni individuali, dell’uomo sull’uomo. In tali circostanze non può far altro che emergere, maestoso, il mostro marino del Leviatano: un’autorità centralizzata e stabile, con il compito di strutturare un comando positivo sottraendo i destinatari da una condizione di perenne incertezza.
Insomma, è la nascita dello Stato.

In Frostpunk tale avvenimento, nella sua accezione più atomizzata, quella di città-stato, è simboleggiato visivamente dall’accensione del generatore. Il generatore è un fuoco prometeico attorno al quale si crea il pactum unionis, la prima fase di contrattualizzazione sociale. Gli NPC accettano di essere guidati dal Videogiocatore, emerso dal nulla proprio come il Leviatano di Hobbes e nei confronti del quale si sottomettono (pactum subiectionis), affidandogli il potere assoluto.

Non è un caso che il tutorial di Frostpunk presenti immediatamente al Capitano l’utilizzabilità del Codice, una raccolta di editti che modellano la società secondo gli obiettivi fissati di volta in volta. Dal lavoro minorile alla durata dei turni produttivi, la Legge è strumento di garanzia non in termini di appellabilità nei confronti di chi l’ha emanata ma di semplice certezza del diritto e della riconoscibilità autoritativa del redattore.

Una panoramica del Codice. In chiaro gli editti attivati dal giocatore.

La Legge diventa lo strumento del Leviatano-Videogiocatore; gli NPC-cittadini, ognuno con bisogni e compiti individuali, rappresentano invece una metafora del passaggio dalle società armoniche (oggi intese in termini di formazioni sociali dai sistemi costituzionali) all’individuo appropriativo. Una riedizione videoludica della modernità.

Alla base del contratto sociale di Frostpunk c’è la sopravvivenza. La comunità diviene tale perché desidera sopravvivere: solo in base all’incapacità gestionale del leader si potrebbe andare incontro a una forma di recedibilità, nella misura in cui sia Videogiocatore che NPC possono essere allontanati da New London.

Malcontenti e speranze.

I due indicatori che governano la partita e ne determinano l’eventuale game-over sono quelli del malcontento e della speranza. Solo apparentemente sovrapponibili, il malcontento riguarda l’insofferenza verso le politiche sociali ed economiche del Leviatano, mentre la speranza afferisce al considerare New London più vivibile del mondo che i coloni si sono lasciati alle spalle. Ci sono numerose interazioni tra le due grandezze e differenti modi in cui alcuni parametri possono variarle in meglio e in peggio: scarsezza di cibo, lontananza o spegnimento del generatore – e quindi mancanza di fonti di calore – condizioni lavorative e sanitarie. Al Leviatano è lasciata la possibilità di effettuare un fine tuning tra le necessità, individuali e collettive, degli NPC per stabilire dei punti di ottimo ed evitare il tracollo della città.

Ordine o Fede?

Ovviamente, il giocatore potrà costruire delle attività ludiche allo scopo di mitigare situazioni difficili. In questo caso, le parole di Etienne De La Boétie risultano quantomai attuali per descrivere le scelte di game design:

Ma l’astuzia dei tiranni nell’abbruttire i propri sudditi si dà a vedere nel modo più chiaro in quel che Ciro fece ai Lidi […] escogitò un grande espediente per assicurarsela: fece aprire bordelli, taverne e sale da gioco, emanando un’ordinanza che obbligava gli abitanti a frequentarli.

Etienne De La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, 1576.

L’elemento post-apocalittico di Frostpunk sembra quasi risolvere l’elemento ostativo che aveva caratterizzato la dottrina filosofica di La Boétie, incapace di scovare il perché degli uomini liberi decidano volontariamente di sottoporsi a un sovrano, in una elegante commistione di necessità narrative e richiami intellettuali. Questo modus operandi costituisce un elemento di distinzione rispetto ad altri gestionali di grande successo come – ad esempio – la serie Tropico.

Un po’ di fascismo…

Non solo. A circa metà dello scenario principale “A New Hope”, che funge come campagna vera e propria, Frostpunk introduce un bivio politico, con il Videogiocatore-Leviatano che viene chiamato a scegliere tra Ordine e Fede. Per risolvere una crisi interna, New London potrà diventare una distopia religiosa oppure paramilitare, optando per una gestione dell’ordine pubblico sacerdotale o affidata a una milizia direttamente dipendente dal Capitano. 

E così, giungendo alla fine dei rispettivi percorsi, il Capitano si trasformerà in un Fuhrer ante-litteram o nel supremo sacerdote della sua personale religione, adottando in ogni caso delle politiche potenzialmente repressive. In questo caso è abbastanza palese l’influsso che potrebbe aver avuto BioShock Infinite sullo sviluppatore polacco: soprattutto nella ramificazione teocratica, New London sembra quasi indossare i panni di Columbia, con una spruzzatina steampunk in più e Art Noveau in meno.

…e un’esecuzione teocratica.

Dopotutto il generatore, appunto simbolo del potere costituito, veste le insegne religiose o squadriste del Capitano a seconda della scelta fatta in principio o dell’andamento all’interno del percorso; una volta concluso, sarà possibile ottenere perfino un comodo patibolo su cui eseguire condanne capitali e diminuire il malcontento, mentre la speranza si trasformerà in obbedienza o devozione. Chiudendo definitivamente quel pactum subiectionis, che diventa ora sostanzialmente non recedibile.

Moralità e necessità.

Survival’s not fair. No, it’s shit. It’s fear, and it’s greed. Fate pushed through the bowels of men.

Dunkirk, di Cristopher Nolan (2017).

Sebbene le coordinate ideologiche di Frostpunk rimangano quelle appena descritte, è necessario specificare come una partita permetta di modulare notevolmente l’intervento del Leviatano nella società, giungendo addirittura a una struttura più simile al pactum societatis tipicamente ricondotto all’opera di John Locke (1632-1704), in cui il Capitano assume i compiti di un regolatore e non di un tiranno. O almeno di un buon tiranno.

In generale, Frostpunk mette in continuazione il Videogiocatore di fronte a scelte morali che permettono di interpretare un determinato ruolo nella conduzione della società, un ruolo che si muove da quello del malleabile sindaco a quello dell’inflessibile generalissimo. Si potrà decidere se accettare o meno un numero sempre più alto di rifugiati; se investire in protesi oppure in eutanasia; se automatizzare i processi produttivi o delegarli al fattore umano; se esplorare i dintorni o risparmiare forza lavoro, tenendo sempre a mente la scarsità delle risorse, la progressiva diminuzione della temperatura e dello spazio, l’inesorabile passaggio del tempo. Oltre alla difficoltà intrinseca alla gestione di una città sempre più grande e con bisogni diversi, s’intende.

Sopravvivere ha un costo.

Frostpunk è un gioco complesso, un gioco che non fa sconti. E che, alla fine, tra i tanti pensatori utilizzati per costruirne il complesso substrato culturale, pare inserire anche Nietzsche. In particolare 11 bit studios pare citarlo nel momento in cui, al termine di ogni partita portata a termine, tirerà le somme sull’operato del Leviatano e su quanto sia costato far sopravvivere la comunità e se ne sia valsa la pena.

Frostpunk è uno specchio. E ci ricorda – collegandosi spiritualmente alla citazione di Dunkirk in apertura di paragrafo – quale sia il prezzo della sopravvivenza.

AAS


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