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Adolescenti queer a fumetti: Ladra e Laura Dean continua a lasciarmi

Siamo ormai a più di metà giugno e in pieno Pride Month. L’anno scorso vi abbiamo consigliato una serie tv perfetta da guardare durante il mese più colorato dell’anno. Oggi vogliamo invece darvi due consigli di lettura: due fumetti queer in cui i protagonisti sono dei teenager. L’adolescenza, nella maggior parte dei casi, è il periodo della vita in cui più cambiamo, cresciamo e iniziamo a scoprire e a formare la nostra identità; è il tempo delle prime scelte e degli sbagli, delle avventure e dei primi amori. E per molti, è anche il tempo del coming-out.

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L’Asia racconta il bullismo: The Glory, Heaven e Golo Zhao

L’Asia ha un problema col bullismo? Ce l’abbiamo tutti nel mondo, questo è certo e anche molto avvilente. Sono sempre numerose le opere pubblicate ogni anno che trattano questo tema nella speranza – a volte anche con una comprensibile amara disillusione – che un giorno non ci sarà più bisogno di parlarne. Pensiamo, a tal proposito, ad alcune opere di successo uscite negli ultimi anni: la serie Tredici, il romanzo per ragazzi (e poi film) Wonder, e molti manga tra cui ricordiamo A Silent Voice, Oltre le Onde e My Capricorn Friend.

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Memento: la depressione non è debolezza

Nonostante la (timida) sensibilizzazione degli ultimi anni e l'incremento di persone che ne soffrono, parlare di disturbi mentali risulta ancora un tabù. Inoltre, con il rischio di urtare la sensibilità di chi ne soffre, farlo risulta ancora più difficile.

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300 di Frank Miller e l’influenza di Erodoto

Recentemente abbiamo assistito a una rosea fioritura del mercato dei fumetti supereroistici, innescata anche dal ritorno in auge del filone dei film legati agli universi Marvel e DC Comics. Nel 2007, a pochi anni dall’effettivo boom, veniva proposto nei cinema un fedelissimo adattamento cinematografico del fumetto 300, di Frank Miller, un racconto para-storico sulla battaglia delle Termopili realmente avvenuta nel 480 avanti Cristo.

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Di fumetti, graphic novel e lotte terminologiche

Vi sarà capitato di vedere, in giro per l’internet o magari addirittura dal vivo (che fortuna), questo cartello, e non aver saputo bene come reagire: lacrime amare? Risatina nervosa? O un rassegnato sospiro? Personalmente, la prima reazione è stata la perplessità. Poi è scattato il nervoso. Solo dopo qualche minuto ho deciso di adottare un approccio più zen e pensare alla questione in modo più critico.

Davvero nuvole parlanti vi pare più decoroso di fumetti?

Ma innanzitutto, diamo un contesto: il cartello in questione è stato posto in una libreria Feltrinelli a fine 2020, anno in cui i fumetti hanno visto una sorta di rinascita, iniziando a venire presi in considerazione anche da chi non li aveva mai letti prima, grazie a una serie di fattori. La pandemia e la noia hanno spinto molti a ricercare nuovi hobby e passatempi, che per una parte hanno trovato luogo nella lettura, compresa quella di fumetti; case editrici come Bao Publishing, Tunué, Coconino e molte altre hanno dato un nuovo volto al fumetto, ma anche fenomeni come Bookstagram e, successivamente, BookTok (di cui abbiamo parlato anche qui) hanno contribuito alla crescita del fenomeno.

Insieme alla crescita delle vendite di fumetti, è nata però anche una sorta di lotta terminologica, con la nascita – o per meglio dire, la ripresadel termine graphic novel. Questa new wave del fumetto presenta infatti delle apparenti differenze rispetto alla comune concezione di fumetto: si tratta, per la maggior parte, di volumi autoconclusivi con un intreccio sviluppato, che non hanno nulla da invidiare a un romanzo. Da qui, il termine romanzo grafico. E da qui, la confusione terminologica, soprattutto per i neofiti lettori di fumetti, ha iniziato a prendere svolte impensabili. Ne è appunto una prova il cartello che abbiamo visto poc’anzi. Ma fumetti e graphic novel sono davvero due cose diverse? Lo sappiamo tutti, credo: la risposta è no. O meglio, non proprio. I graphic novel sono fumetti a tutti gli effetti, anche se non tutti i fumetti sono graphic novel. Potremmo piuttosto dire che si tratta di un sottogenere del fumetto, o di un certo tipo di fumetto.

La domanda che mi sono posta, e di cui vorrei discutere con voi in questo mio primo editoriale, non è quindi se fumetti e graphic novel siano o meno la stessa cosa, perché questo è già stato chiarito più volte e non è certo un’opinione che i romanzi grafici siano fumetti a tutti gli effetti. Quello che invece mi sono chiesta è: perché è nata questa lotta terminologica negli ultimi tempi, tra chi sostiene l’importanza di continuare a utilizzare il termine fumetto e chi, quando si parla di graphic novel, lo trova obsoleto? Ma soprattutto, ha senso discutere così tanto su questa questione terminologica? Alla me lettrice di fumetti, tutto sommato, non importa troppo sapere se quello che sto leggendo sia o meno definibile un graphic novel, e secondo quali principi. Sto leggendo un fumetto e sto leggendo una bella storia, questo è l’importante. Ma da un punto di vista sociolinguistico ho trovato la questione interessante, e dopo qualche ricerca mi sono ritrovata con forse più domande di prima, ma anche qualche risposta.

L’origine del termine graphic novel, come molti di voi sapranno, è da attribuire a Richard Kyle, che nel 1964 ha coniato il termine in un articolo pubblicato su una fanzine dedicata agli appassionati di fumetto. L’aggettivo voleva inizialmente identificare un “ramo” del fumetto europeo che ai tempi venivano pubblicati in formati diversi e su carta più pregiata rispetto ai tipici comic books. Il termine e il concetto di romanzo grafico hanno raggiunto notorietà con la pubblicazione di Contratto con Dio di Will Eisner, considerato il primo graphic novel mai pubblicato. Eppure, è in tempi recenti che il termine sembra aver acquisito un nuovo significato, tanto che io stessa ho visto molti neofiti lettori di storie a strisce confusi o forse quasi timorosi di usare il termine fumetto, definire graphic novel serie come La taverna di mezzanotte o addirittura i famosissimi Peanuts. Quindi, serie in più volumi che, se vogliamo attenerci al significato originario del termine, poco c’entrano con i romanzi grafici.

Se andiamo a googlare quali siano le caratteristiche tipiche di un romanzo grafico, quello che ci capita di leggere più spesso sono cose del tipo “una storia a fumetti con la struttura di un romanzo” e “volume autoconclusivo”. Fin qui, è tutto piuttosto chiaro, ma poi le cose si fanno più nebulose: “storia illustrata a cavallo tra il giornalismo, la narrativa e il fumetto”, “generalmente indirizzata a un pubblico adulto”, “si distingue dai fumetti propriamente detti per l’aderenza a temi e vicende reali”. Non vi sembra tutto un po’ troppo generico e confuso? Davvero tutti i fumetti che avete letto e chiamato graphic novel avevano queste caratteristiche? Per quanto mi riguarda, mi è capitato di chiamare graphic novel opere come Girotondo di Sergio Rossi e Agnese Innocente: un volume contenente storie brevi e indirizzato a un pubblico adolescenziale, che ha poco o niente a che fare col giornalismo.

La confusione è lecita, perché le scuole di pensiero sono tante e le informazioni sono spesso contraddittorie. La conclusione più soddisfacente a cui sono giunta è che il termine graphic novel venga usato, in questo periodo, principalmente come strategia di marketing. Negli ultimi anni, e soprattutto nell’era post-pandemica, sono tanti i lettori che si sono avvicinati al genere del fumetto, e infatti dal 2019 al 2021 la vendita di fumetti è triplicata. Possiamo davvero parlare di una rinascita del medium, che a partire dalla pandemia ha iniziato a riempire non più solo gli scaffali delle fumetterie, ma anche quelli delle librerie in cui, fino a pochi anni fa, di fumetti non si vedeva l’ombra. Ora, anche le librerie di catena dei piccoli paesini hanno un reparto manga e fumetti, e neanche tanto piccolo. Ma purtroppo, lo sappiamo, il fumetto ha avuto una storia travagliata e fino a pochissimo tempo fa non è mai stato visto di buon occhio da molte categorie di persone. Inizialmente considerato un mero prodotto di intrattenimento per bambini, è poi passato ad essere oggetto pericoloso, fonte di danni e perdizione, per poi passare di nuovo allo status di letteratura di serie B. Ma da quando molte case editrici, e successivamente i cosiddetti book influencer, hanno iniziato a presentare i loro fumetti come graphic novel, qualcosa è cambiato. Diverse categorie di lettori hanno iniziato a leggere fumetti, nelle foto sui social hanno iniziato a vedersi tavole e balloons, e anche i più scettici hanno iniziato ad incuriosirsi all’una o all’altra storia.

Certo, questa rinascita del fumetto altro non è che un fenomeno positivo. Ma quello su cui continuo a interrogarmi, forse senza mai giungere a una risposta, è se sia positivo il modo in cui è avvenuta questa rinascita. Da un lato, mi dico che chi se ne frega se tizio pensa che Gipi, Ortolani o Zerocalcare non scrivano fumetti ma graphic novel, l’importante è che si sia avvicinato al genere. Dall’altro, mi dispiace che si tema ancora così tanto di affermarsi lettori di fumetti per quello che altro non è che un pregiudizio, tenendo in considerazione solo le uscite espressamente catalogate come romanzi grafici e perdendo così l’opportunità di leggere moltissime altre, meravigliose storie.

E quindi, cari lettori, come al mio solito mi trovo davanti a un bivio, senza riuscire a capire che strada prendere. Lottare affinché il fumetto raggiunga lo status che merita anche a livello terminologico (la me linguista dice ), o lasciare che la gente li definisca come vuole, conscia che comunque stanno leggendo fumetti e che abbiamo fatto passi da gigante rispetto a pochi anni fa (la me lettrice dice, mh, forse)?

Infine, un’altra domanda mi frulla in testa: dite che se, grazie al potere che il ruolo di coordinatrice mi dona, proponessi di cambiare il nome della nostra sezione in Libri e Graphic Novel, più persone leggerebbero o entrerebbero a far parte di Pop-Eye?

Tutto sommato, spero di no.

LDC

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